Un accordo per evitare la procedura per debito eccessivo secondo il direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici è possibile, ma tutto dipende dalla politica.

Parla a un pubblico di addetti ai lavori e di studenti della Facoltà di Economia proprio quando Bruxelles gela il governo Conte e lo mette in mora per debito eccessivo. Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, è stato invitato ieri a Verona dall’Alvec, l’associazione dei laureati in economia e commercio dell’università scaligera, per dare una lettura della situazione nazionale e cercare di delineare i rischi e prospettive per economia italiana.

Non addolcisce la pillola fin da subito: la radice che ci ha portato fin qui affonda in un sistema Paese che non si è mai scrollato di dosso dei vizi strutturali risalenti al trentennio tra i Settanta e i Novanta, in cui di regola si giocava con l’inflazione e la svalutazione della moneta.

Lo sguardo del professore ricostruisce rapidamente come si sia arrivati alla situazione attuale, ma per farlo descrive ad ampie falcate la situazione economica e dei conti pubblici italiani del periodo preeuro, evidenziando quanto il nostro problema sia stato a lungo la competitività, quindi la crescita troppo bassa, e il continuo aumento del deficit. «E poi è arrivata la crisi 2011-2012, in cui si è rotto l’incantesimo secondo cui non sarebbe stato possibile uscire dall’euro. L’apertura data da Sarkozy e Merkel durante l’emergenza Grecia è stata deleteria per noi, perché i mercati finanziari hanno subito analizzato chi avesse problemi con i conti pubblici e di competitività. E ha trovato l’Italia, che detiene tuttora il debito pubblico più alto in area euro dopo Atene. Oggi persino il Portogallo, che era sotto osservazione, è riuscito a ridurre il debito. E la Grecia in questo momento gode del vantaggio di aver ricevuto dalle istituzioni e dagli altri paesi europei dei crediti, il cui tasso d’interesse è basso. Non ha il nostro stesso assillo ogni mese di convincere gli investitori a comprare titoli di Stato.» 

A preoccupare Cottarelli c’è un avanzo primario, ovvero la differenza tra le entrate e le spese al netto degli interessi passivi, che ha ripreso a diminuire, per il continuo crescere della spesa. E lo spauracchio di superare il tre per cento del patto di stabilità è molto vicino. «Il debito pubblico così alto rende l’Italia un Paese molto suscettibile, per il quale devono continuare a sussistere due fattori: la continua crescita dell’area euro e, internamente, una politica che rispetti i limiti. La prospettiva dei conti del prossimo anno però è problematica. Già per la flat tax ci vorrebbero almeno 10-15 miliardi perché possa dare effetti utili alla crescita, mentre gli interventi di quota 100 e del reddito di cittadinanza hanno portato il debito fuori dai parametri europei.»

Carlo Cottarelli all’Università di Verona con Vincenzo Di Matteo, presidente Alvec

L’opzione di essere sottoposti alla procedura per deficit eccessivo non è di per sé, secondo Cottarelli, una tragedia. «La Francia c’è già stata e per diverso tempo, senza subire troppi danni. Per questo mi auguro un atteggiamento di dialogo, più che porsi in contrapposizione per cambiare le regole, perché il risultato è solo uno: lo scontro diventerebbe subito pane per i mercati finanziari. Non basta dichiarare che non si vuole uscire dall’euro, o escluderne il progetto dal patto di governo: non rispettare le regole è di fatto un modo di manifestare le proprie intenzioni. Con i toni terroristici la situazione diventa solo più difficile e nefasta per l’Italia. Anche perché gli europei non vogliono buttarci fuori.»

Il quadro che emerge dalla lettura della realtà non ha vie d’uscita di facile percorrenza. «La strategia che proponevo a inizio 2016, con il congelamento della spesa, il favorire la crescita anche dell’1 per cento, e l’accantonamento delle entrate, ci avrebbe portati quest’anno al pareggio di bilancio senza fare tagli. Il problema di questo approccio è che richiede tempo». E la politica oggi invece ha fretta.

Eppure secondo Cottarelli delle possibilità ci sarebbero per dare un impulso positivo al sistema italiano: ridurre i costi delle imprese («la burocrazia secondo il dipartimento di finanza pubblica della Presidenza del consiglio costa alle pmi fino a 35 miliardi all’anno»), recuperare competitività senza toccare i salari, attrarre investimenti stranieri. «Ma per farlo bisogna abbassare le tasse, snellire la macchina burocratica e garantire la certezza del diritto. Il sistema giudiziario italiano in media giunge a sentenza definitiva dopo sette anni, la Germania ne impiega poco più di due.» 

Tagliare l’evasione fiscale e ridurre la spesa sono perciò i primi passi da fare, quindi abbassare le pressione fiscale. «Per risolvere il debito pubblico serve una crescita anche contenuta all’1 per cento annuo. Il governo pensa che si possa fare con la finanza pubblica e quindi aumentando ancora il deficit. A breve periodo può funzionare, io stesso l’ho sostenuto con il fondo monetario internazionale nella crisi del 2008. Caldeggiai che i Paesi del G20 aumentassero la spesa pubblica, ma solo l’Italia ne fu esclusa, perché non se lo poteva permettere e con un deficit così alto la manovra non avrebbe comunque funzionato. C’è chi sostiene questa visione: nello stesso contratto di governo, si legge che facendo più spesa l’economia riparte, le entrate aumentano e il deficit si riduce. Se fosse così semplice credo che sarebbe un intervento molto praticato, invece in uno studio recente abbiamo analizzato le politiche dei paesi occidentali di questi ultimi 75 anni: mi spiace dire che nessuno ha ridotto il deficit aumentando la spesa

Il commento sui minibot è lapidario: «mi chiedo perché introdurli. Sarei curioso di vedere quale tasso di cambio si applicherebbe tra euro e mini-bot. Anche se c’è scritto che vale 5 euro non è detto che il mercato gli riconosca questo valore. Che le persone accettino di usarlo può anche essere, ma non è una soluzione che porta lontano. Lo accetteranno all’estero o le banche? Ho i miei dubbi. Piuttosto penso che sia un modo per abituare gli italiani a usare una moneta diversa dall’euro», una specie di prova generale prima di uscire definitivamente dalla moneta unica.

All’orizzonte un’altra nuvola nera è la scadenza della presidenza Draghi alla Bce. «Mi preoccupa il fatto che in caso di crisi non ci sia una risposta rapida da parte dell’Unione, cosa che invece la sua figura ha favorito. Siamo un sistema molto vulnerabile alle ondate speculative e bastano pochi bastoni tra le ruote per favorire l’approfondimento della crisi.»

A fine intervento, Cottarelli commenta la proposta della Commissione europea di attivare la procedura per debito eccessivo con un laconico «ci siamo già passati da queste tensioni, non è detto non si possa trovare un accordo».

Prima di ripartire, risponde a un’ultima domanda circa la sua eventuale disponibilità nel caso il presidente Mattarella lo chiamasse di nuovo. «Non vedo all’orizzonte un governo tecnico, quindi non vorrei rispondere in astratto a questa domanda. L’altra volta mi è stato chiesto di portare il Paese a nuove elezioni, quindi di operare in un periodo breve e gestire l’ordinaria amministrazione. Resta comunque un onore per italiano assumere incarico di governo, però bisogna vedere che cosa c’è da fare.»