Con la crisi di governo, il sogno autonomista muore con la soddisfazione di tutta la politica

Alla fine ce l’hanno fatta. Immaginiamo sospiri di sollievo e brindisi con prosecco devenetizzato nella maggioranza e nell’opposizione per questa imprevista accelerazione della crisi che coinvolge – e travolge – anche il percorso di autonomia regionale di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.

Questo stop è una vittoria per tutti. Per Zaia, che dopo aver dichiarato irricevibile la bozza in elaborazione può ora dare la colpa all’M5S e guadagnare mesi, anni con un nuovo percorso che, come sempre, ripartirà da zero. Una vittoria per la Lega, che così può rimandare sine die la spinosa questione che ne avrebbe minato l’immagine: per un partito con radici autonomiste, come la Lega Nord, sarebbe impensabile non fare l’autonomia una volta al governo ma, d’altronde, è altrettanto impensabile farla ora che la leadership salviniana sta trasformando il partito da espressione regionale a partito nazionale (si veda, a riguardo, il tour al sud). Una vittoria per l’M5S, che può dichiarare al proprio elettorato del sud di non aver ceduto al ricatto secessionista (e sarebbe la prima volta, probabilmente…). Inutile, in ogni senso, citare il PD.

Si apre ora un periodo complesso, con una finanziaria alle porte che deve mantenere le promesse elettorali con risorse tutte da trovare, l’Iva al 25% in agguato e le promesse fatte all’UE. Nel frattempo, l’autonomia finirà in un cassetto, come sempre accade, in attesa di un nuovo governo probabilmente – stando ai sondaggi – a traino Lega (sondaggio Ipsos):
FdI 7,5%, FI 7,1%, Lega 36%, tot 50,6%; nel caso di tracollo di FI ci sarebbe la stampella della nuova formazione di Toti.
Fuori e inconsistente (in ogni senso) il PD, 20,5%, in remissione l’M5S, 17,8, il percorso per l’autonomia parrebbe spianato per il 2020. Ma non è così. Perché la nuova maggioranza avrebbe, come questa appena passata, le stesse contraddizioni sul tema:

A febbraio, dalle colonne di questa testata, avevamo visto come l’autonomia per il Veneto fosse una questione economicamente vitale per la sopravvivenza della regione sul lungo periodo. Oggi, con la Germania che scricchiola e intravede la recessione, il futuro si fa ancora più cupo.
La fine del sogno autonomista non è effetto di un complotto di palazzo: è nato morto. E in più ha acceso una reazione stizzita in molte regioni del sud.

Siamo al de profundis di un sogno, di fatto, irrealizzabile, perché portato avanti da partiti (Lega in testa) ed esponenti che per primi non la vogliono ma che non mancheranno di riproporla e rivendicarla, sempre sperando di scaricare l’insuccesso sul pollo (oggi, Di Maio) di turno. Con buona pace dell’elettore veneto e del referendum del 22 ottobre 2017.