La storia dell’Annunciazione di Maria nel Vangelo di Luca, l’evangelista più vicino alle donne, è uno dei passi più belli, sensibili e umani del Libro; tra Vecchio e Nuovo Testamento in nessun altro racconto si trova così tanto amore, tanta dedizione per la Vita in quanto tale, a prescindere dalla sua origine. La gioiosa resa di Maria all’Angelo, quel suo «eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me ciò che tu hai detto» è una dichiarazione di Amore maiuscolo, puro e incondizionato.

Non è un caso che Maria, pur non essendo divina per natura, venga invocata come protettrice e salvatrice del mondo; lascia che parlino alle mie spalle – sembra dire – che Giuseppe pensi di ripudiarmi (tanto ci pensa il solito Angelo a fargli cambiare idea, nel Vangelo di Matteo); c’è una Vita in me e questa Vita, come ogni vita, può cambiare il mondo e io l’accetto con entusiasmo e sottomissione.

O no?

Purtroppo non va sempre tutto come nelle favole o nei Vangeli. Succede a volte che una donna si trovi a guardare la seconda lineetta diventare rossa con sentimenti completamente diversi. Che sia per come è arrivata la gravidanza, non sempre frutto dell’Amore, a volte della violenza; che sia per quando è successo, in giovane o tarda età, in un momento tutto sbagliato o in cui si stanno affrontando altri problemi fisici o economici. Non importa.

Può accadere che lo stick di plastica metta la donna in una condizione di terrore, ansia, rifiuto. La donna, disperata, piange e impreca; pensa alle alternative, le valuta attentamente: ognuna di queste porta con sé enorme dolore e un trauma che non l’abbandonerà mai. Sia che decida di continuare la sua vita con quel piccolino, sia che scelga di lasciarlo con un’altra mamma o che decida che no, lei non può e non vuole andare avanti.

Un aborto non è una passeggiata, non è una scelta avventata, non è un metodo contraccettivo. Tutte queste idee sono state partorite da maschi, da quelli che dovrebbero solo tacere visto che neanche lo possiedono un ambiente ospitale per la vita. Maschi che però ci dicono come vivere, parlare, vestirci e come comportarci con il nostro corpo. Maschi (no, non Uomini) che ci insegnano come affrontare le nostre emozioni e quando rinunciare ai nostri desideri, ai nostri progetti. In vista di un fine più alto, la Vita.

Forse dimenticano che ce ne sono due di vite in ballo: una che si sta per formare e una invece bella grande sotto i loro stessi occhi. Proteggere la Vita significa aiutare le donne, sostenerle nella scelta migliore. Non significa sostituirsi a loro o utilizzare mezzi ignobili per manipolare la loro scelta. Esiste una legge dello Stato italiano, sopravvissuta a un referendum popolare, che garantisce alle donne che non sono pronte di interrompere la gravidanza. È una legge bistrattata e sicuramente migliorabile ma dà alle donne – e solo a loro, il maschio di turno è escluso dal copione – di decidere per sé stesse, per la propria vita.

A qualcuno questa libertà non va giù, qualcuno ritiene che la Vita vada preservata sempre e in ogni caso. Ci sono persone così sicure della linea tra giusto e sbagliato da poter rinunciare a scegliere, da avere già un destino tracciato e sicuro. Sono pochi ma fanno un sacco di rumore e vogliono decidere anche per gli altri.

Nei giorni scorsi il movimento ProVita, già noto per discutibili azioni contro l’autodeterminazione delle donne, ha pensato di ricordare a tutti la propria triste esistenza di uomini eternamente nel giusto. A Roma, Milano e Verona (poi seguite da altre città) sono apparsi cartelloni contro l’aborto farmacologico.

