Una voce di speranza che infrange l’atmosfera cupa di queste ultime settimane, viene dall’iniziativa “La Comunità incontra la psicologia”, un ciclo di incontri organizzato dal Comitato di psicoterapeuti “Verona e la Psicologia, con il patrocinio del Comune di Verona e di Aulss 9 Scaligera, che proseguirà fino al 27 aprile 2024.

Al Palazzo della Gran Guardia sabato 25 novembre si è tenuto il primo incontro di un ciclo di conferenze che ha visto come relatore principale il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai sul tema “Allenarsi alla vita, apprendere non solo il sapere e il saper fare ma anche il saper essere”.

Ad introdurre l’intervento di Pellai, l’esperienza educativa condotta dalla cooperativa Hermete grazie al progetto di sviluppo di comunità “Genera”, che ha goduto del sostegno della Fondazione San Zeno, della collaborazione di Aulss 9 e dei Comuni di Dolcè e Brentino Belluno. É stato Luciano Pasqualotto, docente di Psicologia all’Università di Verona, a parlare di speranza paragonando la comunità di persone a un organismo vivente, che come tale ha un cuore pulsante con il suo movimento di diastole e sistole. Anche la comunità si apre, nel segno dell’accoglienza e si chiude, può star male, soffrire e poi rigenerarsi.

«La salute sociale di un territorio, di una comunità è fatta di aperture e chiusure, aperture al diverso, straniero, fragile, e chiusura nel ritrovarsi tra simili. Da chi dipende questo movimento? Da chi nella comunità ha un ruolo, dagli amministratori, da chi ha una possibilità di agire, dipende anche dai sacerdoti e da chi ricopre ruoli informali ma preziosi. È un processo che non avviene da solo, deve essere promosso», ha affermato Pasqualotto.

Il progetto “Genera” in Valdadige

«La Val d’Adige è un territorio che rischia lo spopolamento perché isolato, di passaggio, di confine – ha quindi proseguito Michela Cona, coordinatrice della Cooperativa sociale Hermete e referente del progetto Genera -. Pensiamo che la cosa più importante sia sostenere il protagonismo dei giovani. C’è una parola a cui teniamo molto, “imprenditività”, non imprenditorialità: non si tratta infatti di diventare imprenditori, ma di assumere un atteggiamento proattivo, di protagonismo e cittadinanza nella quotidianità per tradurre in azioni concrete le proprie idee».

Il lavoro con le comunità, iniziato nel 2017, ha attraversato anche la pandemia cambiando modalità di azione e ha prodotto prima un blog e poi un libro, Scorci di luce in Val d’Adige, in cui si ritrovano pensieri e stati d’animo che il territorio aveva bisogno di condividere per fare comunità a distanza.

Un momento dell’incontro in Gran Guardia durante il quale è stato presentato il progetto “Genera” della Cooperativa Hermete. Foto di L. Bertolotti.

«Gli elementi necessari per un cambiamento nella comunità – ha affermato Rita Ruffoli, presidente della Fondazione San Zeno – sono essenzialmente un tempo paziente, l’ascolto e immaginare che i possibili ostacoli potrebbero rivelarsi risorse. La Fondazione SanZeno si occupa principalmente di istruzione, educazione e lavoro. Tuttavia i fondi erogati risulterebbero nulli se non li prendessero in carico le risorse umane, ecco perché “Genera” è stata la parola esatta per questo progetto».

Pellai: «nutrire i fattori di protezione»

La psicologia deve uscire dalla stanza delle parole in cui si occupa di sofferenza e adottare l’approccio generativo entrando nella realtà per farla crescere. Con questa riflessione ha aperto il suo intervento lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai, che ha evidenziato quanto essa possa «non tanto e non solo togliere i fattori di rischio, ma anche nutrire i fattori di protezione»

Pellai ha parlato di allenamento alla vita tra l’adolescenza e l’adultità, una volta assegnata intorno ai vent’anni, oggi protratta ai ventidue, ventiquattro. Un tempo di vita in cui la plasticità del cervello costruisce la mente secondo due prospettive. In primo luogo il vivere in relazione, perché la nostra mente è, per sua natura, interpersonale e la solitudine non permette una visione del futuro.

In secondo luogo, il costruirsi mettendosi alla prova.

Pellai, ricercatore presso l’Università di Milano, autore di libri (tra cui Ragazzo mio, De Agostini, 2023), commentatore di temi d’attualità per la rivista Famiglia cristiana, non ha nascosto al pubblico la sua preoccupazione circa un atteggiamento adulto sempre più protettivo verso i giovani.

«L’allenamento alla vita viene davvero bloccato dall’adulto che iperprotegge per non aver l’ansia associata al fatto di veder cadere il figlio o la figlia. Ma ciò è frutto della nostra paura di non essere in grado di mantenere la parte sicura nel fronteggiare il dolore».

Eppure non c’è crescita senza allenamento al dolore, senza la caduta, e la prova concessa ai propri figli significa voler loro bene anche nell’insuccesso.

Diventare la persona che si vuole essere

«La scuola secondaria di secondo grado coincide con il tempo che la psicologia assegna per individuarsi, cioè lavorare di scalpello e cesello per trovare la propria forma, che rispecchi quello che il soggetto stesso vede di sé – ha rimarcato Pellai -. Individuarsi significa lavorare per diventare la persona che si vuole essere».

Ci vuole perciò tanto allenamento e il concetto di prova sfida genitori, educatori e adulti tutti. Per spiegarlo, Pellai ha usato la metafora sportiva.

«Ci vogliono campi da gioco, palestre, piste in cui mettersi alla prova per crescere. La comunità deve individuare questi spazi fisici, altrimenti resta solo la community, che però è virtuale e non reale e i due spazi non vanno confusi».

Lo psicoterapeuta Alberto Pellai, intervenuto sabato 25 novembre in Gran Guardia.

Si è infatti abituati a pensare che nei social si socializzi, ma in quell’ambiente non vige il principio di realtà bensì quello di virtualità, poiché tutto è regolamentato da un sistema di algoritmi e il/la giovane devono esserne quantomeno a conoscenza perché allontanati da altri ambienti in cui allenarsi.

«E poi ci vogliono compagni di squadra, quando c’è una buona squadra il campo da gioco diventa attrattivo. Infine sono fondamentali gli allenatori, cioè adulti che hanno buone procedure e un buon modello relazionale», ha quindi rimarcato lo psicoterapeuta.

In conclusione, Pellai ha evidenziato che il saper fare e il saper essere possono essere un processo generativo che allena alla vita. Però «l’adolescente deve essere aiutato dall’adulto, lavorando insieme sul fatto che il tempo e l’ignoto siano uno spazio di opportunità e non solo di pericolo. Dentro a quell’ignoto l’adolescente vede più la dimensione disperante che sorprendente. Ma l’ignoto potrebbe essere non solo un rischio bensì anche una prova superabile».

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