Da oltre vent’anni l’Europa si confronta con la crescente diffusione di partiti politici euroscettici, che non si limitano a criticare i governi in carica, un aspetto fisiologico della democrazia, ma mettono in discussione il sistema stesso di governo dell’Unione Europea. Tra questi, i più allarmanti sono i partiti di estrema destra, contraddistinti da simboli e slogan che evocano il fascismo, un accentuato nazionalismo e una decisa opposizione alle istituzioni europee e alle politiche migratorie.

La crescita dei partiti euroscettici e sovranisti

In diversi Paesi europei, questi partiti esercitano il potere da soli o all’interno di coalizioni di centrodestra; altrove, pur rimanendo all’opposizione, hanno registrato un notevole incremento nei consensi. Alle elezioni europee del 2024, il Rassemblement National in Francia si è confermato come primo partito, conquistando il 31,3% dei voti. In Germania, Alternative für Deutschland ha raggiunto il 15,9%, classificandosi al terzo posto, superando il Partito Socialista Europeo e ottenendo risultati ancora più elevati nei Länder orientali.

In Romania, l’indipendente sovranista Călin Georgescu aveva ottenuto il 22,9% al primo turno delle presidenziali del 2024, ma il voto è stato annullato a causa di presunte irregolarità ed è stato escluso dalla competizione. Nelle successive elezioni primarie del 4 maggio 2025, George Simion, leader del partito ultranazionalista AUR (Alleanza per l’Unione dei Romeni), ha conquistato oltre il 40% dei consensi.

Gli impatti sociali della globalizzazione

Questi dati evidenziano un crescente disagio sociale, strettamente connesso al fenomeno della globalizzazione sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta. La liberalizzazione dei mercati e dei flussi finanziari ha contribuito a una significativa deindustrializzazione in numerosi Paesi europei e negli Stati Uniti. Inoltre, la globalizzazione ha imposto rigidi vincoli alle politiche economiche, limitando, di fatto, l’autonomia e la democrazia dei singoli Stati. Questo scenario, unito al fenomeno migratorio, ha creato terreno fertile per l’ascesa di movimenti sovranisti e nazionalisti.

Globalizzazione, autodeterminazione e democrazia

Dani Rodrik, professore di Economia Politica Internazionale presso Harvard, ha studiato il rapporto tra globalizzazione economica, sovranità nazionale e democrazia, elaborando il cosiddetto “trilemma di Rodrik”. Secondo la sua analisi, queste tre dimensioni non possono coesistere contemporaneamente: «Non si può avere democrazia, sovranità nazionale e globalizzazione economica tutte insieme. Per approfondire la globalizzazione, è necessario sacrificare lo Stato-nazione o la democrazia. Per preservare la democrazia, bisogna scegliere tra lo Stato-nazione e l’integrazione economica internazionale. Per mantenere la sovranità nazionale, bisogna rinunciare a democrazia o globalizzazione».

Ogni Paese si confronta con questo trilemma e deve stabilire quale aspetto privilegiare, anche se le decisioni raramente risultano definitive. Cercare di perseguire tutte e tre le opzioni conduce a un limbo complesso, come evidenziano la diffusione dei movimenti populisti e nazionalisti, insieme al ritorno dei dazi sul commercio internazionale, segnali di una crisi ancora irrisolta tra globalizzazione, democrazia e autodeterminazione.

L’Unione Europea nel trilemma di Rodrik

In Europa, la situazione risulta ancora più articolata. L’Unione Europea ha raggiunto un alto livello di integrazione economica, eliminando le barriere al libero movimento di merci, capitali e persone. Venti dei 27 Stati membri utilizzano l’euro, la cui gestione è affidata alla Banca Centrale Europea. Tuttavia, la governance sovranazionale dell’UE, dominata dal Consiglio dei capi di Stato e di governo, tende a limitare il ruolo del Parlamento europeo, eletto direttamente dai cittadini. A livello nazionale si assiste invece a una riduzione della sovranità democratica, poiché molte decisioni di politica economica sono state trasferite al livello sovranazionale.

Questo rappresenta il nucleo della questione europea: una democrazia sottratta agli Stati nazionali, ma non ancora pienamente trasferita a una governance sovranazionale che sia realmente democratica e autorevole. Ne deriva un’Unione priva di una politica unitaria e solidale, dove i Paesi membri competono tra loro, talvolta in maniera sleale. La situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di 27 Stati con lingue, culture, tradizioni, normative e livelli di sviluppo economico differenti, spesso in conflitto tra loro. Questo scenario rende l’UE una realtà fragile, divisiva e fortemente burocratica.

Il Regno Unito ha preso una decisione netta nel 2016 con la Brexit, favorendo la democrazia e l’autodeterminazione nazionale rispetto all’integrazione economica con l’Unione Europea. Tuttavia, il pericolo di nuove frammentazioni nell’UE resta reale, a meno che non si individuino soluzioni per conciliare i sistemi democratici nazionali con un’economia sempre più globalizzata.

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