La notizia sta facendo il giro del mondo. Dopo essere stata condannata già nel settembre 2016 a una pena di cinque anni, l’avvocatessa e attivista iraniana Nasrin Sotoudeh – colpevole secondo le organizzazioni umanitarie solo di aver difeso attivisti, oppositori e le donne iraniane finite in manette per essersi tolte il velo in pubblico – subirà una condanna che il regime di Teheran considera “esemplare”: 33 anni di carcere e 148 frustate che vanno a sommarsi alla precedente condanna emessa tre anni fa, per un totale di 38 anni di reclusione. L’equivalente, quasi, di un ergastolo. Questa volta, i capi d’imputazione sono sette, tra questi c’è incitamento alla corruzione e alla prostituzione, commissione di un atto peccaminoso, essendo apparsa in pubblico senza il velo, e interruzione dell’ordine pubblico. Ne parliamo con l’avvocato del Foro di Verona Anna Tragni, membro dell’Associazione Avvocato di Strada, che di recente ha visitato l’Iran, un Paese di grande tradizione culturale e ricco di storia, ma che da quarant’anni vive sotto una cruenta dittatura. A pagarne le spese, purtroppo, è sempre l’inerme popolazione.


Nasrin Sotoudeh

Avvocato Tragni, qual è la sua prima reazione alla notizia?

«Sono scissa tra il grande stupore – agli occhi di un turista l’Iran di oggi è un Paese tranquillo e apparentemente rispettoso – e la consapevolezza che questa condanna, in realtà, conferma quello che il regime propina al suo popolo, da quando nel 1979 è stata proclamata la Repubblica Islamica Iraniana.» 

Cosa ci può dire di questo grande Paese, dalla storia millenaria?

«Essendo stata una settimana in Iran mi sono documentata molto, anche grazie a romanzi e storie vere. Ho studiato gli anni della Rivoluzione, gli anni della guerra con l’Iraq ecc. Siamo al cospetto di un regime sanguinario, che ha zittito prima gli oppositori, ma successivamente ha falciato anche le opposizioni che si sono create al suo interno. Si è trattato in tutti questi casi di processi farsa e di esecuzioni sommarie.»

L’avvocato Anna Tragni in Iran

 Qual è la condizione della donna in Iran?

«I diritti delle donne in quel Paese sono particolarmente compressi. Parliamo proprio del caso di Nasrin Sotoudeh: uno dei capi di imputazione è che li vige l’obbligo dello hijab e quindi di utilizzare il velo per le donne. E lei aveva sempre spinto le donne iraniane affinché combattessero contro questa imposizione e non lo utilizzassero. Si tratta, in realtà, di una battaglia che le donne portano avanti da tempo, con esiti fin qui purtroppo infausti. Quando sono stata in Iran, pochi mesi fa, ho visto tutte le donne indossare il velo. Anche noi turiste lo abbiamo dovuto indossare, sempre. E abbiamo avuto percezione della “serietà” di quest’obbligo quando a una mia compagna di viaggio è scivolato il foulard sulle spalle e una camionetta della polizia si è fermata appositamente per farglielo rimettere a posto. Con gentilezza, perché i turisti ovviamente vengono trattati sempre con molta cura, ma anche con assoluta fermezza.»

Cosa l’ha colpita di più della vicenda dell’avvocatessa?

«La punizione inflitta è davvero durissima. Il particolare delle frustrate è agghiacciante, ma anche la reclusione a Evin, la prigione di massima sicurezza a nord-ovest di Teheran, è un colpo disumano nei confronti di chi si è solo opposta al regime. Questa condanna grida vendetta. Stiamo parlando di una donna che si è sempre battuta per i diritti civili del suo popolo e che ha anche ricevuto riconoscimenti internazionali per questa opera, qualche anno fa. La comunità internazionale dovrebbe indignarsi e farsi sentire, perché è assurdo che nel 2019 si venga condannati perché si fa opposizione. È assurdo.»

Quali strumenti si possono utilizzare, secondo lei, per influenzare il regime iraniano e ammorbidire, magari, questa pena?

«L’arma che viene utilizzata è sempre quella dell’embargo, che però colpisce più che altro la popolazione locale, che ne paga per prima le conseguenze. L’Iran ha un territorio ricco di materie prime, ma in realtà poi queste ricchezze finiscono in gran parte all’estero, a cominciare dal petrolio. Certo, un peggioramento delle condizioni di vita di un intero popolo non farebbe comunque bene al regime in termini di popolarità, che già non è alle stelle, ma forse avrebbe molta più efficacia la promessa di facilitare i commerci e quindi di migliorare l’attuale condizione del Paese, invece che minacciare di peggiorarla. Questo potrebbe ingolosire il regime e disporlo a ridurre la pena per l’avvocatessa iraniana.»

