Immaginate di aver attraversato per migliaia di chilometri deserti e zone di guerra, di essere scampati alle pericolose attraversate in barca del Mediterraneo e di essere finalmente giunti in quella che ai vostri occhi doveva essere la terra della rinascita. E invece siete rinchiusi da mesi, se non da anni, nei centri di accoglienza, lontano dagli sguardi di tutti, ostaggio di burocrazia e diffidenza. O indifferenza. I giorni tutti uguali, senza scampo, senza la possibilità di uscire o di poter lottare per rendere la propria vita migliore o semplicemente dignitosa. In attesa. Sempre…

Immaginate di non poter esprimere a nessuno le tue paure, ma anche i desideri, idee, progetti. Sogni. Non poter esprimere se non a chi condivide il tuo stesso stato d’animo la nostalgia per la propria terra, gli amici, i parenti… tutti lasciati alle spalle insieme a quella vita da cui si sta tentando di fuggire solo per finire in un altro incubo.

Immaginate di non avere voce, anche perché se anche l’aveste non ci sarebbe comunque nessuno ad ascoltarti. E di dover solo attendere e attendere e attendere. All’infinito.

Poi un giorno arrivano nella tua “prigione” due strani individui, con una cassa per far musica, qualche strumento musicale e un’idea. Un’idea semplice, se vogliamo, ma molto efficace. Ti chiedono di condividere con loro le tue passioni musicali, di provare a suonare insieme qualche nota, di dare sfogo a ciò che hai dentro con il canto, con il rap, con il movimento del corpo, con il battere delle tue mani.

E allora in te scatta qualcosa, lasci da parte le barriere della tua personale diffidenza, provi a fidarti e ti lanci, facendo emergere il tuo vero “io”, sopito fino a quel momento sotto montagne di noia e rabbia, accumulati a causa di una situazione che forse non avevi immaginato e che sta inaridendo la tua anima. Poco a poco il ritmo, le note nell’aria, i suoni della tua gente, che vengono mescolati insieme a molto altro, diventano magia pura… un sorriso affiora dalle tue labbra, i denti finalmente tornato a splendere e tu ritrovi, almeno per un po’, la voglia di vivere e condividere.

Il progetto “Senza voce” è fondamentalmente questo. Condivisione. Gioia. Ritmo. Urla. Balli. Canto. Vita. E anche molto, moltissimo altro. Si tratta di un’esperienza potente, che Marco Bernacchia (in arte Above the trees) e Gianluca Taraborelli (aka Johnny Mox) hanno saputo creare con un pizzico di incoscienza dapprima in Italia e poi in Europa. Con i loro viaggi, le loro esplorazioni. Non solo fisiche, ma soprattutto mentali e musicali. Con la loro delicatezza e il loro modo di avvicinarsi a chi è stato decisamente maltrattato dalla vita e spesso non ha alternative al chiudersi in se stesso. E che ora ritrova, grazie al linguaggio universale della musica, un nuovo motivo aprirsi al mondo.

La locandina del docufilm

Fin dai suoi primi passi il progetto “Stregoni” ha avvicinato centinaia e poi addirittura migliaia di individui, fra uomini e donne, giovani e meno giovani, africani e asiatici, profughi e richiedenti asilo, immigrati di prima e in qualche caso seconda generazione, in lungo e in largo l’Europa. Da Lampedusa a Copenhagen, da Verona a Bruxelles, passando per Amburgo, Roma, Parigi, Milano e tanti altri luoghi, piccoli e grandi, dove è stato possibile tentare di dare vita a qualcosa di vero, di nuovo, di innovativo, certamente imperfetto, ma spontaneo, originale e privo di qualsiasi tipo di sovrastruttura. Un’esplosione pura, emozioni che si intrecciano e si confondono, che fra un sorriso e una lacrima ti portano a dire “si, ok, sono sulla strada giusta”.

Ne è nato un docufilm, che verrà presentato questa sera, giovedì 6 ottobre, a partire dalle 19.30, nella sede del centro culturale La Sobilla, tradizionale partner di Mediorizzonti. La rassegna di cinema mediorientale che fin dalle origini tenta di abbattere gli stereotipi su un mondo spesso poco conosciuto, ma di cui ci sentiamo quasi sempre in diritto di parlare, ancora una volta ha fatto centro, con una proposta che fin dalla sua anteprima vuole scuotere le coscienze. Conoscere quel mondo attraverso il cinema è un bel modo per abbattere prima di tutto i propri stereotipi, quelli interni, che tutti noi inevitabilmente abbiamo. E la magia di “Stregoni” è il modo migliore per parlare di un argomento che ci riguarda tutti, anche se facciamo finta che riguardi solo una minima parte della popolazione mondiale.

Perché quelle persone vivono fra noi, dormono a pochi metri da noi, sanno molto di noi, ma noi non sappiamo praticamente niente di loro. La parola “immigrati” spesso racchiude un concetto informe, una massa di persone che non ha una vera identità ai nostri occhi, alle nostre orecchie. Si tratta di persone, arrivate da lontano, che a volte richiedono il nostro aiuto e che spesso, in realtà, vorrebbero solo passare e andare oltre, lontano, proseguendo il proprio itinerario per raggiungere la vera meta del loro viaggio. Non hanno un volto, un nome.  

Questo docufilm, per la magistrale regia di Joe Barba, è – senza giri di parole – una perla. Una perla che dona energia e commozione. Che sa instillare fiducia nel prossimo e desiderio di comunicare. Di trasmettere esperienze e saperi. Di lasciarsi andare e di riprendersi la vita, che magari può scappare di mano, ma può essere riacciuffata, in molti modi. A volte anche quelli più impensati.

Dopo la proiezione Heraldo animerà il dibattito con uno dei protagonisti del progetto, Marco Bernacchia, che sarà accompagnato da alcuni dei ragazzi di Verona che hanno partecipato alla sua iniziativa. Un’iniziativa che ormai si protrae da qualche anno, e che non probabilmente non si concluderà mai, ma troverà sempre nuova linfa per poter rinascere e rivivere, mille e mille volte. O almeno questo è quello che non possiamo che augurarci. Perché quello che è nato da una “scintilla”, da un’idea di due persone che si sono incontrate e si sono capite al volo, è diventato qualcosa di più grande e che non può che andare oltre.

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