«Credo moltissimo nel tramandare quello che ho accidentalmente potuto imparare lungo il percorso della mia carriera. Ho visto e conosciuto moltissime cose, disseminate in anni, luoghi, continenti e culture anche lontane. Sento di avere un bagaglio di conoscenze molto complesso e unico, anche per l’unicità della mia esperienza».

Incontriamo Gabriele Muccino a Palazzo Barbieri, la sede del comune di Verona. Più precisamente nella prestigiosa (sono aggettivi che vanno usati in questi contesti, mi dicono) Sala Arazzi, una bella sala affrescata al cui centro c’è un grosso tavolone rotondo che farebbe impallidire Re Artù e tutta la compagnia. È la sala dove, nella nostra città, si tengono tutte le conferenze stampa più importanti e questa lo è. C’è l’assessore allo sport e al tempo libero Filippo Rando, e quando c’è un assessore state sicuri che qualcosa bolle in pentola.

Gabriele Muccino durante la conferenza stampa di presentazione della sua masterclass

Quel qualcosa, o qualcuno, in questo caso è Muccino, che giunge a presentare la masterclass organizzata da Studio Cinema, accademia di studi cinematografici fondata da Massimiliano Cardia a Roma, da qualche anno presente con una sede anche a Verona. È una grande occasione, davvero. Perché Muccino ha un’esperienza impareggiabile, conosce i trucchi del mestiere, vive e respira set da ormai vent’anni. Imparare da lui è come abbeverarsi direttamente alla fonte.
E ok, qualcuno di voi starà già scuotendo la testa e ruotando gli occhi. Gabriele Muccino è un regista spesso criticato, ma è una sorte comune a tanti registi italiani. L’ultimo bacio è stato una hit generazionale, ma il suo sequel Baciami ancora non ha convinto troppo, legato com’era a stilemi risalenti ai primi 2000 e all’era dei “trentenni in crisi” (che comunque ha inaugurato lui). La ricerca della felicità e Sette anime, i film della collaborazione con Will Smith, per alcuni sono delle iniezioni di melassa intollerabili.
Insomma, potremmo definire Muccino un regista diseguale? Definiamolo. Ciò non toglie che lui in America ci sia andato. Che abbia diretto Will Smith, uno che fino a pochi anni fa bastava metterlo in cartellone e poi dovevi solo contare i soldi, ben due volte. Che abbia diretto Russell Crowe. Non è mica così scontato che un regista italiano, oggi, attraversi l’Atlantico e finisca a lavorare con nonchalance con due delle più grandi stelle di tutti i tempi.

Quindi, al di là delle (pur legittime) critiche, qualcosa ci sarà pure dietro a questo successo. Un mestiere consolidato dal duro lavoro e dall’impegno. Un’esperienza che, a suo dire, è stata «lunga, complessa, esaltante ma anche frustrante». «Ora ho il lusso di poter sintetizzare la mia storia per permettere a voi», cioè gli studenti di Studio Cinema, «di partire sapendo queste cose, senza dover per forza sperimentare la loro esplorazione di persona». «Raccontare quello che ho vissuto – prosegue – vuol dire raccontare come sono gli altri in questo mestiere. Si ha sempre a che fare con molte persone diverse, attori, produttori, maestranze, marketing.» Dopo tutto è «un’industria che deve mandare la gente al cinema, c’è una finalità commerciale, ma a monte c’è anche una forma artistica che deve emozionare e raccontare le dinamiche tra persone. È questo il motivo per cui iniziato a fare il regista».

Insegnare, per Muccino, è anche «un’esperienza catartica. Il percorso di un regista è sempre frontale, si guarda sempre avanti. Quando si insegna si ha l’occasione di fare i conti con quello che si è fatto. La mia messa in scena è molto istintiva, ma nasconde un subconscio che la guida e può essere analizzata in modo da essere capita da chi non è con me sul set». Ma qual è, gli chiediamo, la prima lezione da lui imparata quando ha iniziato il suo percorso professionale? «Porsi sempre con umiltà verso quello che si ottiene. Questo mestiere è così friabile, imprevedibile, il gusto del pubblico cambia costantemente e c’è sempre qualcuno più bravo di te. Arroccarsi nella presunzione di aver fatto abbastanza rischia di portarti al fallimento. È importante essere umili, mantenere il contatto con la realtà, perché è dalla realtà che si traggono le storie.»

Non manca una frecciatina a Netflix e alla polemica più amata del 2018 negli ambienti cinefili: sala o streaming? Una polemica spesso sterile o affrontata con argomentazioni superficiali del tipo “Si stava meglio quando si stava peggio” o “Ai miei tempi il cinema era tutto prati verdi”. Eppure Muccino dimostra classe anche qui e dice cose assolutamente condivisibili: «Il cinema ha una sua magia, che esiste se la gente viene cresciuta ed educata all’idea che la sala sia un posto dove per due ore stacchi tutto. Una scatola chiusa dove ci si isola e annienta in funzione di quello che si vede. E che diventa parte del nostro sapere e della nostra conoscenza per sempre». Se lo dice lui, che a quel sapere ha attinto trasformandolo con successo in una professione, possiamo crederci.