Secondo lei in futuro ci potranno essere “spiragli” democratici per il grande Paese mediorientale?

«La propaganda ti propone l’immagine di un Iran che si vuole risollevare, culturalmente e socialmente, e da turista in certi momenti si può anche pensare questo, ma purtroppo è una realtà poco attinente alla verità. Forse si, le nuove generazioni potranno un giorno rovesciare il regime, perché anche grazie a internet e ai social network oggi si può creare una coscienza. Tutti i ragazzi giovani che abbiamo incontrato sono molto curiosi nei confronti degli stranieri e desiderosi di confronto per capire come viviamo in Occidente. Obiettivamente non so quanto potrà durare ancora tutto questo oscurantismo.»

L’Avvocato Tragni, seconda da sinistra, insieme ad alcune compagne di viaggio

Durante il suo viaggio in Iran ha percepito forme di “ribellione” da parte della popolazione?

«Si, certo. A Teheran ci sono vari locali frequentati da giovani che vestono all’Occidentale, ascoltano musica rock e bevono alcolici. Tutto questo sarebbe in teoria proibito, ma in certe zone della capitale sono atteggiamenti “tollerati”. Inoltre la nostra guida, una quarantenne molto in gamba che ha trascorso lunghi periodi della sua vita in Italia, si è sempre dimostrata assolutamente contro il regime. Ha tentato in tutti i modi di farci vedere anche un Iran diverso, più aperto. Era la prima a togliersi il velo quando salivamo sul pullman e spesso si truccava con il rossetto (anche se proibito). Insomma, non era assoggettata ai dettami della Sharia, anzi… Durante il viaggio abbiamo fatto tappa nella città santa di Qom, per visitare la tomba sacra di Fatima, sorella di uno dei profeti, e dove c’è la più importante Scuola Coranica del Paese, dove viene ovviamente insegnato l’islamismo. Lì vengono cresciuti i futuri Ayatollah, la massima autorità iraniana. All’ingresso femminile della moschea (naturalmente ben distinto da quello maschile) c’erano alcune donne con il compito specifico di vigilare i “costumi” di chi vi entrava e in caso di presenza di trucco veniva richiesto di toglierlo. La nostra guida era contrariata, perché non voleva che vedessimo queste scene, secondo lei (giustamente) degradanti. In generale, però, devo dire per esperienza che ho notato in Iran un maggior rispetto nei confronti delle donne da parte degli uomini di quanto abbia potuto constatare con mano ad esempio nel mondo arabo, dove una donna che viaggia da sola viene vista male e in qualche caso anche molestata.»

Un Paese che poi ha una storia straordinaria a partire dall’Impero Persiano…

«… e di cui il popolo iraniano è molto orgoglioso. Abbiamo visitato il sito archeologico di Persepolis, che risale al 500 a.C. ed è davvero un luogo bellissimo, carico di simboli. Gli iraniani sono molto nazionalisti e legati alle loro tradizioni: hanno mantenuto il loro calendario, che è diverso da quello arabo e da quello gregoriano, e il Capodanno viene festeggiato non il primo gennaio, ma all’equinozio di primavera, il 21 marzo, quindi fra pochi giorni. Hanno, poi, caratteristiche rituali provenienti dalla tradizione zoroastriana. Hanno un mix culturale davvero interessante, anche perché da conquistatori persiani hanno sempre integrato e fatto proprie le culture altrui in modo illuminato, senza soggiogare gli insediamenti precedenti e sono per natura, ancora oggi, sempre molto accoglienti.»

Ci può consigliare un libro per approfondire meglio la realtà di questo paese?

«Ho trovato molto interessante la lettura de L’Iran oltre l’Iran, di Alberto Zanconato, un giornalista che per motivi professionali e personali ha vissuto a Teheran per tanti anni e che  riesce a illustrare aspetti anche meno noti del Paese. Per chi invece preferisce i romanzi consiglio vivamente La Casa nella Moschea di Kader Abdolah, che narra di una una saga familiare dai tempi dello scià sino ai giorni nostri, intersecando le vite dei protagonisti con la storia del Paese.»