L’allarme della filosofa Agnes Heller, protagonista del pensiero del Novecento e oggi nel ruolo di Cassandra della fragilità europea, a partire da ciò che accade nell’Ungheria di Viktor Orban.

Intreccia legami con il nostro Paese da diversi decenni Agnes Heller, considerata una delle più importanti filosofe protagoniste del Novecento e giunta in Italia per una serie di conferenze, tra cui quella tenutasi il 19 marzo al monastero di Sezano. Già assistente di György Lukács, è considerata la massima esponente della Scuola di Budapest, corrente che prende posizione negli anni Cinquanta contro il regime ungherese e che le fa guadagnare l’espulsione dall’università nel 1959, con  il divieto di pubblicazione dei suoi scritti. Una censura che si protrae fino agli anni Settanta, aggravata dalla sua protesta contro l’intervento sovietico in Cecoslovacchia. Heller emigra quindi con il marito in Australia, dove riprende a insegnare sociologia a Melbourne, a cui segue anche la docenza negli Stati Uniti, occupando la cattedra che fu di Hannah Arendt.

Agnes Heller

Una vita vissuta nel cuore dei vortici del Secolo breve, sia come vittima, insieme alla sua famiglia, della persecuzione in quanto ebrea – il padre morì ad Auschwitz –, sia come intellettuale boicottata dal regime reazionario dell’Ungheria filosovietica.

Della lettura non ideologica di Marx restano oggi molte fondamenta nel pensiero di Heller, ma è soprattutto il paradigma dei bisogni fondamentali dell’uomo a strutturare la sua ricerca, che oggi si rivolge ad analizzare le fragilità di un’Europa sempre più incerta rispetto al proprio futuro. In libreria da poche settimane con Orbanismo. Il caso dell’Ungheria: dalla democrazia liberale alla tirannia, pubblicato da Castelvecchi, la filosofa denuncia la natura epidemica dell’etno-nazionalismo che ha garantito l’ascesa di Orban, ma che si sta diffondendo rapidamente in altri Paesi europei, costruendo uno scenario di conflitti tra Stati simile a ciò che accadde nel 1914. Una denuncia che arriva puntuale a ridosso delle imminenti elezioni europee e che segue l’edizione, nel 2017, di un altro libro di allarme, Paradosso Europa.

«L’Europa ha dato vita alla filosofia classica, alla tragedia e al concetto di progresso. Ora tutte e tre queste cose sono finite, non esistono più – afferma Heller –. Hegel ha decretato la morte della filosofia come la intendeva Platone, il teatro oggi produce opere ben lontane dalla tragedia che Shakespeare, Racine, Corneille hanno portato alla massima pienezza. E l’idea di un continuo avanzamento, che ha animato tutta l’età moderna, oggi è in crisi profonda.
Sono questi – la filosofia, la tragedia, l’idea di progresso – tutti frutti specifici del pensiero europeo, ma oggi non sono più attuali. Il culto del futuro che si respirava dopo la Seconda guerra mondiale non esiste più. Si è pensato fino a poco tempo fa che lo sviluppo avrebbe contagiato anche la società, che nel suo progredire sarebbe diventata più felice, più ricca e giusta. Però questo non è accaduto. Anche se possiamo votare, ciò non ha a che fare con la felicità. E non basta la proiezione in avanti della scienza e della tecnica a farci essere ottimisti.»

Se dopo la Seconda guerra mondiale ha preso forma una visione universalistica dei diritti umani e l’ideale delle società aperte ha contribuito alla stesura di leggi universali e di modelli di governo, sempre in Europa non è mai morto l’etno-nazionalismo. «Un paradosso che di fronte alla crisi migratoria diventa esiziale per il futuro europeo – continua Heller –. Se in questo continente è nata l’idea che tutti gli esseri umani sono liberi, altrettanto qui si sono sperimentati gli orrori dei totalitarismi. Tra i grandi ideali e una realtà che non ha più fiducia nel futuro, fermenta un modello di politica che usa il nazionalismo su base etnica come ideologia comoda. Non accade solo in Ungheria, ma anche in Turchia, in Polonia, in Egitto. Quello che colpisce è che non c’è bisogno di azioni violente per prendere il potere: basta il voto democratico. Da un lato c’è una società di massa, dall’altro dei governi che declinano tutto ciò che è straniero, che siano i migranti o le istituzioni europee, in un nemico. L’etno-nazionalismo è l’ultima ideologia moderna e ha bisogno di una democrazia illiberale per prosperare grazie al voto dei cittadini.»

Agnes Heller, al centro, durante la conferenza al Monastero di Sezano, Verona


«Orban ripete di essere democratico – riprende la filosofa ungherese –, ma credo sia necessario ridefinire il concetto di democrazia, che non è affatto limitata all’avere diritto di voto. Solo se si può dire di no al potere senza subire ritorsioni esiste un governo equilibrato. E in Ungheria adesso non è così. Inoltre Orban ha reso illegale la povertà, i senzatetto devono nascondersi altrimenti finiscono in prigione. Non esiste ripartizione delle risorse, perché grazie anche alla sua rete di oligarchi sta avvantaggiando i ricchi a scapito dei poveri. Non siamo di fronte a un populista, ma a un illiberale. Tutto ciò che accade esprime solo la sua volontà.»

Cosa spinge allora i cittadini a rieleggere un leader che li sta impoverendo? «L’ideologia gioca un grande ruolo oggi – conclude Heller –. Si continua a dire che ogni colpa viene da fuori: dall’Europa, dai migranti, anche se di questi ultimi non c’è traccia sul suolo ungherese. Tre anni fa, quando il mio Paese era sulla rotta verso l’Austria e la Germania, una fetta di popolazione si era messa a disposizione di queste persone, offrendo cibo, acqua, vestiti. Cercava di dare aiuto a chi ne aveva bisogno semplicemente perché ne veniva in contatto. Ora gli stessi migranti sono scomparsi, eppure sono una continua minaccia, degli invasori, degli stupratori e Orban passa per essere l’uomo giusto che li tiene fuori dai confini nazionali.»

Ad aggravare la fragilità europea c’è anche un’opposizione che, sebbene possa contare sul supporto di una buona fetta di cittadini, prima marcia insieme nelle manifestazioni di protesta per poi farsi la guerra al momento delle elezioni. «Chi protesta oggi ha solo la consolazione di non essere solo, ma è da trent’anni che non c’è alcun seguito efficace alle manifestazioni che attraversano l’Europa. Così vincono sempre i tiranni.»