Clelia a 74 anni decide di prendere un treno per andare a Pieve Santo Stefano, per consegnare a Saverio Tutino, ideatore dell’Archivio diaristico nazionale, la storia della sua vita. La custodisce in una scatola, che tiene sulle ginocchia. Clelia, a dire il vero, non aveva mai pensato di scrivere la sua vita, che era iniziata nel 1912 e che aveva attraversato due guerre, ma nel 1972 un evento la sconvolge: il marito, Anteo, compagno da cinquant’anni, muore in un incidente stradale. E lei non si dà pace e la notte non riesce a dormire. Allora cuce, come aveva sempre fatto, per combattere l’insonnia. E aggiunge, però, una cosa che non aveva fatto mai prima. Inizia a scrivere. Scrive su ogni pezzo di carta, che poi assembla in quaderni, cucendo insieme i fogli. Scrive fiumi di parole. Scrive, finché in casa non c’è più un brandello di carta su cui scrivere. Allora si ferma e pensa a una storia che aveva sentito raccontare: i Tusci – gli Etruschi – avvolgevano i morti in lenzuola scritte. Se lo facevano loro – pensa – può farlo anche lei, di scrivere sulle lenzuola. E così prende il lenzuolo più bello della sua dote di matrimonio e inizia a scrivere lì la storia della sua vita. Non conta davvero che non abbia mai scritto prima, né che abbia lasciato le scuole prima di terminare il ciclo delle elementari. Lei sa come fare, per una spinta interna alla narrazione e condivisione: sa che scrive per righe molto lunghe, quindi le numera e organizza al meglio la sua narrazione e le dà il titolo “Gnanca na busia” (“Nemmeno una bugia”).

Quando Saverio Tutino se la trova davanti, non ha dubbi: quella è una memoria e va custodita come tutte le altre, nell’Archivio Diaristico Nazionale. Rimane così colpito, che si prodighi perchè diventi un libro, come è accaduto – e continua ad accadere – a molti degli scritti dell’archivio. E così nel 1992 diventa un libro, ovvero ciò che Clelia desiderava («Care persone Fatene Tesoro Di Questo Lenzuolo Che C’è Un Po’ della Vita Mia», così inizia la sua narrazione).

Il lenzuolo di Clelia è custodito nel Piccolo Museo del Diario, ma vale la pena di fare un piccolo passo indietro per capire un po’ meglio di cosa stiamo parlando, in questa mia seconda vaganza per “il Nazionale”.

Saverio Tutino, classe 1923 storico e giornalista, negli anni Ottanta ha avuto l’intuizione che le storie di vita di persone apparentemente normali potessero essere straordinarie e che la Storia dovesse essere narrata attraverso le loro parole. Così nel 1984 bussa alle porte del Comune di Pieve Santo Stefano, un piccolo borgo, al confine tra Toscana, Umbria e Romagna, per chiedere una sala a disposizione per archiviare raccolte epistolari, memorie e diari di persone comuni. Gli viene concessa una stanza del Palazzo Pretorio, che è l’unica costruzione, insieme alla Chiesa della Collegiata di Santo Stefano (che dà il nome al paese) e la Madonna dei Lumi, a non venire rasa al suolo, come il resto del paese, dalle mine. E così, per volontà di un uomo visionario e sognatore, nasce l’archivio diaristico nazionale, che ora conta più di 8000 scritti e ha una importante attività di pubblicazione. Saverio Tutino, infatti, fin da subito ha istituito un premio letterario annuale, che consente al vincitore di essere pubblicato.

Pieve Santo Stefano

Nel 2013 il Palazzo Pretorio diventa la sede del Piccolo Museo del Diario. Piccolo per le dimensioni (ha solo quattro stanze), ma anche per un’idea di dimensione raccolta e intima, che è poi quella che assume la scrittura, quando parla con parole semplici e dirette per dire di sé.

Il museo ha una forte caratterizzazione multimediale: le prime due stanze riproducono un grande archivio di legno, che si estende dal pavimento fino al soffitto. Quando si aprono i suoi cassetti o le sue ante, una voce legge le parole di chi ha voluto fare il dono della propria narrazione, mentre su uno schermo scorrono le scansioni dei suoi scritti. Un archivio può essere un poco beffardo: gli scritti vengono catalogati in ordine di consegna e in questo modo nei cassetti possono capitare vicine anche persone che mai in vita si sarebbero incontrate o avrebbero voluto farlo (un po’ come “’A Livella” di Totò). E così le storie che escono dai cassetti sono le più diverse: Massimo, di 14 anni, scrive un diario personale in cui la musica fa da colonna sonora alla sua prima cotta; vicino a lui troviamo Sisto, di 20 anni, che scrive le sue lettere dalla trincea e usa la musica per accompagnare altri toni di narrazione; c’è poi Tommaso, in pensione, che affida a una memoria la storia della sua vita, fino dalla partenza da Palermo per emigrare in America; Aldo, di 10 anni, ascolta i radiogiornali sulla guerra e segna nel suo diario ciò che succede ogni giorno, ha anche costruito dei carroarmati con il sughero e usa anche quelli per raccontare la guerra; Valerio è un giovane che viaggia per cambiare il mondo e per combattere la povertà con le sue imprese; Claudio è un ladro di appartamenti, “figlio d’arte”, che la madre portava da piccino a rubare i portafogli sugli autobus, scrive il suo diario in carcere; Maria Pia è una casalinga, annota i suoi pensieri su un quaderno, dove fa disegni coloratissimi, come se il suo fosse un diario di scuola.

Il Museo del Piccolo Diario è stato una scoperta che mi ha lasciata senza parole. La sua presenza in un luogo cancellato dalla guerra ha una potenza simbolica unica, che ci ricorda che la Memoria è fondamentale e non può e deve essere cancellata. Da questo piccolo borgo le storie di persone ordinarie vengono viste per la loro straordinarietà e si fanno voce narrante di una Storia che, quando si fa così incarnata, diventa accessibile e possibilità di orientamento, in un momento storico che rischia di segnarci, per la sua capacità di essere specialmente disorientante.

Dove trovare il Piccolo Museo del Diario: Palazzo Pretorio
Piazza Plinio Pellegrini, 1  – Pieve Santo Stefano (Arezzo) https://www.piccolomuseodeldiario.it – piccolomuseo@archiviodiari.it
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