Nei giorni scorsi si è chiusa la settimana di eventi, progetti di formazione, focus economici e tasting dedicati al più celebre e discusso tra i nostri vini veronesi. Affascinante e sornione, al battesimo dell’annata 2016 appena presentata in Gran Guardia, l’Amarone anche quest’anno ha saputo sorprenderci per ritrovata eleganza. L’Anteprima Amarone 2016, che ha visto protagonisti 53 produttori ai banchi d’assaggio, ha confermato una la tendenza sempre più evidente di un minor residuo zuccherino medio nel bicchiere (inferiore ai 4 g/l), al quale però si accosta, anche grazie a una favorevole stagione climatica, un ottimo bilanciamento con potenza e ricchezza, nonostante ormai si lavori su un ph e un estratto secco contenuti.

Anche se la struttura al palato si rivela più moderata rispetto all’annata 2015, l’ottimo equilibrio tra acidità e tannini e la grande armonia dei profili sensoriali collocano la vendemmia 2016 a un livello qualitativo potenzialmente superiore alle annate 2013 e 2014, così almeno si è espresso il panel di esperti del Consorzio tutela vini Valpolicella, a seguito dei 23 campioni degustati provenienti dalle diverse vallate della Docg.

Ma qual è la salute della nostra denominazione nel mondo e nei consumi internazionali? Come si sta muovendo in reazione alle restrittive politiche di Trump e all’ormai inevitabile Brexit?

A dircelo è l’indagine annuale di Nomisma Wine Monitor proprio in occasione di Anteprima Amarone: il giro d’affari complessivo vira in positivo ed è di circa 350 milioni di euro, in crescita sia in Italia che all’estero. Sempre secondo Nomisma, l’Amarone si conferma traino per una annata di certo non facile per il nostro Paese per il commercio internazionale del vino: la sua performance per valore è del +4% sul 2018 all’estero e del +6,8% (+7,9% a volume) in Italia.

Niente male, se si pensa che, a parte la contrazione USA del -2% (che rimane comunque al secondo posto per importazioni di Amarone) sono cresciute in modo significativo sia le storiche destinazioni di sbocco (Germania +6%, Regno Unito +18%, e Canada +5% che, insieme agli Stati Uniti sommano quasi il 50% sul totale export Amarone), sia alcune aree emergenti come la Danimarca (+20% a valore), Giappone, che entra nella top 10 dei buyer grazie a un incremento del 15%, e Cina che fa segnare un +5% (dato in controtendenza rispetto al suo calo generale degli ordini di vino europeo).

L’export e la percezione delle nostre denominazioni è stato anche il focus centrale dell’interessante Conferenza annuale della Valpolicella sui principali mercati internazionali, giunta quest’anno alla terza edizione, e che si svolge come di consueto il giorno precedente all’Anteprima.

Mescita di Amarone, foto di Manuel Bressan

Anche quest’anno tra i relatori importanti buyer e distributori della scena internazionale, che hanno riportato trend e disegnato un quadro di mercato per il nostro rosso premium: da quello che ne emerge si evidenzia come siano le donne, in Germania, a trainare i consumi di Amarone, mentre nel Regno Unito il “nostro” è insidiato dai prezzi dei rossi della californiana Napa Valley e degli Shiraz d’Australia e quindi bisognerà lavorare maggiormente sull’online per i privati di fascia alta. Per gli Usa, nonostante i nuovi dazi, resta forte l’affermarsi di vini premium di grande struttura, mentre in Canada, seppur ci sia un calo dei consumi generale, la nostra Docg rimane di segno positivo.

Tornando invece alla nostra terra, dopo questi voli oltreoceano, non mancano le buone notizie: fino a qualche anno fa la Valpolicella era pressoché in controtendenza rispetto la media nazionale per la conversione al biologico, con pochi produttori davvero impegnati su questo fronte. Oggi, invece, sempre più i produttori delle nostre zone vitivinicole si stanno orientando verso una rivoluzione green. Avepa (l’Agenzia veneta per i pagamenti in agricoltura) ha infatti registrato una repentina rivoluzione verde nelle aree enologiche di Verona: dal 2012 a fine 2019 il biologico in vigna è infatti cresciuto del 152% per superficie, con un’impennata solo nell’ultimo anno di circa il 14% contro una media nazionale ferma nel 2019 a +1%. Olga Bussinello, direttore del Consorzio tutela vini Valpolicella, sottolinea che, «anche se iniziata forse un po’ tardi, questa tendenza al bio ora non accenna a rallentare, considerando anche che gli ettari in conversione sono cresciuti nell’ultimo anno del 10,5%». A questo si aggiunge inoltre il progetto RRR (Riduci, Risparmia, Rispetta), «la certificazione voluta per le aziende dal Consorzio a tutela dell’ambiente, che prevede l’adozione di tecniche innovative in vigneto ma anche la sostenibilità sociale e la tutela del paesaggio», che ha registrato un aumento del +31% di ettari dal 2017 ad oggi.

Secondo Avepa, complessivamente in un’area di poco meno di 8.300 ettari Dop, poco meno di 1/4 sono green o lo stanno per diventare ufficialmente dopo il periodo in conversione. Insomma, anche la sostenibilità si sta facendo strada tra le vigne veronesi nei 19 comuni della Valpolicella, con i suoi 2.273 produttori di uve (cui si aggiungono 272 aziende imbottigliatrici) e con i suoi 373 fruttai destinati all’appassimento –  tecnica enologica candidata a rientrare sotto la protezione Unesco -, mentre saranno circa 15 milioni le nuove bottiglie di Amarone 2016 ad entrare in commercio in questo 2020. E noi, non vediamo l’ora di assaggiarle.

Le fotografie di corredo all’articolo sono di Manuel Bressan