Ognuno ha la sua “arma” vincente. O più di una. Nella Lega “parlamentare”si chiama Giancarlo Giorgetti. A lui, anche i gruppi parlamentari antagonisti riconoscono capacità di dialogo, competenza e un modo di fare moderato rispetto a intemperanze, espressioni e modi eccessivi attribuiti ai suoi colleghi mediaticamente più esposti. In rete – forse perché non esistono – non si trovano video, audio e dichiarazioni che in passato abbiano costituito fonte di acceso dibattito. Dell’attuale segretario, di Borghezio, Gentilini e dello stesso fondatore Bossi, invece, fanno ancora parlare prese di posizione spesso in contrasto con il buongusto, per usare un eufemismo. Tanto per essere chiari: Vesuvio ed Etna sembra non siano stati mai invocati dal buon Giorgetti come mezzi per risolvere l’attuale divario tra un Nord industrialmente produttivo e un Sud a tradizione agricola. Di Giorgetti, invece, ricorre il leitmotiv dell’uomo riflessivo, capace di unire il Parlamento quando i disegni di legge diventano necessari per il bene del Paese o quando possono veramente convergere nelle idee al di là del proponente.

Umberto Bossi

Insomma l’altrettanto noto coro di Salvini sembra essere assai lontano dall’uomo e dal politico Giorgetti, come pure il vilipendio della bandiera nazionale di Bossi per Giorgetti è espressione lontana sia dal suo modo di agire che di pensare. Uno spirito, quello del parlamentare, connotato da un desiderio di ricerca di sicurezza e di difesa dell’identità, senza necessariamente far leva su cliché e volgarità spesso indicibili che mossero lo spirito secessionista delle varie Leghe regionali a riunirsi sotto l’egida della fu Lega Nord. Conosciamo, anche grazie alla rete, Il Vangelo secondo Gentilini e il desiderio di prendere gli imam per la barba e buttarli fuori “dalla scatole”e  in cui è enunciato il desiderio di veder in strada le donne in bikini, giusto per contrastare l’oppressione dei burka.

Giorgetti non è niente di tutto questo: ha vissuto numerose esperienze, prima sotto l’egida della Padania secessionista – con incarico di consigliere di amministrazione di CrediEuroNord per il cui crak fu assolto –, poi nel passionario moto d’identità nazionale che contraddistingue la recente svolta del partito. Nessun intento ironico: nel suo percorso parlamentare Giorgetti ha ricoperto ruoli in numerose commissioni e si è sempre contraddistinto per il suo atteggiamento composto, senza uscire mai dal registro.

Ma, con la stima che si deve a un politico che si è distinto più per quello che ha fatto che per quello che ha detto, viene da domandarsi come abbia potuto resistere alle varie e non poche fasi che hanno tormentato la Lega nel suo passaggio dalla secessione più dura al nazionalismo più marcato.

Giorgetti è stato accanto a Bossi resistendo al suo “cerchio magico” una volta destituito, è stato protagonista durante la segreteria di Maroni. Ora, allo stesso modo è “secondo” a Salvini. In numerose aziende, come pure nei partiti, si è spesso assistito a tagli totali con il passato: veri e propri azzeramenti dirigenziali. Quella di Giorgetti è, in questo senso, a tutti gli effetti un’anomalia. Processi, condanne, scandali, rimborsi, diamanti: vere e proprie ghigliottine – ben prima di una Lega in auge – hanno epurato nomi di primo piano, ma non lui. Prese di posizione, come quel «ma ancora gli date retta», pronunciato e riferito al collega economista Claudio Borghi, non hanno dato, almeno esternamente, alcun mal di pancia.

«Sono le decisioni di un capo, e un capo sempre decide lui da solo e alla fine sono responsabilità personali. Secondo me sarebbe stato più facile andare a votare se la crisi di Governo si fosse fatta prima. I tempi non sono stati decisi in maniera adeguata, e ne stiamo subendo ora tutte le conseguenze» , ha dichiarato Giorgetti in merito alla crisi di agosto aperta da Salvini.

Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini

Altri sarebbero stati sottoposti a trattamenti ben diversi. Come in ogni partito anche la Lega, come dicevamo, è stata soggetta a forti scissioni. Dall’uscita di persone di spicco, semplicemente perché si sono stancate – come sembrerebbe essere per l’ex ministro Roberto Castelli, ma l’elenco potrebbe proseguire – a espulsioni attuate con modalità decisamente contro lo statuto, con relativo scavalcamento delle competenze di segreterie locali, provinciali e regionali, come fu per Flavio Tosi, colpevole di aver portato il piano del dialogo a livello nazionale, azione inaccettabile per il Segretario, salvo poi ricalcarla in una svolta non certo moderata come auspicava l’allora Sindaco di Verona.

Giorgetti ha sempre resistito a tutto questo. Il suo ruolo non è mai stato messo in discussione, nemmeno dalla base e dagli elettori. Viene da domandarsi quando sarà il suo momento. Certo il partito – accreditato oltre il 30% – è oggi consolidato sul nome di Salvini, un po’ come Forza Italia dei tempi d’oro splendeva della capacità, più mediatica che governativa, di Berlusconi. Gli ex padani lombardo–veneti, o meglio il loro leader, stanno basando sulla banalizzazione e su una comunicazione aggressiva gli stilemi di una campagna elettorale ormai svuotata dai contenuti e riportata sui piani dell’immediatezza senza freni dei social. Dalla lingua di fuori con cocktail in mano sul ritmo dell’Inno d’Italia in una calda giornata d’agosto alla celebre citofonata; dalle promesse di tagliare le accise al primo Consiglio dei Ministri all’idea che l’Italia coltivi nocciole a sufficienza da permettere alla celebre azienda che produce la nota crema spalmabile di non procurarsele all’estero.

Giancarlo Giorgetti, pensieroso

Insomma poca politica e tanto effetto facile fino a far valere gli odiosi modi del «purché se ne parli, anche se negativa è pur sempre pubblicità». Perché un parlamentare, da anni così vicino ai ruoli apicali della dirigenza del suo partito, non ha mai fatto un passaggio in più data la libertà (e coraggio) di certe sue dichiarazioni? La Lega, che sembrava aver capito che essere di lotta e di governo non porta a nulla e che è meglio passare le ore nelle commissioni a parlare con i colleghi, pare oggi alla ricerca di effetti facili, seppur siano cambiati i “piani di attacco”. Non più i “terroni” ma il monotematico problema della migrazione clandestina e gli autoscatti.

Perché Giorgetti accetta? Basterebbe un cenno per muovere chi nel partito ha il desiderio di costruire attraverso il confronto e le limature, a dispetto di chi è mosso dal desiderio di misurarsi attraverso i “mi piace” o gli “hashtag”. Tutti gli riconoscono merito ma mandare giù bocconi pressoché quotidiani, salvo discostarsi in rare e sporadiche dichiarazioni, sa più come scelta di comodo che di fiuto politico. Un po’ come garantirsi un percorso di primo piano, stando due passi indietro. È difficile veder passare ere di Segretari, prima lodati e poi messi alla gogna sopravvivendo a loro, ai loro cerchi e alle loro espulsioni bulgare, senza che nessuno pensi che forse, alla fine, vada bene così anche per lui.