Lo sognava tutto diverso questo Giro che termina a Verona. E invece Elia Viviani in Arena il 2 giugno non ci sarà. Lo aveva già fatto ampiamente intendere nei giorni scorsi dopo aver capito che la maglia ciclamino della classifica a punti conquistata lo scorso anno grazie a un poker d’assi, non sarebbe riuscito a indossarla all’atto finale davanti alla sua gente. Ancora a secco, Elia inseguiva almeno un successo di tappa, un sigillo che lasciasse il suo segno. Niente da fare. Tre volte secondo rispettivamente dietro Ackermann, Ewan e Demare. Poi nulla, se non il ruolo indigesto del comprimario.

Le volate sono duelli rusticani che si vincono di gambe e testa. Le armi sono potenza esplosiva e lucidità chirurgica. E Viviani la serenità l’ha persa al terzo giorno sul traguardo di Orbetello, quando è stato privato dalla giuria della vittoria per un cambio di traiettoria (netto, va detto). Punizione severa, ma legittima. Da quel momento, il mare dell’insofferenza gli si è increspato dentro, non è stato più lui e il vero Viviani non l’abbiamo visto più. L’ultimo treno poteva essere allora la volatona sul traguardo di Novi Ligure. Elia ci ha provato, ha cacciato giù la capoccia e spinto a rullo sui pedali ma, vistosi per l’ennesima volta la strada sbarrata, ha desistito chiudendo quarto. Film già visto, segno che a quel motore manca lo spunto dei giorni belli e lì dentro qualcosa che non va c’è. Vittoria alla pallottola australiana Ewan, al secondo centro.

Il Giro prende ora la strada delle grandi montagne, non certo un terreno per un velocista puro come Viviani. La maglia ciclamino è ormai andata. Teoricamente ci sarebbe l’arrivo la prossima settimana sul piattone di Santa Maria di Sala, ma prima c’è da spaccarsi le gambe e scollinare il Calvario. Ne vale la pena? Crediamo onestamente di no. Meglio quindi tornare a casa e pensare a preparare il resto della stagione. Al Tour de France ci sono tutti i pistoleri delle volate ad attenderlo: «Si vede chiaramente che non sono sereno, – ha spiegato Viviani – qualcosa non funziona. Non sono arrabbiato, ma deluso. Il mio Giro finisce qui, devo ritrovare serenità e staccare la spina. Ne ho prese di batoste nella mia carriera e sono sempre ripartito». Glielo auguriamo di buon cuore.

Sia chiaro, Elia Viviani non era un fuoriclasse prima, quando vinceva, ma nemmeno un brocco, oggi che mette le ruote dietro agli altri. Prima di lasciar esondare il fiume della critica, ci pare opportuno alzare gli argini della ragionevolezza; Viviani è un ottimo sprinter, ritroverà il colpo di pedale smarrito e su di lui tornerà il sereno, ci scommettiamo. Chissà che ora nella tranquillità lontana dai riflettori, non possa darsi le risposte alla sequela di punti interrogativi che sull’asfalto gli lascia un Giro che per lui è stato tutto ciò che non avrebbe dovuto essere. Il ciclismo profuma di vita. Si cade e ci si rialza. Va così.