Nella consueta conferenza giornaliera il 25 gennaio il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha proclamato sulla scuola tutto e il suo contrario, ovvero che il 1° febbraio si tornerà alla scuola in presenza “a condizione che i parametri epidemici rimangano stabili”; e ciò è avvenuto senza ancora una comunicazione ufficiale sul piano mobilità quando mancano ormai pochissimi giorni e senza nemmeno aver sciolto del tutto la riserva sulla percentuale dei presenti (anche se pare sia scontato il 50%). Parlare di programmazione e gestione responsabile in queste condizioni appare, come minimo, velleitario.

Questa è la situazione nella nostra Regione, ma i segnali che si avvertono in generale parlano di un disagio ben più ampio e profondo.

Nel frattempo si sono mossi anche i sindacati: Comitato Priorità alla scuola ed i Cobas – con l’adesione della Flc Cgil, della Uil Scuola, di Cnps, Rifondazione Comunista e Potere al Popolo – hanno manifestato ieri in 24 città oltre che davanti al Ministero dell’Istruzione a Roma, chiedendo investimenti e tracciamento capillare e diffuso all’interno degli istituti. Oltre a ciò cresce l’insofferenza dei ragazzi, specie nelle grandi metropoli, che sembra aver raggiunto il punto limite. A Milano è stato occupato venerdì 22 gennaio il Liceo Virgilio, il più grande della città; dalla riapertura dopo la pausa natalizia sempre a Milano sono stati occupati, più o meno simbolicamente, il Liceo Scientifico Einstein, il Liceo Classico Manzoni, il Liceo Classico Tito Livio, i Licei Scientifici Volta e Severi; in totale, una decina di scuole in meno di due settimane. A Roma la polizia è diventata protagonista di un violento intervento, senza successo, per impedire il tentativo di occupazione del Liceo Classico e Linguistico Kant.

La frustrazione nei ragazzi aumenta pure nel quieto Veneto, anche perché le sentenze dei vari tribunali amministrativi regionali (TAR) come quelle dell’Emilia-Romagna, che ha sospeso l’effetto dell’ordinanza dell’8 gennaio 2021 con cui il Presidente Stefano Bonaccini aveva disposto la Didattica a Distanza al 100% per le scuole superiori fino al 23 gennaio, e del TAR della Lombardia, che il 13 gennaio 2021 ha sospeso un provvedimento analogo nella Regione di Attilio Fontana, sembrano dare ragione agli alunni della secondaria di secondo grado che non capiscono perché invece il TAR veneto abbia rimandato la questione al 27 gennaio, nonostante due precedenti così netti. E oltre al Veneto sono molte altre le Regioni che stanno ancora applicando la Didattica a Distanza al 100%: Campania, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Puglia, Basilicata e Calabria.

Certo, il Veneto e Verona non hanno una tradizione politica e scolastica improntata alla disobbedienza, anzi. Tuttavia, il logoramento si comincia a percepire persino nel quieto e disciplinato Nord Est. A Verona, il comitato “Ridateci la Scuola”, dopo varie iniziative, venerdì 22 ha affrontato con un flashmob in piazza Brà il freddo e la pioggia per spingere il Governatore a riportare i ragazzi in classe.

In conclusione, è evidente che Zaia non abbia al momento l’intenzione di far tornare i nostri ragazzi a scuola, perché in questo modo può rallentare la diffusione del contagio senza pesare sull’economia e a costo politico zero (i minori non votano, mentre i neo maggiorenni sono numericamente irrilevanti). Ora, però, è il momento di cominciare a considerare che una parte della nostra società, la più indifesa, che ha pagato e sta pagando per tutti, farebbe molta fatica digerire un ulteriore (e probabile) rinvio, con la beffa magari di un rinnovo della “zona rossa”, questa volta con la “firma” dell’UE. Che rinchiuderebbe tutti, di nuovo, a casa.