Instancabile organizzatore di eventi di beneficenza, Michele Michelazzo è un noto autore, regista e producer televisivo e teatrale veronese, migrato a Milano – dove lavora – oramai da qualche anno. E proprio a Milano si è svolta, qualche giorno fa, la sua ultima iniziativa, una partita di calcio fra due squadre molto particolari, con un fine – una raccolta fondi – altrettanto particolare.
Michele, la scorsa settimana si è tenuto a Milano un evento unico nel suo genere. Una partita di calcio fra la squadra dei rifugiati politici, il St Ambroeus, e quella dei rapper e producer milanesi. Di cosa si è trattato?
<<Una partita di calcio tra la Nazionale Hip Hop e il St Ambroeus FC, squadra di rifugiati e richiedenti asilo iscritta la campionato Figc, al Centro Don Giussani di Segrate per una raccolta fondi per la Onlus Più Unici Che Rari. L’abbiamo chiamata #siamotuttimilano per sottolineare che nel momento del bisogno non esistono differenze di qualsiasi natura. Calcio ma anche musica hip hop sparata dalle casse con la conduzione del trapper Canesecco e del rapper – fresco di Pechino Express – Tommy Kuti. Una festa insomma, in campo e sugli spalti, e non solo una partita di calcio.>>
Spiegaci cos’è la Nazionale Hip Hop?
<<La Nazionale Hip Hop nasce da una costola della storica Nazionale Italiana Cantanti. Nel 2016 vedendo con Emiliano Pepe che più di qualche giocatore come Rocco Hunt e Clementino erano rapper abbiamo provato a creare una sezione staccata hip hop della NIC. Si sono aggiunti subito Roofio e Shade, ma il vero esordio della NHH è stato il 17 settembre 2016 a Busto Arsizio in cui si è costruita la vera squadra che ancora oggi rappresenta il nucleo del progetto sportivo di charity: Mazay, Eddy Veerus, Bat, Rise Beatbox … Pochi mesi dopo, nel marzo del 2017, abbiamo depositato lo statuto e siamo diventati indipendenti grazie anche alla lungimiranza di Mara Zanotto, dg di Ethos Profumerie (nostro main sponsor), che ha creduto fin da subito nel progetto senza alcuna garanzia di successo. Un anno fa abbiamo partecipato con la Nazionale Hip Hop ad un evento all’Arena Civica di Milano in cui si festeggiava la partecipazione al campionato CSI di due squadre di rifugiati e richiedenti asilo i Corelli Boys ed i Black Panthers grazie ad un  crowfunding promosso da alcune associazioni culturali.  Fummo molto colpiti da questi ragazzi, tanto che alcuni di loro parteciparono ad un allenamento con noi a gennaio. Mi colpì la loro innocenza, il silenzio anche tra di loro, il dolore e la nostalgia di casa non espressi nonostante i sorrisi… .>>

