Quando si parla di maternità, molte donne si sentono chiamate a dover rispondere a ideali irraggiungibili: una madre sempre presente, dolce, paziente, che capisce al volo ogni bisogno del proprio bambino. Ma la verità è che questo modello di “madre perfetta” non solo è irrealistico, è anche dannoso e non fa bene né alla madre, né al bambino.

Il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott ha introdotto un concetto rivoluzionario che ancora oggi ci offre una prospettiva sana e realistica: quello di madre sufficientemente buona che, in quanto tale, è adeguata in quanto imperfetta.

Cosa vuol dire essere “sufficientemente buona”?

Secondo Winnicott, una madre sufficientemente buona è quella che, soprattutto nei primi mesi di vita, è attenta ai bisogni del bambino e lo protegge in modo amorevole. Ma – ed è questo il punto più importante – non è perfetta. Anzi, non deve esserlo. Con il tempo, inizia gradualmente a non rispondere a ogni richiesta, a non prevenire ogni disagio, permettendo così al bambino di fare piccole esperienze di frustrazione.

E proprio queste piccole frustrazioni sono fondamentali perché aiutano il bambino a sviluppare le proprie risorse interne, a iniziare a tollerare l’attesa, a comprendere che può sopravvivere anche se qualcosa non va come vorrebbe. In altre parole: è così che si cresce.

Il pericolo della madre “troppo perfetta”

Foto da Unsplash di Liana Mikah

Una madre che cerca di essere sempre perfetta – che non lascia mai spazio a errori o mancanze – rischia in realtà di ostacolare il bambino. Se ogni suo bisogno viene soddisfatto subito, se non sperimenta mai un piccolo ritardo o una piccola delusione, non imparerà mai ad affrontare le inevitabili difficoltà della vita reale. E questo può renderlo più fragile, più insicuro, meno preparato ad affrontare la complessità delle emozioni e delle relazioni.

Winnicott ci ricorda che un po’ di frustrazione, se dosata e contenuta, è non solo inevitabile, ma necessaria. È come l’allenamento di un muscolo: sforzi controllati lo rendono, nel tempo, più forte e resistente.

Così anche il mondo emotivo del bambino si struttura attraverso momenti di tensione e rilascio, imparando a reggere la fatica del vivere senza spezzarsi.

Una nuova cultura della maternità

Viviamo in una società che impone modelli altissimi e spesso inumani alle madri: devono essere impeccabili, serene, performanti… sempre. Ma questo crea solo ansia, sensi di colpa e un’illusione pericolosa: che l’amore materno debba coincidere con l’infallibilità. La verità è un’altra: la vera forza di una madre sta anche nella sua capacità di essere imperfetta, di sbagliare, di fermarsi, di chiedere aiuto.

Essere una madre sufficientemente buona significa essere presente con autenticità, senza dover essere un robot. Significa accogliere le proprie emozioni, anche quelle scomode, e sapere che ogni errore può essere una risorsa se gestito con consapevolezza e affetto.

In conclusione

La buona notizia è che non dobbiamo essere perfetti per amare bene. Anzi, l’amore vero passa proprio attraverso la capacità di esserci anche nei nostri limiti, e di lasciare spazio ai figli perché imparino a camminare da soli, un passo alla volta.

Essere “sufficientemente buoni” – come madri, ma anche come padri, educatori, o semplicemente come adulti significativi – è già tantissimo. E forse è proprio tutto ciò di cui i bambini hanno davvero bisogno per diventare grandi, forti e liberi.

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