La questione della gentrificazione, del decoro urbano passa dagli edifici, dagli spazi e dalla loro gestione. Questioni vive, come mostra l’intervento di Giorgio Massignan che, soltanto ieri, rilanciava la questione dello sviluppo urbano di Verona con un accorato appello «affinché siano rispettati due principi basilari per la gestione del territorio: nessun consumo di suolo e recupero degli edifici dismessi e/o inutilizzati».

Per questo obiettivo, l’architetto individuava alcune aree cittadine (le caserme Quarta Ore, Trainotti e Principe Eugenio; l’isolato ex Unicredit nel Centro Storico; la Marangona a Verona sud) che dovrebbero essere al centro di un progetto di pianificazione e valorizzazione per la città, anche per dare almeno parziale risposta a tre problemi che lo stesso individua come urgenti: il problema abitativo, la situazione del Centro Storico, il consumo di suolo.

A questo proposito, giunge a fagiuolo il confronto con l’indagine sul patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato di ConfArtigianato-Imprese Verona.

Verona, prima in Veneto

Da questo rapporto, che analizza la situazione delle province del Veneto per poi focalizzarsi su Verona, risulta un patrimonio immobiliare inutilizzato (valutato in metri quadrati) di tutto rispetto. In questo contesto, la nostra provincia batte anche Venezia e risulta la prima per patrimonio immobiliare non utilizzato (352.663 mq) e con la maggiore incidenza nella Regione, pari al 6%.

L’idea di Massignan, dunque, sembra buona non solo per la nostra città ma anche per la Provincia e il Veneto stesso; per Verona, in particolare, questa risorsa andrebbe incontro alla necessità di calmierare gli affitti degli studenti universitari di evitare lo spopolamento dei residenti in centro storico, tendendo conto che, secondo Massignan, a Verona ci sono anche 10.000 appartamenti privati sfitti.

Una scelta, quella del recupero e della valorizzazione del patrimonio pubblico inutilizzato, che, secondo il presidente di Confartigianato, avrebbe il merito «nel complesso, di generare un beneficio economico per il settore di 1,7 miliardi di euro: 40 milioni dalle demolizioni, 7,5 milioni dalle rinaturalizzazioni, 116 da ricostruzioni; 258 dal restauro conservativo, 38 milioni dall’adeguamento e 256 dall’efficientamento».

Sembrerebbe dunque un frutto maturo, pronto da cogliere.

Foto da Pexels di Maria Orlova

Soprintendenza e demanio

Ma la realtà è che si tratta, per molta parte, di un patrimonio datato, che richiede interventi complessi e, spesso, con il coinvolgimento delle Soprintendenze con il loro potere di vincolo: infatti, nella provincia di Verona, «quasi un immobile su quattro è stato costruito prima del 1919, mentre il 33% (117 mila mq) ha visto la luce tra il 1919 e il 1945».

Va poi sottolineato che parte di questo patrimonio, come per esempio le caserme, non sono né della Provincia né del Comune, quanto piuttosto del demanio: il loro acquisto, quindi, deve passare prima da una volontà di alienazione e poi da una compravendita. Un problema, questo, non da poco per la Provincia di Verona nella quale il 49% dei mq inutilizzati deriva da carceri, prigioni, penitenziari, caserme.

Sempre rimanendo nella dimensione della Provincia, ben 144. 560 mq di questi edifici inutilizzati (contro i 48.759 mq del Comune di Verona) si trovano nelle are di Castelnuovo e di Lavagno, che per struttura politica e capacità economica difficilmente sembrano in grado di poter gestire e riqualificare un simile patrimonio. Parliamo di edifici (specialmente caserme e penitenziari) che per la loro particolare forma e sviluppo non si prestano facilmente a tutti i progetti di valorizzazione o di edifici, come ad esempio il patrimonio presente sul territorio di Bosco Chiesanuova (34.525 mq) che, per la sua posizione e per le caratteristiche demografiche e sociali dell’area, rimane un punto interrogativo dal punto di vista della valorizzazione di questa risorsa.

Il “beneficio economico”

Uno scorcio del centro storico di Verona . Foto da Pexels di Josh Meyer

E qui arriviamo al nodo dei nodi. La ciminiera del treno del PNRR sbuffa già lontano verso l’orizzonte, le prossime manovre economiche non paiono prevedere nuove risorse per gli enti locali (anzi) e un progetto organico di recupero e valorizzazione del patrimonio ora inutilizzato non può non tener conto di ulteriori costi aggiuntivi, come la manutenzione e la gestione, ovvero risorse e personale dedicato.

A meno che il presidente di ConfArtigianato non ritenesse che il già citato “beneficio economico” debba passare da una vendita ai privati del patrimonio immobiliare: il che magari risolverebbe il problema del degrado – almeno per le strutture economicamente più appetibili – ma certo non le questioni sociali che bussano alle porte, perché difficilmente la risoluzione degli squilibri sociali è la finalità dell’investimento dei privati.

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