A Ginevra durante lo scorso agosto è forse definitivamente sfumata la possibilità di un accordo internazionale per la riduzione dei rifiuti plastici nel mondo. Tre anni di negoziati sotto l’egida dell’ONU non sono bastati per vincere le resistenze degli Stati petrolieri.

L’assegnazione del premio Nobel per la chimica all’ingegnere Giulio Natta, avvenuta nel 1963, può essere considerata l’inizio dell'”Era della Plastica”, l’ingresso nella vita dell’umanità di un prodotto di sintesi derivato dal petrolio (questa è stata la novità storica), utile e versatile, diventato uno dei simboli di modernità e progresso. Il suo successo è diventato però un gravissimo problema per tutti.

Campione dell'”usa e getta”, la nuova plastica ha trovato il suo utilizzo  in una vasta quanto eterogenea gamma di applicazioni, dall’imballaggio all’industria automobilistica, dall’elettronica all’aviazione, fino agli oggetti di uso quotidiano, come piatti e giocattoli.

La produzione globale di plastica ha raggiunto uno sconcertante livello di 475 milioni di tonnellate all’anno ma solo il 9% viene riciclato, il resto finisce in discarica, viene incenerito o disperso nell’ambiente col risultato di una crescente contaminazione  dell’ambiente, compresi gli oceani e i fiumi.

Lancet. Trend storico e proiezione al 2100 produzione e rifiuti plastica

Si calcola che almeno otto miliardi di tonnellate di plastica disperse nell’ambiente siano già entrate sotto forma di microplastiche negli ecosistemi terrestri e marini, diventando una minaccia, un pericolo grave, crescente e poco riconosciuto per la salute umana. L’ultimo allarme è sulla rivista medica The Lancet: Countdown on health and plastics (5 agosto 2025).

Occorre un impegno globale e strutturale

Per contrastare questo fenomeno, negli ultimi anni si è fatta sempre più forte l’esigenza di decisioni assunte a livello globale. Per questo, nel marzo 2022, il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) ha convocato un apposito Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC) per sviluppare, entro il 2024, uno strumento giuridicamente vincolante per tutte le nazioni. Obiettivo: ridurre la produzione di rifiuti plastici.

Un obiettivo così ambizioso non può essere raggiunto senza intervenire sull’intero ciclo di vita dei prodotti plastici, dalla loro progettazione allo smaltimento, e senza includere misure per eliminare quelli che rappresentano un rischio significativo per la salute umana e l’ambiente.

Sin dalla prima riunione (INC-1), il 22 novembre 2022 in Uruguay, il Comitato Intergovernativo aveva stabilito una precisa gerarchia di priorità su cui intervenire, ponendo la prevenzione (progettare senza rifiuti) al primo posto, seguita dalla produzione e utilizzo, dal riciclaggio, dal recupero anche energetico e, solo alla fine, lo smaltimento del residuo rifiuto plastico in discariche controllate.

Un classico approccio di Economia Circolare in cui si ritiene che sia la progettazione del prodotto a determinarne la durata e la fine, aspetto su cui far convergere l’interesse di tutti i soggetti coinvolti.

Foto da Unsplash di Marc Newberry

Cinque riunioni, tre anni, non sono bastate per un accordo

Questa estate a Ginevra si è conclusa senza risultati la quinta negoziazione (INC-5-2), allontanando forse per sempre la promessa di un mondo libero dalla plastica. Nel palazzo delle Nazioni Unite si sono susseguiti più di 2.600 partecipanti, tra cui oltre 1.400 delegati provenienti da 183 Paesi e quasi 1.000 osservatori in rappresentanza di oltre 400 organizzazioni, circa 70 ministri e vice ministri, nel tentativo di trovare un consenso minimo su un testo condiviso. Tutto inutile: nessun accordo.

Già dalla prima riunione in Uruguay, nei primi giorni di lavoro dell’INC nel 2022, emersero chiaramente due schieramenti principali. Il primo, maggioritario (oltre 100 Paesi), comprendeva le nazioni più ambiziose, riunite nella High Ambition Coalition, che hanno sostenuto misure come il bando alle sostanze chimiche pericolose e l’introduzione di un tetto alla produzione della plastica. Il secondo, il Like-Minded Group, più ristretto ma influente, includeva principalmente i Paesi produttori di petrolio del Golfo Persico, che desiderano limitare l’azione del trattato esclusivamente alla gestione dei rifiuti.

Saltata la consuetudine del Consenso

La trattativa sulla plastica ha visto pochi, i petrolieri, avere la meglio su molti, impedendo la formulazione di una base minima comune su cui esercitare il consenso unanime.

È prassi consolidata nelle attività dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e dei suoi Comitati principali cercare, ogniqualvolta possibile, il consenso sul minimo condivisibile fra le parti: le decisioni importanti si approvano “per consenso” all’unanimità. Si tratta di una modalità per consolidare lo sforzo di apprezzare ciò che unisce rispetto a ciò che divide, che diventa virtuosa nella misura in cui le parti si rispettano e manifestano realmente la volontà di trovare un punto di equilibrio nell’interesse di tutti.

Il mancato accordo, nonostante anni di negoziati, e la minaccia di un disastro ambientale imminente sono stati gli eventi politico-ambientali più rilevanti dell’estate. Questo segnale evidenzia un cambiamento significativo nelle dinamiche internazionali, lanciando un messaggio chiaro ai negoziatori climatici della COP 30 (Conference of the Parties), che si terrà a novembre in Brasile. Niente sarà più come prima nelle relazioni internazionali e la transizione energetica perderà l’unanimità.

Per Graham Forbes, responsabile della campagna globale sulla plastica di Greenpeace USA, l’incapacità di raggiungere un accordo a Ginevra «deve essere un campanello d’allarme per il mondo: porre fine all’inquinamento da plastica significa affrontare direttamente gli interessi dei combustibili fossili».

Foto da Unsplash di Naja Bertolt Jensen

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