Con la finalissima di domenica sera, dove il Chelsea si è imposto per 3-0 sul favoritissimo Paris Saint Germain, si è conclusa ufficialmente la prima edizione del Mondiale per Club FIFA 2025. Le premesse non erano delle migliori: calendari allungati inutilmente, preparazioni estive posticipate, sovraccarichi di lavoro e miscugli di formazioni dalle differenze tecniche abissali. 1 miliardo, però, il patrimonio da spartirsi. 1 miliardo. E questo è bastato.

La sola cosa ha preceduto la competizione è stato un’eco infinito di polemiche verso la competizione stessa, a partire dai giornalisti fino ad arrivare al grande bacino del pubblico da casa. Ciò che però si è respirato nel corso dell’ultimo mese è che la stragrande maggioranza dei critici abbia alla fine seguito con costanza i match del Mondiale, fra l’altro tutti in chiaro su DAZN (a proposito di polemica).

Sarà stata la fede calcistica, sarà stato il fascino della “prima volta”, lo scouting o un mero passatempo, ma rimane il fatto che, secondo quanto riportano i numeri, il seguito da casa sia stato direttamente proporzionale al numero delle critiche mosse verso la FIFA.

Spettatori allo stadio e share

La media spettatori del torneo allo stadio è all’incirca di 40 mila, con un un tasso di riempimento del 61%. Un buon numero, considerando gli orari spesso improponibili di alcuni match e la scarsa appetibilità di parecchie formazioni. Dai seimila di Benfica – Auckland City agli 81mila della finale di New York.

Per quanto riguarda lo share in Italia, il record è stato raggiunto con la finale di domenica, che ha permesso a Mediaset di ottenere un eccezionale 26,7%, con oltre quattro milioni di telespettatori collegati. Anche le due squadre italiane hanno ottenuto un notevole seguito: gli ottavi di finale di Juve e Inter, entrambe eliminate al termine della partita, hanno registrato uno share rispettivamente del 29,2% e del 24,6%.

Una vera “prova generale”

Era prevedibile che le strutture messe a disposizione anticipassero la messa in scena del Mondiale 2026, questa volta per nazionali ma sempre negli Stati Uniti, oltre che in Canada e Messico. L’obiettivo era mostrare come anche negli USA il calcio stia assumendo un’importanza crescente, sotto gli sguardi soddisfatti, ma anche leggermente malinconici, del pubblico europeo. Un’immagine simile a quella di Donald Trump che festeggia con i giocatori del Chelsea al momento della loro proclamazione a campioni.

Gli Stati Uniti hanno colto l’opportunità per mettere in luce le loro straordinarie capacità organizzative e mediatiche, trasformando ogni partita in un evento spettacolare a sé stante. Dagli stadi gremiti in città come Atlanta, Miami e New York, agli eventi collaterali, alle cerimonie hollywoodiane e alla vasta presenza di celebrità e politici, il torneo ha spesso assunto i tratti di un Super Bowl del calcio, più che la semplice trasposizione a squadre di club della competizione calcistica più emozionante al mondo.

Proprio per questa vicinanza sia temporale che geografica alla Coppa del Mondo 2026, è chiaro che la prima edizione del Mondiale per Club FIFA non sia stata altro che un grosso benvenuto al colosso degli Stati Uniti d’America nel globalizzato e ricco mondo del calcio.

Montepremi: giusto premio o movente?

Una competizione che si nutre dell’incoerenza generale difficilmente potrà incarnare, nel suo svolgimento, i valori che oggi vengono rivendicati con forza e passione. Il Mondiale per Club è stato, e probabilmente resterà nelle prossime edizioni, più un vero e proprio El Dorado del calcio che un torneo di prestigio a cui ambire.

Un circuito dominato dai diritti TV, che costringe le squadre a giocare a orari improbabili per soddisfare sia il pubblico statunitense sia gli appassionati oltreoceano. Un vero scrigno che la FIFA aprirà ogni 4 anni, alternando i tre anni di attesa tra un’edizione e l’altra con la storica Coppa Intercontinentale. Uno scrigno ambito dalle 32 migliori nazionali del pianeta.

Il pubblico, però, si muove su due fronti: critica l’eccesso di spettacolo, ma ne è parte integrante. Condanna la commercializzazione, ma ne consuma ogni dettaglio, dalla diretta TikTok alle maglie celebrative. Questa contraddizione riflette perfettamente i tempi: indignati, ma inevitabilmente attratti dall’eccesso.

In tutto ciò, il denaro non è più solo un premio per il vincitore: è il vero motore. I club lo sanno bene e agiscono di conseguenza. D’altronde, se l’obiettivo è sopravvivere nell’élite globale, spettacolarizzare e incassare non sono una scelta, ma una necessità. E sotto questo aspetto gli Stati Uniti d’America hanno avuto una visione lungimirante.

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