Ne abbiamo già parlato, abbiamo raccontato come sia sicuro esattamente come uno chirurgico e come venga preferito dalle donne che non amano gli ospedali e vogliono vivere il trauma (il lutto, signori miei, di questo si tratta) con un’amica o il compagno accanto. Al di là del bene e del male, che lasciamo riconoscere a quelli bravi, c’è la libertà di decidere, unico o forse ultimo giudice dei nostri comportamenti. Vi raccontiamo quindi la romanzata “Storia del cartellone infame” prendendo in prestito il titolo da un’opera manzoniana poco conosciuta che parla di condanna a priori di persone innocenti. Vedi, a volte, le coincidenze.

Il Cartellone Infame – il Primo Giorno

Una donna in abito bianco virginale, sdraiata a terra con una mela rossa appena morsa nel pugno. Lo slogan chiede, in bianco su fondo rosso (due colori potevano permettersi, dai su poche storie), “Prenderesti mai del veleno?”. Nel sottotesto appare uno stop alla RU486 che “mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo”. Ora, adorabili mattacchioni, vi ringraziamo per confermare che la RU486 abbia un fine e lo svolga con efficacia, per triste che sia. Vi ringraziamo meno quel riferimento al veleno che fa tanto Biancaneve, una imbecille che si mangerebbe qualsiasi cosa le presenti una strega sulla porta.

Le donne che assumono la RU486 hanno fatto una scelta consapevole e ragionata, aiutate da consigli competenti e (più spesso di quanto si creda) supportate dalla famiglia. La RU486 non è un veleno, è un farmaco efficace e sicuro, assunto sotto controllo medico. La cosa veramente orrenda di questo cartellone sono i rimandi al catechismo, un mezzuccio per scatenare i sensi di colpa e manipolare la libertà personale: la mela del giardino dell’Eden, il veleno del serpente, Peccato originale in grande spolvero. La Bibbia ne racconta di storie macabre, tra sacrifici umani (anche di bambini), incesto e violenze inaudite; ma voler credere che il piano di Dio fosse tenere gli uomini puri chiudendoli in un giardinetto, beh sembra un po’ tirato. Anzi, nella Bibbia Dio dà all’uomo (e alla donna!) il libero arbitrio, mentre certi movimenti, che pure si considerano cristiani cattolici, restano incagliati in posizioni arcaiche, trascinando il testo in interpretazioni riduttive e fuorvianti.

Porta Vescovo – il Secondo Giorno

Il cartellone infame non viene affisso nella nostra città; non si sa se dipenda dal Comune che non ha dato i permessi o dalle risorse finanziarie del movimento. Appare come vela di un camioncino stile “votaAntonio”, un modo davvero serio per affrontare un tema tanto delicato. Però dai, su ruote sembra più semplice la fuga, più facile lanciare il sasso e nascondere vilmente la manina. Si saranno detti lo mettiamo in Veronetta che non ci fanno caso, sono abituati a tutto ormai. Non una buona scelta per ProVita, visto che è velocemente sparito, anche qui senza saper chi ringraziare. Porta Vescovo non è mai apparsa tanto bella come quando si è liberata del cartellone rotabile.

Viale Venezia – il Terzo Giorno

Sembra che il camioncino dovesse giustamente raggiungere la zona Basso Acquar per un finale degno ma, per ragioni insondabili, è stato abbandonato su un marciapiedi di viale Venezia, alla mercé dei ragazzini (o forse, chi lo sa, di qualche ragazzaccia) che l’avrebbero preso di mira con vernice rosa spatasciata ovunque e la scritta “per il mio corpo decido io”. Ma lo sentite quanto è bello questo messaggio? La libertà che evoca fa innamorare della vita, della nostra.

Game over – il Quarto Giorno

Impossibile sapere come siano andate le cose, tutte le piste hanno portato al nulla. Un grande boh ha accolto il quarto giorno la scomparsa del cartellone infame. Un residente della zona che preferisce rimanere anonimo parla di un enorme drago (o forse, chissà, proprio un Angelo, il periodo è quello buono) sceso dal cielo per prendere a graffiate e morsi la povera, innocente carta intrisa di colla. Sono rimasti solo piccoli brandelli, troppo malinconici per farne una fotografia. Un finale che probabilmente sarebbe piaciuto pure al Manzoni.

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