Il 24 gennaio, nello stato di New York, il Senato ha approvato una legge che prevede di ampliare i termini legali per l’accesso all’aborto, subito ratificata dal governatore Andrew Cuomo. Prima ancora delle agenzie di stampa più note (nessuna traccia della notizia né su Ansa.it né su altre agenzie il 24/01) alcuni giornali dal chiaro orientamento hanno lanciato i loro titoli. Alcuni, in ordine sparso:

lanuovabq.it: Aborto fino alla nascita, i dem celebrano la loro follia;

Fanpage.it: Lo Stato di New York legalizza l’aborto fino al nono mese di gravidanza;

Avvenire: Abortire fino all’ultimo giorno di gravidanza: a New York ora si può;

Imolaoggi.it: New York: approvata legge per abortire fino al 9°mese “per qualunque motivazione”;

Interris.it: Aborto consentito fino all’ultimo giorno di gravidanza

Ilprimatonazionale.it: New York, legale l’aborto fino al nono mese: “Non è omicidio”

New York

Gli articoli sottolineano o lasciano intendere un dettaglio inquietante: fino all’ultimo giorno sarebbe possibile uccidere un feto “invalido” o “gravemente ammalato”. La strage degli innocenti, sembrerebbe. Ma è così? Vediamo il testo:

«According to the practitioner’s reasonable and good faith professional judgment based on the facts of the patient’s case: the patient is within twenty-four weeks from the commencement of pregnancy, or there is an absence of fetal viability, or the abortion is necessary to protect the patient’s life or health.» [1]

Si cita correttamente il termine delle 24 settimane, ovvero dei 6 mesi dall’inizio della gravidanza: “or authorized practitioner within 24 weeks from the commencement of pregnancy” (e, in questo passaggio, non fino al nono mese, per inciso, se non per i casi di rischio di vita per la madre). Soprattutto, non si parla di feti ammalati o invalidi, ma di feti per i quali «vi è un’assenza di vitalità fetale». Quindi, nel senso comune, sono già morti. Tutto questo sembrerebbe un’ovvietà, ma ripensiamo alla vicenda di Savita Halappanavar, morta “dopo che i dottori le hanno negato un’interruzione di gravidanza alla 17esima settimana, spiegandole che «questo è un paese cattolico»” [2] nonostante fosse necessario per salvarle la vita.

Questo, per i giornali sovracitati, è un chiaro incitamento all’aborto selettivo e sistematico.

Ora, nessuno vuole l’aborto. Nessuno. Tuttavia, bisogna anche guardarsi dal traviare i fatti presi dalla foga barricadera di agire in nome di Dio e della Verità. Nel testo si afferma chiaramente che è il medico a stabilirne l’eventuale necessità. Si obietterà che la scarsa coscienza e la fama di denaro di alcuni di loro permetterebbe il diffondersi della pratica, ma questo però vale per tutto. Se si ritiene che i medici siano in malafede e che agiscano per denaro sulla pelle dei bambini, la soluzione non può essere eliminare la pratica dell’aborto. Considerato il numero di casi legati alla pedofilia tra i preti, la soluzione per tutelare i bambini sarebbe eliminare il sacerdozio?

Da questa notizia nascerà probabilmente una polemica tra la destra cattolica e sovranisti contro i «libertari atei, senza morale né Dio», conflitto che non sposterà di una virgola il problema, ma che aiuterà ad aumentare le vendite dei quotidiani e argomenti ad effetto per una politica al momento sonnacchiosa e inerte nella garanzia dei diritti della Legge 194, anche quando il Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa segnala che «Nonostante la situazione sembri migliorata, permangono considerevoli disparità d’accesso all’interruzione di gravidanza a livello locale» e «l’Italia non ha dato informazioni sulle misure prese per prevenire atti di molestia morale contro i medici non obiettori di coscienza» [3].

E, di nuovo, torniamo al problema trattato su questa testata qualche giorno fa: il ruolo dell’informazione. Con, in più, l’aggravante di una pessima traduzione. Questa sì in malafede.

Che facciamo, eliminiamo il giornalismo?

[1] Senate Bill S2796, 2017-2018 Legislative Session.

[2] Irlanda: le impediscono di abortire e muore, “CorrieredellaSera.it”
15 novembre 2012.

[3] Strasburgo, in Italia disparità per accesso all’aborto, “Ansa.it”24 gennaio 2019.