La nascita e l’evoluzione dell’universo sono da sempre il focus di studio della veronese Chiara Caprini, impegnata nella ricerca scientifica in ambito della cosmologia fisica da ormai vent’anni. Sono stati gli studi ad allontanarla dall’Italia dai tempi dell’università quando, da Parma, decise di svolgere l’Erasmus a Ginevra, dove ha potuto rimanere un anno in più rispetto ai programmi per svolgere la sua tesi. Dopo la discussione, l’idea di fare il dottorato in Italia non sembrava possibile, così per tre anni è volata ad Oxford, dove colleghi e coinquilini le hanno fatto respirare un’Europa multiculturale e piena di stimoli. Per il post dottorato la destinazione tornò ad essere la Svizzera, un posto che le è rimasto nel cuore, dove tutto è iniziato e si è consolidato, fino al trasferimento definitivo a Parigi, al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS), l’equivalente del CNR italiano, nel 2007. La sua storia è stata raccontata nel libro “Ricette migranti” pubblicato da Cierre Edizioni, insieme ad altre 20 storie di stranieri che hanno scelto l’Italia come proprio Paese di adozione. La sua, invece, è una vicenda al contrario, per testimoniare la migrazione comune a molti.

Chiara, da dove nasce questa sua grande passione per le materie che raccontano l’universo?

«Il desiderio di studiare fisica mi è venuto ancora bambina, perché mia madre comprava la versione italiana di “Scientific American”, e sfogliavo anch’io questi giornali che giravano per casa senza capirne quasi niente ma molto affascinata da quello che contenevano. Anche se ero piccola mi è venuta così l’ambizione di capire le cose misteriose che leggevo. La voglia di imparare e il fascino per la scienza sono poi rimasti e mi hanno dato la forza di volontà di laurearmi. Ce n’è voluta tanta perché studiare fisica è difficile. Ora purtroppo il fascino è un po’ sparito, quando ho scoperto che tante domande restano comunque senza risposta; però è rimasto l’esercizio del mestiere, che comunque mi piace molto.»

Durante i dottorati e gli studi postumi, lei ha vissuto tra convitti e studentati, immersa in un mondo accademico estremamente internazionale ed eterogeneo. Come i piatti che ha potuto assaggiare in questi incontri, in particolare un piatto le è rimasta nel cuore, il pollo alla Jean-Claude, ricetta di un caro amico conosciuto a Ginevra di origini ruandesi. Per il libro “Ricette migranti” ha scelto un piatto semplice, composto da riso e pollo in salsa di pomodoro, ma che tanto rappresenta per lei l’incontro tra culture mangiando. Come mai non un piatto della tua tradizione famigliare?

«Jean-Claude e io vivevamo a Ginevra nello stesso studentato dell’università, con la cucina in condivisione. Cucinavamo gli uni per gli altri e mangiavamo sempre assieme. Non mi ha insegnato come farlo ma, dato che è semplice, ho imparato guardando.»

Chiara Caprini mentre cucina il pollo per il libro “Ricette migranti”

Piatti appetitosi ne ha sempre gustati, in particolare quelli delle Canarie e del Portogallo, e lei li ha sempre proposti come i suoi assi nella manica, pasta e risotti con verdure o scampi, per lasciare un buon ricordo come i suoi amici hanno fatto con lei. Oggi, dopo ormai dodici anni a Parigi, ricorda queste tappe con nostalgia, momenti di grandi soddisfazioni ma anche di solitudini, dove i suoi amati fumetti l’hanno salvata spesso dalla nostalgia di casa. Qual è il fumetto che più ricorda?

«Il primo che ho comprato è stato “Topolino”, 35 anni fa, l’ultimo invece, qualche mese fa, è stato “S’enfuir” di Guy Delisle. Ho imparato il francese leggendo “La quête de l’oiseau du temps” e “Peter Pan” di Loisel, e in tutti questi anni all’estero ho curato la nostalgia con i “Dylan Dog”, che mi spedivano dall’Italia. Ho riconosciuto e apprezzato lo stile anglosassone di “The league of extraordinary gentlemen” di Alan Moore mentre vivevo ad Oxford. Ho imparato le strade di Parigi ancora prima di andarci leggendo “Nestor Burma” e “Adèle Blanc-Sec” di Tardi, mentre abitavo a Ginevra, dove viveva anche “Max Friedmann” di Vittorio Giardino.»

Figlia unica di genitori separati, il ricordo va alla mamma, mancata nel 2014 a causa di un tumore, colei che l’ha sempre affiancata nei traslochi, innumerevoli, perché «nel momento complicato di trasferirsi e fare gli scatoloni lei c’era sempre». Il “viaggiare leggeri” è stato necessario, solo l’indispensabile come vestiti, libri, pc e l’amato stereo che non l’ha mai abbandonata dal 1998 con il primo viaggio per l’Erasmus, con tutta la sua musica del cuore come i dischi di Francesco De Gregori. Oggi con una bimba piccola di un anno e mezzo, Beatrice, e un compagno italiano a Parigi, tutto è molto più facile e scorrevole anche se suo papà la sostiene sempre, con la piccola soprattutto. Il Paese che l’ha accolta da più di dieci anni le piace per il rispetto del bene comune, il senso civico e della collettività, come le meravigliose panetterie in pieno centro che le fanno avere uno sguardo su una capitale europea non di certo provinciale come un piccolo borgo italiano, con il piacere di fare la spesa ancora nelle piccole botteghe sotto casa. La sua storia migratoria è sempre stata fluida o ci sono stati ostacoli nella sua esperienza da veronese all’estero?

«Ho percepito diffidenza nei confronti degli italiani, sì! In Francia soprattutto, dove mi è capitato molte volte che si facessero battute sull’Italia e sugli italiani in mia presenza, o che si sottolineassero la mia nazionalità o il mio accento. Questo accade sempre in buonissima fede, con un sorriso di benevolenza e senza alcuna apparente intenzione di emarginazione: però, immancabilmente, accade. In Inghilterra invece ho avuto sì qualche difficoltà a inserirmi, ma mai legata al mio essere italiana, piuttosto alle usuali difficoltà che incontra ogni straniero all’estero. Paradossalmente il paese dove mi sono sentita meno discriminata è stata la Svizzera.»