Michele Michelazzo, durante l’evento

E da lì è nata l’idea di unire le forze?
<<Quando abbiamo scelto la nuova maglia ufficiale pensavo ad un evento che potesse lanciare il nostro nuovo look. Qualcosa di originale evitando musica e tartine in un locale fighetto, pensavo a qualcosa che potesse trasmettere un messaggio autentico ed originale. Perché, allora, non prendere due soggetti completamente diversi tra loro per aiutarne un terzo? Una comunità ha bisogno di tutti quando qualcuno è in una situazione difficile, solo che troppo spesso i pezzi non si uniscono ed ognuno rimane nel proprio angolo. L’idea è piaciuta anche al marketing di Le Coq Sportif Italia (nostro sponsor tecnico) che ha realizzato un video con il regista Alessio Albano, anche lui veronese trapiantato a Milano, ed ha investito per il lancio della nuova maglia sulla campagna #siamotuttimilano. Poi ho chiamato la fotografa Roberta De Palo, che segue in prima persona il St Ambroeus nato dalla fusione tra i Corelli Boys ed i Black Panther, e lei ha accettato. Loro in Figc noi con la maglia nuova. Così è nata #siamotuttimilano.>>
Lo sport, insomma, come mezzo per unire e non – come spesso accade – per dividere…
<<Non è tanto lo sport quanto la voglia di condividere uno spazio, di cercare spiragli di contatto. Cos’abbiamo scambiato oltre al campo con loro? Poco ma per un’ora siamo stati uguali nonostante le loro storie pazzesche alle spalle, le sofferenze per arrivare in Italia. Precisiamo però, prima di rischiare di impantanarci in luoghi comuni, che i rifugiati non sono né tutti buoni né tutti cattivi ed il St Ambroeus adotta una politica ferrea nei loro confronti: chi sgarra viene cacciato dalla squadra.   Quindi i ragazzi che abbiamo incontrato in campo a Segrate erano esseri umani che nonostante le loro difficoltà si sono messi a disposizione per aiutare dei bambini italiani affetti da una malattia incurabile. Il calcio come strumento per sentirsi vicini nell’aiutare chi ha più bisogno di noi. Credo che nell’uomo l’istinto di fare del bene sia innato e che l’esempio di alcuni sia utile ad altri per stimolare lo stesso istinto. Quando nel 2015 i Black Block devastarono Piazzale Cadorna e dintorni furono gli stessi Milanesi il giorno dopo  a scendere in strada e a ripulire muri; nel 2016, quando ci fu l’emergenza rifugiati, furono in moltissimi a distribuire pasti alla Stazione Centrale. Non erano né di destra né di sinistra, ma semplicemente persone che amano la propria città. Per questo #siamotuttimilano propone la condivisione come stile di convivenza civile.>>
Come verranno destinati i fondi raccolti nell’occasione?
<<Ho conosciuto un anno fa Stefania Saturno che, con il marito Domenico Caruso, ha fondato la Onlus Più Unici Che Rari la cui finalità è quella di raccogliere fondi per la ricerca sulla sindrome di Alexander, una rara malattia neuro-degenerativa incurabile, che ha colpito il loro secondogenito nei primi mesi di vita. Loro gestiscono direttamente tutta l’attività dell’associazione, hanno contatti quotidiani con tutti i genitori degli altri bambini affetti dalla stessa patologia e organizzano eventi. Questa coppia ha reagito alla disperazione con il coraggio e questo mi ha molto colpito, perciò quando si è trattato di decidere la destinazione dei fondi non ho avuto dubbi.>>
Non è la prima iniziativa di questo tipo che ti vede fra i promotori. E sempre con il calcio come protagonista. Puoi raccontarci in passato cos’hai “combinato” in passato?
<<Da ultras dell’Hellas a ultras delle cause umane. In passato con gli ex calciatori del Verona ho realizzato un docufilm sul calcio in Palestina e sui camp che gli ex storici dell’Hellas organizzavano ogni anno a Verona con i bambini dell’Accademia di Padre Ibrahim Faltas. Poi ho collaborato con la Nazionale Cantanti e le persone straordinarie che lavorano al Centro Tumori di Candiolo (TO) o i bambini affetti da malattie rare di Telethon. Ho capito in questi anni che la scena se la prende chi urla più forte, mentre esiste una vastissima umanità che porta avanti la propria attività di volontariato in silenzio.>>
Il St Ambroeus e la Nazionale Hip Hop, insieme

Sei, fra le altre cose, un regista e video maker. La tua realtà professionale abituale è quella – non vorremmo essere riduttivi – del racconto. Ecco… in questo momento storico davvero particolare, con che immagini ti piacerebbe raccontare ad un bambino la realtà che stiamo vivendo?
<<Rimarrei disoccupato… Oggi i bambini non hanno bisogno di uno storytelling visivo perché sono sommersi dalle immagini dei videogame e dei video su Youtube, il loro cervello è iperstimolato, mentre la coscienza fisica è inesistente. E’ scientificamente provato che parti del cervello sempre più numerose come l’amigdala, sono ormai inutilizzate. Vivono tutto solo con la testa . Avrebbero bisogno di provare esperienze tattili, sentire il caldo ed il freddo, entrare in contatto con il proprio corpo in modo diverso. Ecco, forse farei loro vivere delle esperienze più tattili e magari produrrei un documentario sugli effetti delle stesse esperienze per mostrarlo ai genitori. Loro ne hanno veramente bisogno. Un film alla Michael Moore che denuncia gli effetti dell’indifferenza degli adulti sulla deriva psicologica da abuso di tecnologia da parte dei bambini.>>
Quali sono i tuoi progetti futuri?
<<Mentre sto scrivendo, oggi è martedì, sto preparando la borsa con le maglie per la partita a sette di stasera al Masseroni (Centro Sportivo milanese) con la Nazionale Hip Hop. Ogni martedì abbiamo creato il #giocaconnoi: i fan, invece di chiedere autografi, ci sfidano e donano il corrispettivo per il campo in beneficenza. E’ un modo per creare un legame più intenso e fisico e non solo virtuale con chi sostiene il nostro progetto. Meno follower e più amici insomma. Il mio progetto futuro è il mattone che poso stasera sul progetto NHH .>>
Da tifoso dell’Hellas Verona, che vive da lontano le vicende della sua squadra del cuore, come stai vivendo questo momento, con la protesta del tifo, etc….
<<Una comunità  non esiste solo quando c’è bisogno di aiutare qualcuno, ma anche quando vengono intaccati i simboli che contribuiscono a tenerla unita. Una città si erge in difesa dei colori della propria squadra come patrimonio di tutti i cittadini. Il senso di appartenenza non è né etnico né ideologico, ma culturale. Essere veronese significa sentirsi parte di un gruppo che all’occorrenza manifesta anche il proprio dissenso quando viene toccata una parte del proprio mondo. Le abitudini cambiano, ma le tradizioni restano. L’adesione spontanea a questa protesta assolutamente civile dimostra che la comunità è viva e questo penso non solo sia un bene ma rappresenti un momento importante nello sviluppo della coscienza collettiva dei Veronesi.>>
Foto di gruppo con tutti i protagonisti dell’iniziativa