A Verona la “gentrizzazione” – l’espulsione delle funzioni residenziali dal centro città per far posto ad attività che garantiscono una rendita superiore –  da argomento per addetti ai lavori è prepotentemente entrata a far parte del dibattito mainstream, sull’onda della scoperta, un po’ intempestiva, di questo fenomeno.  Il nostro giornale si appunta una piccola medaglia di merito per essere stato tra i primi a Verona ad affrontare il tema (https://ilnazionale.net/attualita-e-politica/il-piano-folin-magritte-e-le-turiste-in-accappatoio/) in maniera semiseria parlando del “Piano Folin”, l’iniziativa della Fondazione Cariverona per la valorizzazione degli immobili ex Unicredit posti nel centro della città. Si era evidenziata in quell’occasione una sorta di “doppia morale” dell’attuale amministrazione locale, che da una parte è veloce ad attribuire le colpe della gentrizzazione ai privati che affittano a uso turistico i loro appartamenti e dall’altra sorvola sul fatto che le iniziative di recupero immobiliare basate sulla riconversione a uso alberghiero di vaste parti della città, tra cui appunto il “Piano Folin”, avranno inevitabilmente medesimi effetti. Ma non è nostro compito in questa sede dare valutazioni politiche all’operato dell’amministrazione. Piuttosto, al fine di dare un contributo al dibattito civico sul tema, è di maggior interesse avanzare delle idee su come poter gestire un fenomeno che di tutta evidenza non è reversibile come quello della gentrizzazione.

L’architetto Cervellati

La leva fondamentale con la quale un’amministrazione locale può indirizzare le trasformazioni della città è la pianificazione urbanistica. Un riferimento ricco di suggestioni può essere il “Piano Cervellati” per il centro di Bologna, del 1973, pagina fondamentale della moderna cultura urbanistica. Il piano affermò un principio fondamentale: il centro di una città è più della sommatoria degli edifici storico monumentali che lo compongono, è un monumento esso stesso, composto dall’insieme di edifici, strade, piazze, spazi pubblici che ne definiscono l’immagine urbana. Pertanto gli unici interventi ammissibili al suo interno sono quelli di restauro. Questa esperienza urbanistica si può considerare pionieristica in quanto già nel 1973, anno della sua redazione, si poneva l’obiettivo di bloccare l’esodo dei residenti dal centro, e in particolare dei ceti sociali a reddito più basso. Questo perché il piano partiva da un assunto fondamentale: una città, o una sua parte, è viva quando è abitata da residenti. Per conseguire questo obiettivo il piano si affidava a una policy che prevedeva massicci investimenti pubblici per acquistare comparti edilizi nel tessuto storico della città che venivano poi restaurati e adibiti a residenza economico-popolare. La permanenza di attività residenziali avrebbe stimolato le attività tradizionalmente legate alla funzione abitativa, incluse le attività lavorative originali che hanno nei secoli contribuito a plasmare l’immagine della città e che ora sono rimaste solamente nella sua memoria toponomastica, innescando un processo virtuoso uguale e contrario a quello che vede la sostituzione delle funzioni di residenza permanente e quelle a essa collegate con quelle turistico-ricettive.

