L’ 8 febbraio ricorre la Giornata mondiale contro la tratta, voluta da Papa Francesco nel giorno della festa di santa Giuseppina Bakhita, ex schiava nata in Sudan nel 1869 e morta a Schio, in provincia di Vicenza, nel 1947. Come ogni anno, in tutto il mondo sono stati organizzati momenti per ricordare, denunciare e portare l’attenzione dei media, sul fenomeno del traffico di persone ai fini di sfruttamento.

Locandina della serata

Anche in Italia sono stati organizzati alcuni incontri di approfondimento nei quali è emerso quello che potremmo definire un cambiamento essenziale del fenomeno della tratta e di come viene gestito dalla criminalità negli ultimi anni, ovvero la digitalizzazione del fenomeno.

Abbiamo partecipato all’incontro organizzato dalla rete Non si tratta di Treviso e altre realtà sociali del territorio trevigiano, dal titolo molto esplicativo: Come il digitale entra nel reale, che per l’appunto ha approfondito il ruolo della tecnologia nella tratta e nello sfruttamento. Relatori della serata sono stati Luca Rondi, giornalista e operatore area vittime del gruppo Abele, Stefano Cosmo, operatore progetto Navigare (Network Antitratta per il Veneto) e Chiarra Ferrari, sociologa e ricercatrice, esperta in sex and human traficking.

Cybertraficking: non è più fantascienza

Il concetto chiave della riflessione di quest’anno è la forte digitalizzazione del fenomeno del traffico degli esseri umani, già di per sé mutevole e difficile da intercettare. I social e il mondo digitale, sono diventati per reclutatori, trafficanti e sfruttatori uno strumento che sta agevolando moltissimo il loro “lavoro”, rendendole ancota più sommerso e sfuggente.

Foto di Sora Shimazaki, pexels.com

L’aggancio della vittima avviene via web. Non serve più andarla a cercare bussando alle porte di villaggi o dei centri di accoglienza italiani, ora basta mettere degli annunci in Facebook. I trafficanti da parte loro possono agevolmente controllare e gestire la merce umana da remoto, senza esporsi.

Gli sfruttatori controllano i loro sfruttati via Whatsapp: sono perennemente in videochiamata con le ragazze che vengono fatte prostituire, assistono alla contrattazione con il cliente e si segnano il numero di prestazioni in tempo reale. Oppure si fanno inviare a cadenza regolare di un’ora, la posizione dei rider o dei ragazzi occupati nel volantinaggio. Il web va incontro anche ai clienti: sono ormai noti agli operatori antitratta, vari gruppi social chiusi o forum di discussione, in cui le ragazze costrette a prostituirsi vengono segnalate e valutate dai clienti. Come fosse una sorta di Tripadvisor del sesso.

Vittime nascoste, criminali coperti

La digitalizzazione del traffico e sfruttamento degli esseri umani pone altri problemi al contrasto del fenomeno. Le vittime di sfruttamento sessuale, per esempio, stanno scomparendo dalle strade. Questa tendenza, iniziata già nel 2019, è stata implementata dalla pandemia e sostenuta dalla tecnologia informatica.

Foto di Yadwinder Singh, pexels.com

Per fare un esempio, nel solo territorio della provincia di Treviso, nel 2017 si contavano almeno 380 presenze in strada. A fine 2022 invece, le presenze erano 114. Questi dati non significano affatto che la prostituzione forzata stia diminuendo, ma solo che si è spostata al chiuso, in appartamenti privati e anonimi o in pseudo centri massaggi, che rendo davvero complesso il lavoro di operatori che cercano di intercettare le vittime e delle forze dell’ordine, che dovrebbero bloccare la rete criminale.

Gli appuntamenti vengono dati via chat e spesso anche le transizioni economiche avvengono online. Questo toglie alle vittime di sfruttamento sessuale, la possibilità di avere interazioni relazionali con qualcun altro, avvenendo tutto dentro a delle mura.

La tecnologia inoltre offre una copertura maggiore degli sfruttatori, e parallelamente ne amplia il raggio d’azione. Succede che lo sfruttatore non sia nella stessa regione di chi sta sfruttando, ma a volte non si trovi nemmeno in territorio italiano. Il che rende complicato arrivare a lui da parte delle forse dell’ordine che invece sono legate al loro territorio d’azione.

Si amplia la possibilità di diventare vittima

I social sono facilmente fruibili da tutti. Le vittime di sfruttamento sessuale o lavorativo spesso, sono analfabete o hanno una scolarizzazione molto bassa. Eppure tutte, senza problemi, usano Whatsapp, inviano foto o arrivano al luogo di “lavoro” utilizzando le posizioni che vengono inviate loro.

Inoltre i minori, che navigano molto in internet e spesso senza nessuna guida, sono più esposti alle trappole della rete e degli sfruttatori, essendo in questi anni aumentato in maniera esponenziale, il materiale pedopornografico condiviso online.

Il digitale a servizio del contrasto della tratta

La realtà ci dice quindi che i trafficanti hanno iniziato ad utilizzare il digitale ben prima di chi cerca di contrastare questo crimine e sono diventati a loro modo degli esperti del mondo virtuale. La mafia nigeriana, per esempio, è stata tra le prime a utilizzare i bitcoin per trasferire il denaro da uno Stato all’altro. Gli operatori, da parte loro, sono sempre più convinti che la tecnologia possa diventare uno strumento di supporto alle vittime e di contrasto del traffico di esseri umani.

È per questo motivo che la rete Navigare, prima a livello nazionale, sta testando da circa un anno un’applicazione, attualmente disponibile solo per dispositivi Android, perché le vittime di sfruttamento possano contattare gli operatori per richiedere aiuto, informazioni o sostegno. Il valore aggiunto di questo progetto è che si tratta di una vera e propria innovazione digitale inclusiva, in quanto la progettazione ha visto coinvolte le stesse vittime di tratta, che hanno fornito suggerimenti pratici agli operatori che l’hanno sviluppato, e che quindi sono diventate parte attiva della loro emancipazione.

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