Il Parco regionale della Lessinia non aveva mai ottenuto così tanta visibilità come in queste settimane. Le ultime notizie segnalano un governatore del Veneto Luca Zaia arrabbiato coi suoi, ritenuti quantomeno incauti nelle tempistiche adottate per proporre una modifica ai confini del parco, troppo vicina alle elezioni. O almeno così si è posto in tv e sui giornali. In questo contesto appare naturale che la Lega non abbia interesse ad alimentare polveroni mediatici, così come appare chiaro che le manifestazioni di dissenso alla riduzione del perimetro del parco abbiano superato di gran lunga ogni previsione. Questa politicizzazione del dibattito ha però finito per rendere più confuse le idee a tutti. Occorre fare chiarezza. Abbiamo quindi chiesto aiuto e un parere a Daniele Massella, presidente dell’Associazione tutela della Lessinia e direttore del comitato tecnico dell’Associazione proprietari malghe e terreni della Lessinia.

Daniele Massella

Massella, cominciamo a fare ordine. Qual è l’attuale “stato dell’arte“?

«Siamo tutti rimasti stupiti da quanto avvenuto nelle ultime settimane. Nessuno si aspettava petizioni e manifestazioni così partecipate. In fondo i comuni del territorio hanno già deliberato nel 2016 la necessità di rivedere qualcosa nel parco, nato con presupposti particolari ormai 30 anni fa. La singolarità è che la quasi totalità dei terreni che ricadono nelle zone vincolate siano di proprietà privata, al contrario della stragrande maggioranza delle altre aree italiane adibite a parco, comprendenti per lo più terreni demaniali.»

Una suggestiva immagine di un angolo di Lessinia (Foto di Corrado Benanzioli)

La massiccia presenza del privato nell’area parco e la necessità di far coesistere esigenze di tutela ambientale con le esigenze di allevatori e coltivatori, immagino sia il principale dei problemi...

«Decisamente. Teniamo conto che dall’abolizione delle comunità montane fino al termine dell’estate scorsa, Il parco ha vissuto molti anni di gestione frammentata e sostanzialmente improvvisata. Era infatti la comunità montana l’ente gestore del parco della Lessinia; tra commissariamenti e discontinuità varie, solo da pochi mesi possiamo cominciare a parlare seriamente di redigere un nuovo piano ambientale, da quando appunto si è insediato il nuovo ente gestore. Va detto comunque che già nel passato, ai tempi della comunità montana, le cose non andavano bene: per ogni Comune del parco erano tre le nomine, ci si ritrovava a riunioni con circa 60 membri e lo stallo e i veti erano sempre all’ordine del giorno. Il parco è nato con dei problemi che, per un motivo o per l’altro, sono ancora tutti irrisolti.»

Contrade vicino Maregge

Mi pare di capire che la proposta di modifica dei confini dell’area parco sia stata una mossa forse sbagliata nei tempi e nella scarsa spiegazione che è stata fornita ai media, ma rappresenti in maniera forte l’esigenza del territorio e delle sue comunità di riformare più di qualcosa del Parco

«Sicuramente la Lessinia è un territorio fragile in cui chi si fa maggiore carico di curare la terra e i boschi non riceve valore aggiunto adeguato; parlo degli allevatori, quelli che sono in trincea tutti i giorni per garantire la sopravvivenza della Lessinia. Se ci si pensa, il turismo lascia il valore aggiunto in mano ai ristoratori, a qualche agriturismo – certamente meritevoli per la loro opera imprenditoriale – ma raramente arriva a chi ci assicura che la Lessinia venga curata come fosse il giardino di casa nostra. Eppure, proprio chi non riceve gratificazioni per la propria opera quotidiana, è anche chi subisce maggiormente i vincoli della burocrazia. Non sto parlando di impiantare nuove cave o di realizzare opere largamente invasive, parlo anche solo di manutenzioni ordinarie. Se guardiamo agli adempimenti che un privato deve rispettare per realizzare piccoli interventi, risulta chiaro a tutti che serva rivedere qualcosa. La questione, seppur mediaticamente sia stata limitata al discorso dei confini, non sta lì. Serve un nuovo piano ambientale che permetta a chi vuole tappare delle buche nella propria strada sterrata utilizzando un camion di ghiaia di non dovere chiedere cento autorizzazioni o aspettare tempi biblici. Poi, a mio avviso, è anche giusto parlare di confini. Tra l’altro ci sono delle piccole aree, del tutto trascurabili rispetto al totale del territorio adibito a parco, che poco c’entrano con la Lessinia. Penso al Ponte di Veja, ad esempio. E viceversa, sono uscite false informazioni sulla presunta esclusione di diverse zone che nessuno mai ha avuto intenzione di togliere. Parlo soprattutto della Spluga della Preta.»