Il piano Cervellati potrebbe essere quindi non un modello operativo da applicare pedissequamente in una realtà urbana diversa da quella di Bologna per la quale fu pensato, ma una utilissima suggestione per stimolare il dibattito sulla pianificazione cittadina. Oltre che la pianificazione urbana, la quale ha un orizzonte temporale di medio termine, l’amministrazione può anche pensare a provvedimenti di efficacia più immediata. Per evitare che altre parti di città subiscano la stessa sua sorte del centro storico, sarebbe cosa saggia operare scelte lungimiranti che se fatte tempestivamente ci eviterebbero di ascoltare in futuro le “grida di dolore” di qualche pubblico amministratore sulla fuga dei residenti dalla città. Magari lo stesso che quando poteva fare qualcosa ha evitato di farlo. Prendiamo l’esempio di Borgo Trento. Il quartiere residenziale a due passi dal centro ne sta seguendo lo stesso destino che lo vede divenire sempre più un quartiere di B&B e di residenze turistiche che sostituiscono le attività residenziali permanenti. Basta girare per le strade del quartiere per vedere stranieri che trascinano trolley a tutte le ore del giorno, campanelli sui quali i nomi sono sostituiti da numeri o far la spesa nei supermercati da quartiere per sentire parlare in inglese, francese, russo, tedesco. Il quartiere, al di là dei suoi pregi primo fra tutti l’ottima posizione rispetto al centro, ha due problemi che ne limitano la vivibilità: la mancanza di spazi pubblici a uso posteggio o area verde e gli alti costi di ristrutturazione degli immobili che scoraggiano i proprietari al recupero a fini abitativi e rendono molto più conveniente limitarsi a eseguire lavori “light” per poterli poi affittare a uso turistico.

Una veduta dall’alto del quartiere di Borgo Trento, a Verona

Per quel che riguarda il primo problema possiamo dire che esso deriva in massima parte dalla mancanza di adeguati spazi a uso posteggio. Gli edifici del quartiere costruiti in alcuni casi anche più di 60 anni fa non dispongono di un garage per ogni unità immobiliare e quindi agli abitanti del quartiere tocca lasciare le auto in strada, contendendosi gli stalli di sosta con chi nel quartiere non abita ma ci posteggia per andare in centro. Se si vuol tutelare le funzioni residenziali del quartiere il primo provvedimento è fare una ZTL che consenta l’accesso e la sosta delle automobili ai soli residenti. Provvedimento che le amministrazioni si guardano bene dal fare temendo l’impopolarità, consapevoli come sono che il quartiere è una sorta di cassa di compensazione per chi arriva in città in auto e vuol andare in centro. Il provvedimento sarebbe però necessario non solo ai residenti, in quanto costringerebbe la cittadinanza a un cambio di abitudini radicale, incentivando l’utilizzo dei mezzi pubblici, prima fra tutte la filovia in corso di realizzazione, con tutte le conseguenze virtuose del caso, a partire dall’abbattimento dell’inquinamento atmosferico. A tal fine sarebbe di efficacia molto maggiore rispetto a provvedimenti estemporanei e in fin dei conti completamente inutili come ad esempio i “Mobility Day”. Occorre un poco di coraggio, ma si sa che come diceva Don Abbondio “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

Le aree verdi nel quartiere poi sono poche, e non è possibile ricavarne di nuove nel denso tessuto del quartiere. Potrebbe essere valorizzata la vasta area dell’Arsenale, il cui recupero a Verona sta assomigliando sempre di più al mostro di Loch Ness, sono anni che se ne parla ma nessuno ha ancora portato prove convincenti della sua esistenza. Salvo le dichiarazioni sui giornali.

Una via del centro storico di Verona

Si potrebbe poi pensare di incoraggiare il recupero del patrimonio edilizio nei quartieri a più alto rischio gentrificazione con finalità residenziali, attraverso una politica di incentivi, erogati sulla base del reddito, a chi ristruttura gli immobili per abitarli. Partendo dalla concessione a titolo gratuito dell’occupazione del suolo pubblico per le attività di cantiere, passando per una politica di sgravi fiscali sulle imposte locali sulla casa, oppure a tariffe agevolate per i servizi delle multiutility cittadine, le leve sulle quali agire da parte dell’amministrazione sono diverse. E, come detto, l’esempio di Borgo Trento è, appunto, un esempio che si può tranquillamente estendere anche ad altre zone della città limitrofe al centro storico: San Zeno, Veronetta, Valverde e via dicendo.

Sarebbe pertanto importante per i nostri amministratori acquisire un’ottica di largo respiro, anche temporale, nella consapevolezza che i fenomeni di trasformazione urbana, seppure inevitabili, devono essere gestiti e non subiti. Come è stato finora.