Il vertice Nato del 25 giugno scorso si è distinto per la sua eccezionale brevità e per una decisione clamorosa: aumentare la spesa militare di ogni Stato membro al 5% del PIL entro il 2035. Celebrato come un trionfo di determinazione, il summit ha impiegato meno di 24 ore per approvare una misura impensabile fino a pochi mesi prima. Dal 2006, infatti, l’obiettivo era il 2% del PIL per la difesa, sollecitato da ogni presidente americano e formalmente appoggiato dai governi europei, ma raggiunto solo da pochi Paesi Nato.

Poi è arrivato Donald Trump. Con un colpo di scena, ha imposto il 5% come nuovo traguardo, accolto da applausi entusiastici. Più che un sobrio vertice militare, è sembrato uno show con Trump protagonista, che non ha lesinato aggettivi come «fantastico» e «successo monumentale per gli USA».

L’ego di Trump e la sudditanza europea

Il vertice è stato anche una fiera delle ipocrisie. Mark Rutte, nuovo segretario generale della Nato, ha coperto di lodi Trump in un messaggio privato, che il presidente americano ha prontamente reso pubblico sui social, alimentando il suo ego e ridicolizzando l’Europa. Durante una conferenza stampa, Rutte ha persino paragonato Trump a un Daddy (paparino), sottolineando in modo inequivocabile la sudditanza dei Paesi europei agli Stati Uniti.

Al confronto, Giorgia Meloni, inossidabile trumpiana, impegnata in un complicato equilibrismo tattico fra interessi europei ed americani, è apparsa quasi una statista consumata. Solo il premier spagnolo Pedro Sánchez ha avuto il coraggio di dichiarare che non aderirà al 5%, nonostante il voto unanime, invocando un’esenzione dai contorni poco chiari.

Un 5% poco credibile per i Paesi europei

Ma è realistico questo 5% per l’Europa? L’Italia, attualmente al 1,57% del PIL, potrebbe raggiungere il 2% quest’anno, secondo Meloni, forse grazie a qualche artificio contabile. Tuttavia, passare al 5% significherebbe, con un PIL 2025 stimato in circa 2.000 miliardi di euro, aumentare la spesa militare da 40 a 100 miliardi annui: un salto di 60 miliardi, difficilmente sostenibile.

Allora perché approvare un obiettivo così ambizioso senza obiezioni? La risposta sta probabilmente nella sua vaghezza. Il 5% è un traguardo chiaro, ma i dettagli su come raggiungerlo sono fumosi. Da non sottovalutare che il 5% dovrà essere raggiunto entro il 2035, e 10 anni sono tanti in politica. Nel 2035 molti dei leader presenti nella foto opportunity del 25 giugno scorso, avranno lasciato ad altri la guida dei rispettivi Paesi, Trump compreso.

Un superficiale consenso al 5%

Inoltre non ci sono stringenti tappe intermedie: la prima verifica sarà nel 2029, senza tuttavia che siano previste sanzioni per chi non rispetterà l’impegno. Da ricordare che il 5% si divide in un 3,5% per spese militari vere e proprie e un 1,5% per voci generiche come “protezione delle infrastrutture critiche e resilienza”. Questa definizione, ambigua, permetterà di includere spese già previste in altri capitoli di bilancio, come probabilmente accadrà per il 2% italiano di quest’anno.

Ma i tagli al welfare ci saranno

Tuttavia, un aumento delle spese militari ci sarà. Con una crescita economica debole e i vincoli del Patto di Stabilità, che impone di ridurre deficit e debito pubblico, i fondi per la difesa verranno probabilmente recuperati dai tagli a sanità, scuola, ricerca e welfare.

E il progetto di difesa europea da 800 miliardi di Ursula von der Leyen? Ribattezzato da “RearmEU” a “Prontezza 2030” per smorzarne l’impatto troppo esplicito, manca di finanziamenti concreti. I pochi fondi europei disponibili non sono appetibili, a causa di vincoli e burocrazia. Il progetto, fortunatamente, finirà per arenarsi nei meandri amministrativi di Bruxelles.

Sarà la Germania il Paese più determinato a riarmarsi

Ci sarà invece il riarmo tedesco. Riguardo la Germania, da un lato tocca registrare la preoccupante e politicamente imbarazzante affermazione del neo cancelliere Friedrich Merz riguardo al «lavoro sporco che Israele sta facendo per tutti noi». Dall’altro la Germania vuole dotarsi del «più forte esercito convenzionale d’Europa», come affermato, sempre da Merz, al Bundestag, nel discorso di investitura del 14 maggio scorso.

E la Germania, diversamente dagli altri Paesi europei, ha le risorse economiche e finanziarie per realizzarlo. Nella speranza che la storia della prima metà del novecento non abbia a ripetersi.

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