Un’immagine della Lessinia “by night” (foto di Silvia Turazza)

Insomma, la sensazione è che questo congelamento delle operazioni, in attesa di nuove elezioni, sia momento propizio per calmare un po’ le acque e tornare ad affrontare serenamente le questioni...

«Ormai non ci sono i presupposti per cambiare qualcosa nei prossimi mesi, sarà un ulteriore tempo buttato dopo anni di stasi. E intanto nessuno conosce il numero dei cinghiali presenti sul territorio e non ci sono statistiche sull’impatto economico dei danni prodotti dalla loro eccessiva presenza, danni peraltro evidenti e ben visibili. La loro popolazione è fuori controllo e la caccia in selezione, che andrebbe bene per mantenere i capi ad un numero ragionevole in un contesto normale, appare del tutto inutile e non risolutiva nelle attuali condizioni. Sulla caccia al cinghiale c’è stato troppo immobilismo e per troppi anni, anche intervenendo subito sarà difficile pensare che il problema si risolva a breve. I Comuni del parco hanno eletto le rispettive amministrazioni da poco, quindi ci saranno altri 4 anni di gestione continuativa, buoni per sedersi ad un tavolo e, di concerto con Regione e ente gestore, affrontare il problema.»

L’ultimo grande evento nevoso in Lessinia. Era il 16 Marzo 2004, il canto del Cigno di un’epoca che non c’è più

A prescindere dalla questione confini, quanto serve che le istituzioni attivino un piano ambientale per il territorio e identifichino una via di sviluppo rurale della Lessinia?

«Le comunità del parco da troppi anni si sentono sole e mal assistite. Lo Stato appare lontano e tutto questo sentimento può solo peggiorare, qualora non si sfruttino i prossimi anni per realizzare interventi e riforme concrete. Lo sviluppo e il sostentamento della Lessinia non si manifestano attraverso qualche singolo imprenditore di successo, seppure ne stiano emergendo diversi. Le loro storie, però, non sono originate da un sistema, ma dalla specifica singola iniziativa privata e non rappresentano il vero stato di fatto delle imprese agricole e artigiane dell’area.»

Lasciando le vicende dell’oggi, dove sarà la Lessinia tra dieci anni, secondo lei?

«In questo momento non c’è troppa chiarezza. Sono convinto, però, che il futuro della Lessinia parta soprattutto da un equilibrato piano di sviluppo, in cui non si osteggi ideologicamente l’imprenditore che, ad esempio, impianta serre di fragole dove prima c’era pascolo. Tutte le comunità di montagna oggi si scontrano con il problema del ritorno economico, non possiamo mettere sotto accusa chi investe e rischia sul territorio. Semmai, possiamo fare in modo che ciò avvenga a moderato impatto ambientale e secondo certi criteri. Inoltre, per il precedente discorso sul valore aggiunto, dobbiamo fare in modo che vi siano pochi passaggi tra allevatore-produttore e consumatore. Alla Lessinia non servono grandi numeri. Occorre un turismo di qualità.»

Il Piazzale di Malga San Giorgio, simbolo decadente di un modello turistico non più sostenibile

Cosa ne pensa del degrado di Malga San Giorgio? Ci sono progetti credibili all’orizzonte?

«Il caso di Malga San Giorgio è estremamente complesso. Contrariamente ad altre stazioni sciistiche di media montagna che in qualche modo si stanno salvando, il fallimento di Nuova Lessinia Spa, la società che gestiva gli impianti di risalita, ha vanificato ogni tentativo di affrontare la questione nei tempi e modi corretti. A mio avviso oggi l’unica cosa da fare sarebbe procedere a degli espropri, demolire qualcosa di fatiscente e inagibile e riconvertire l’area a una diversa concezione turistica. Prima gli sciatori si ammassavano proprio all’avvio degli impianti. Oggi bikers, camminatori, ciaspolatori e ogni altro tipo di turista, scelgono in modo molto più eterogeneo dove fermare la propria macchina. È impensabile riproporre lo sci a Malga San Giorgio e credere che tornino 2000 auto nel piazzale come negli anni d’oro. Si sentono tante chiacchiere, ma quel che è certo è che non ci sono proposte serie ed economicamente sostenibili. Qualsiasi cosa si deciderà, sarà il punto di partenza di un percorso del tutto sperimentale e incerto. In ogni modo bisogna riconoscere quanto il territorio di Malga San Giorgio sia strategico, di interesse storico-culturale e da cui partono molti sentieri che attraversano aree dai panorami mozzafiato.  Riqualificare la zona sarebbe fondamentale per la Lessinia e per il parco.»

La marcia di protesta per la riduzione del Parco della Lessinia andata in scena domenica 26 gennaio