Alla vigilia di Vinitaly 2019, il valore del bello si traduce sempre di più in strumento di promozione. Un’opportunità enorme, se solo le cantine italiane ci credessero davvero.

Etichettare un vino non è cosa moderna. Contemporaneo però è vedere la superficie di una bottiglia di vetro come un supporto anche artistico, che amplifica il valore del prodotto grazie al suo messaggio estetico. 

Già gli Egizi usavano apporre sulle anfore sigillate l’iscrizione che ne descriveva contenuto, provenienza, annata e nome del produttore. Si deve però aspettare la fine del Seicento, con l’introduzione della bottiglia di vetro e del tappo in sughero, per veder comparire prima una pergamena apposta al collo della bottiglia, introdotta dal monaco Pierre Pérignon, seguita poi nel 1840 da vere e proprie etichette illustrate applicate allo champagne della Maison de Venoge. In Italia, a fine Settecento in Piemonte e Sicilia compaiono bottiglie contrassegnate da cartigli descrittivi del prodotto, con immagini araldiche e riproduzione dei riconoscimenti ottenuti. È però Château Mouton Rothschild la prima casa vinicola ad utilizzare sulle bottiglie del suo Gran Vin opere d’arte di artisti contemporanei, come Georges Braques, Salvador Dalì, Joan Mirò, Marc Chagall, Wassily Kandinsky, Pablo Picasso, Andy Warhol, Francis Bacon, Robert Wilson, Keith Haring, a partire dal 1945.

Vinitaly 2019 e il ruolo del design

La capacità dell’arte di mettere in relazione diversi piani sensoriali e di stimolare la percezione diventa quindi un valore aggiunto per i produttori, una potenzialità che Vinitaly Design International Packaging Competition ha premiato anche quest’anno, consapevole che oggi non conti solo il prodotto ma anche come si presenta esteticamente ai consumatori. L’edizione numero ventitré del concorso ha visto partecipare 255 campioni per 13 categorie merceologiche e sempre di più valorizza il ruolo del packaging e del design, quali strumenti imprescindibili di comunicazione del vino. Quest’anno il concorso integra anche il progetto del nuovo salone Vinitaly Design all’interno della fiera, che si aprirà domenica 7 aprile.

«C’è un fine molto pragmatico nella riuscita di una bella etichetta: far vendere il prodotto. La piacevolezza del confezionamento di un prodotto può incidere anche del 75% sull’acquisto, però l’estetica da sola non basta perché un’etichetta abbia successo – afferma Chiara Tomasi, graphic designer esperta di packaging, curatrice d’arte, e membro della giuria del concorso Vinitaly Design –. Si deve infatti rispettare la normativa, conoscere gli aspetti tecnici dell’etichettatura e della performance che un’etichetta deve avere in diverse situazioni. Il vino poi è un prodotto agroalimentare rigorosamente disciplinato, quindi il suo packaging deve dare molte informazioni al consumatore.»

Un ponte culturale visivo nell’età della globalizzazione

Il legame con l’arte diventa quindi più efficace quando non contano solo i messaggi immateriali da veicolare, ma anche l’attento studio del target e del mercato in cui il prodotto è venduto. «Il vino italiano è destinato soprattutto all’export e arriva anche in Paesi, come la Cina, la cui cultura visiva è molto diversa dalla nostra – riprende Tomasi –. Sul piano simbolico, ad esempio, il giallo e l’oro sono sinonimo di eleganza, mentre in Italia li troveremmo soverchianti o persino pacchiani. D’altro canto, occorre non stravolgere la nostra identità per accontentare i mercati esteri: la globalizzazione induce alla semplificazione formale per facilitare la collocazione dei prodotti in tutto il mondo. Ma va tenuto in conto che la standardizzazione è nemica dell’identità e il vino italiano è un emblema della specificità del territorio e della cultura che lo producono. Occorre quindi saper creare visivamente un ponte culturale, al posto di appiattire i codici comunicativi ed estetici.» 

Il rapporto tra cantine e artisti ha diversi esempi emblematici anche in Italia, si pensi al produttore langarolo Vietti, che dagli anni Settanta fa realizzare da diversi autori, come Claudio Bonichi, Mino Maccari, Wayne Thiebaud, Jerry Uelsmann, delle etichette che descrivano le caratteristiche dell’annata. Particolare invece il “Vino della pace” ideato dalla friulana Cantina Produttori Cormòns, un prodotto speciale frutto di 550 varietà di uve, provenienti da vitigni di ogni parte del mondo, la cui etichetta negli anni è stata opera di artisti come Enrico Baj, Arnaldo Pomodoro, Giacomo Manzù, Mimmo Rotella, Robert Rauschenberg, Fernando Botero, Piero Gilardi, Emilio Tadini.

Ancora più radicato il legame con l’arte della Tenuta di Nittardi, nel XVI secolo proprietà di Michelangelo Buonarroti: nel 1981 il gallerista tedesco Peter Femfert acquistò l’azienda e coinvolse numerosi artisti nella realizzazione delle etichette del suo Chianti Classico Docg. La collezione oggi conta più di 60 lavori di autori internazionali come Horst Janssen, Giuliano Ghelli, Mimmo Paladino, Günther Grass, Dario Fo, Friedensreich Hundertwasser, Joe Tilson, Karl Otto Götz e molti altri.

I vini italiani tra forma e contenuto

«Ci sono etichette che sono vere e proprie opere d’arte, che siano realizzate da artisti o da designer – spiega Tomasi –.  Il lavoro che ha vinto il concorso internazionale di Vinitaly, realizzato dallo studio Spazio Di Paolo, è però non solo convincente sul piano estetico, ma anche su quello della ricerca. L’origine etnea del prodotto è rappresentata non solo dalla sagoma dell’etichetta, ma dall’inchiostro a base di finissima polvere lavica, che ha richiesto un attento processo di ingegnerizzazione per realizzare un’idea suggestiva e di rapida riproduzione con i macchinari tecnologici di oggi.

L’arte senza la tecnologia in questo settore sarebbe impoverita e poco adatta alle esigenze dei produttori, che necessitano di qualità e rapidità. Il messaggio d’altronde è chiaro: le cantine italiane devono capire che tra forma e contenuto c’è un potenziale enorme, ancora inespresso ma che si traduce in migliori performance di vendita. Il limite italiano, che riguarda ancora buona parte del mondo del vino e ancora di più quello dell’olio, è di pensare solo al prodotto. Eppure siamo protagonisti nel mondo anche nel comparto del design. Urge che la cultura d’impresa nazionale superi questa resistenza culturale, anche perché al contrario l’estero va avanti, come ad esempio fanno molte cantine spagnole che investono in questo settore. Spero che ci sia un’inversione di tendenza, perché finora non ci stiamo muovendo da leader».