Questa sera, lunedì 23 ottobre alle 20.30 si terrà il terzo appuntamento della rassegna di cinema Mediorizzonti (giunta alla nona edizione), organizzata dall’associazione culturale veroNETta129 – in collaborazione con Heraldo – al Cinema Nuovo San Michele, via V. Monti 7c. L’ingresso è con biglietto unico 6 €.

Il docufilm in programma, “Scheherazade’s Diary” di Zeina Daccache (Libano, 2013, 80′), racconta la storia di alcune donne libanesi che devono trascorrere del tempo nel carcere di Baadba a Beirut a causa di alcuni reati, veri o presunti, di cui sono accusate. Siamo nel 2012 e dopo un seminario di drammaterapia durato 10 mesi, le detenute presentano al pubblico la loro opera teatrale “Scheherazade”, all’interno del carcere. La pellicola segue queste donne per tutta la durata del corso ed è l’occasione per raccogliere anche le testimonianze di vita di ciascuna di loro. Il film segue passo dopo passo le donne mentre provano per lo spettacolo e mescola scene della performance dal vivo con testimonianze e racconti di vita vissuti raccolti nel backstage delle performance live.

Ricordi dolorosi

La locandina del film

Attraverso i loro ricordi e le loro esperienze emerge quanto sia difficile essere oggi donna in Libano, e in generale nel mondo arabo, ancora governato da una mentalità patriarcale. Le protagoniste dell’opera della Daccache trasmettono la voce di tutte le donne che sono imprigionate da mentalità oppressive che in molti casi le portano alla criminalità. Adulterio, abbandono da parte dei loro genitori, abuso di droga e omicidio di i loro mariti. Sono solo alcune delle esperienze che vengono evocate nel film.

I loro racconti vengono montati dalla regista in modo da creare una sorta di fil rouge fra la finzione del teatro e la realtà, spesso più dura e difficile da accettare della prima. Le donne raccontano storie di violenza domestica, infanzia traumatica, matrimonio fallito, storie d’amore infelici e privazione della maternità. Il film affronta apertamente i temi degli abusi domestici, delle spose bambine, dei matrimoni forzati, dell’educazione traumatica e di come il sistema legale non riesca a proteggere le donne in Libano.

Si tratta di donne che però, in alcuni casi, proprio attraverso l’esperienza catartica del teatro riescono a far emergere dal profondo della propria anima ricordi dolorosi o sensazioni sopite, che vengono così affrontate. Con questo processo si riesce a trovare una sorta di reazione, una via di uscita, mentale oltre che fisica.

Un lavoro certosino

Scheherazade’s Diary è il risultato di un lavoro certosino, che ha permesso – durante il montaggio – di selezionare dalle oltre 90 ore di girato e arrivare alla versione definitiva di 80 minuti.

Nella prigione di Beirut, dentro la quale si svolge tutta la vicenda, la Daccache è entrata con discrezione insieme alla sua operatrice, portando avanti innanzi tutto la sua funzione terapeutica, cercando in qualche modo di far ricordare a ciascuna delle donne con cui ha interagito cosa volesse dire essere donna in una società non certo facile, dove spesso si è costrette a sposarsi a dodici/tredici anni e risulta addirittura essere un reato indossare a otto anni i pantaloni del proprio fratello.

Sebbene spesso oscuri, i loro racconti mettono in risalto anche la leggerezza delle loro personalità – eccentriche, timide, gentili, divertenti – e il profondo potere della solidarietà femminile. Il documentario è un ritratto della realtà. E la realtà è tragica, comica, drammatica, melodrammatica.

Le protagoniste del film

Un racconto sobrio ed equilibrato

La regista Zeina Daccache ha trovato l’ispirazione per realizzare questo film e il suo predecessore Twelve Angry Libanese dopo una visita al carcere di Volterra in Toscana, dove negli ultimi 28 anni è stato portato avanti un progetto di teatroterapia.

La Daccache (sceneggiatrice, regista, produttrice e anche presente all’interno del film) ha il grande merito di non prendere – almeno formalmente – una posizione. Non intende né martirizzare né assolvere le donne che ha incontrato, ma si prefigge l’unico scopo di donare a loro nuova nuova dignità, riscoprire la propria femminilità e imparare che al di là di quelle sbarre la vita può davvero ricominciare da zero.

Una speranza, insomma, che non può essere trascurata e che grazie al potere del cinema possiamo anche noi riscoprire e riassaporare. Per il suo coraggio e lo stile con cui la Daccache ha deciso di raccontare questa storia la pellicola ha vinto numerosi premi internazionali. Il film ha, inoltre, contribuito a cambiare la legge, inclusa una riduzione delle condanne per buona condotta, e agisce non solo per fornire consapevolezza internazionale sulla situazione, ma anche per educare le donne libanesi sui loro diritti.

Alla fine della proiezione la stessa regista, in collegamento da Amman (Giordania) sarà intervistata da Heraldo. Nel corso della serata interverranno anche la giornalista iraniana della testata Indipendent Persia  Hanah Namdari e le attiviste dell’associazione (nata a Montorio) Sbarre di Zucchero – che si occupa della sensibilizzazione a favore di tutte quelle tematiche inerenti alle detenute – Micaela Tosato ed Emanuela Ferrigno.

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