Continuano gli accertamenti delle Ulss di Verona e Vicenza sulla popolazione coinvolta nel disastro ambientale causato dall’azienda MITENI di Trissino (VI). Nello specifico più di 30 Comuni diversi per un totale di 350mila persone. Il caso riguarda la seconda falda più grande d’Europa e un torrente, il Poscola, che attraverso altri corsi giunge fino alla zona di Cologna Veneta (VR), dove si immette nel Fratta-Gorzone che prosegue con il Brenta fino al Mar Adriatico nella zona di Chioggia.

Gli agenti chimici incriminati sono i PFAS e PFOA, sostante utilizzate per rendere gli oggetti resistenti ad acqua, calore e a svariati agenti chimici. Difatti la loro caratteristica fondamentale sono i legami carbonio-fluoro che li rendono molto stabili ed ereditabili, ma soprattutto cancerogeni e tossici. Nonostante la recente scoperta, secondo le indagini l’inquinamento probabilmente prosegue da decenni.

Anni ‘70

Difatti, come testimoniano alcune indagini dell’epoca, l’inquinamento delle acque risale fin agli anni ’70, quando il 20 agosto 1976 giunse una prima segnalazione. In quell’occasione furono scaricati nelle acque del torrente Poscola PFAS e benzotrifloruri dalla RiMAr (ex MITENI). Vi fu all’epoca un breve e inconcludente processo, terminato con l’assoluzione degli indagati per la “non sussistenza del fatto” e per intervenuta amnistia.

Dagli anni 1988 al 2009

Nel 1988 la RiMAr (centro di ricerca per l’azienda tessile Marzotto) fu rilevata da EniChem (la divisione petrolchimica Eni) e dall’azienda giapponese Mitsubishi, che cambiarono il nome in MITENI. Già in quegli anni, come racconta il comandante dei Carabinieri di Treviso Massimo Soggiu a Presadiretta, furono effettuati degli accertamenti sulle acque da parte dell’azienda stessa.

Spiega Soggiu: «Dagli accertamenti eseguiti è emerso che la MITENI, negli anni 1990, 1996, 2004, 2008, 2009 ha incaricato la società di consulenza leader nel settore ambientale di effettuare delle indagini finalizzate a valutare lo stato di inquinamento del sito e a fornire possibili soluzioni per il confinamento della contaminazione rilevata».

Nel frattempo, l’azienda nel 1996 passò sotto il controllo totale di Mitsubishi, che però nel 2009 vendette l’intera società al gruppo International Chemical Inventions group, un gruppo di aziende farmaceutiche e chimiche con sede in Lussemburgo. La vendita avvenne a causa della rilevazione tra il 2008 e 2009 di significative concentrazioni di PFOA (perfluoroottanoato di ammonio) nelle acque della falda e nei terreni. In particolare nel 2008 i picchi rilevati furono di 4.95 mg/Kg7 per i terreni e 214 microgrammi/l8 per le acque di falda; mentre nel 2009 si registrò 6430 microgrammi/l9 per le acque di falda, come spiega sempre il comandante.

I costi di bonifica e smantellamento del sito sarebbero ammontati a circa 25 milioni di euro: 5-7 milioni per la demolizione e 12-18 per la bonifica, mentre l’azienda valeva solo 15 milioni. Ci fu una svendita: il gruppo lussemburghese comprò il sito per 1 euro.

2013: niente più bugie

Un’indagine del CNR (Consiglio Nazionale delle ricerche) e del Ministero dell’Ambiente sull’inquinamento dei principali bacini fluviali porta a galla la verità. Lo studio rivela la presenza di PFAS nelle acque sotterranee, superficiali e potabili delle province di Vicenza, Verona e Padova, per un’estensione di ben 180 km. I Comuni più colpiti furono Brendola, Lonigo e Sarego (VI), dove si registrò la concentrazione più alta, pari a 1,2 microgrammi per litro.

Cartina inclusa nell’allegato A del D.G.R. n° 691 del 21 maggio 2018, diffuso dalla regione

Ulteriori indagini individuarono la fonte dell’inquinamento negli scarichi fognari dell’industria MITENI. Fu una corsa a mettere in sicurezza l’acqua, che i cittadini delle zone colpite bevevano da anni, con filtri speciali e acquedotti emergenziali. Inoltre ebbe inizio una lunga serie di processi contro i dirigenti e responsabili delle aziende coinvolte.

I processi dal 2013 fino ad oggi

Come riportano i presidenti di Acquevenete, Acque del Chiampo, Acque veronesi e Viacqua, per la procura i presunti responsabili (tutti con ruoli di vertice nell’azienda dal 2002) «concorrevano a cagionare l’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana», «omettendo di dare avvio alle procedure previste dalle leggi del 1999 e del 2006 per mettere in sicurezza i siti potenzialmente inquinanti, tenendo nascosti dati, circostanze rilevanti (…) e inducendo i consulenti nominati per le verifiche ambientali a rivedere e a ridimensionare la portata delle affermazioni contenute negli studi di volta in volta commissionati».

Iniziarono inoltre i processi contro l’azienda. Ci fu un primo procedimento in cui vennero coinvolte 13 persone, nello specifico 13 manager della MITENI, Mitsubishi Corporation e della ICIG. I capi d’imputazione erano “avvelenamento di acque” e “disastro innominato aggravato”, per i quali si rischiano fino a 15 anni di carcere.

Seguì un secondo procedimento che coinvolse 8 persone, in uno scenario in cui la MITENI aveva dichiarato fallimento, tentando in quel modo di “salvarsi” dagli oltre 200 soggetti che si erano costituiti come parte civile, oltre che l’intera popolazione che inizia a osservare tutti gli effetti negativi di anni e anni di acqua inquinata.

La situazione attuale

L’inquinamento non si ferma. Continua a fluire verso altre province e regioni. Attualmente le province venete interessate sono Vicenza, Verona, Padova, Rovigo, Venezia e alcune province lombarde, come spiega il documentario Il veleno nell’acqua. Inoltre si sta verificando una situazione analoga per la sede della multinazionale Solvay, presente in Piemonte e che tutt’oggi inquina il fiume Po con la C6O4, una sostanza perfluoroalchilica di nuova generazione.

I danni per la salute della popolazione sono innumerevoli: aumento di patologie cardiovascolari, disturbi della tiroide, Alzheimer, colite ulcerosa, ipertensione in gravidanza/pre-eclampsia e infertilità maschile. Tutte malattie illustrate e documentate nel già citato Il veleno nell’acqua da quattro testimoni e vittime dell’inquinamento. Rilevante, in particolare, è la testimonianza di Stefano De Tomasi, ex dipendente MITENI, che racconta delle condizioni di salute degli operai, fra i quali si sono verificati numerosi suicidi.

Anche l’intera catena alimentare è contaminata, dato che fra i gli agenti inquinanti abbiamo sia PFAS di vecchia generazione (intaccano il pesce e il fegato di bovini e suini) e di nuova generazione (intaccano frutta e verdura).

Lo scenario risulta complesso e le istituzioni, nonostante gli interventi, non stanno affrontando al meglio la situazione. Come racconta la consigliera della regione Veneto Cristina Guarda ad Arena3, è stata legalizzata la diluizione delle sostanze chimiche, così permettendo il versamento nel corso Fratta-Gorzone di 90.000 mc/s di acque reflue solo parzialmente depurate. Si spera in un cambiamento significativo grazie all’intervento della commissione ONU in Veneto, che, buona notizia, ci dà ragione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA