Domani cadrà il primo anniversario della morte della 22enne curdo-iraniana Mahsa Jina Amini, che il 16 settembre 2022 è stata uccisa dalla polizia di Teheran, la capitale dell’Iran. Jina (questo è il suo nome curdo) era stata inizialmente arrestata dalla polizia morale per aver indossato in maniera scorretta il velo. Venne portata in caserma, dove a causa delle ripetute percosse ricevute morì. Quando il suo corpo arrivò all’ospedale Kasra della capitale iraniana era infatti già privo di vita.

Una giornalista che era casualmente in ospedale in quel momento scattò una foto ai genitori di Mahsa che, disperati, si stavano abbracciando e quella foto, poi pubblicata, fu la scintilla per le enormi proteste che subito dopo scattarono in tutto il Paese e che hanno prodotto scontri, manifestazioni con migliaia e migliaia di persone e purtroppo anche esecuzioni di massa da parte del governo di Teheran che faticava a sedare la rivolta.

I media occidentali per alcuni mesi hanno raccontato ciò che stava accadendo in Iran. Poi, come spesso accade in questi casi, l’attenzione è pian piano scemata e con il passare delle settimane il “faro” dell’Occidente si è spostato verso altre direzioni.

La protesta in Iran, però, non ha mai cessato e la popolazione continua a reclamare a gran voce i propri diritti, che nel Paese guidato da una dittatura sono costantemente negati. Chi cerca di tenere alta l’attenzione su ciò che avviene nel proprio Paese è l’attivista Pegah Moshir Pour, che qua a Verona abbiamo potuto incontrare recentemente nell’ambito della terza edizione del Festival del Giornalismo, in un evento dedicato interamente alle donne iraniane e al quale ha partecipato anche la giornalista iraniana dell’Indipendent Persia Hana Namdari.

Foto di Corrado Benanzioli

Pegah, innanzitutto ricordiamo quello che è successo un anno fa…

«L’uccisione di Masha Jina è stato il là per scendere in piazza. Prima le donne curde, al grido di DONNA, VITA, LIBERTA’, e poi tutti gli altri iraniani, uomini e donne, sono scesi in piazza a Teheran, ma la protesta si è poi diffusa velocemente in tutto il Paese. Da allora queste proteste non si sono mai fermate e continua ancora oggi la disobbedienza civile per manifestare contro il governo centrale.»

Da allora lei ha incessantemente portato in giro per l’Italia la sua testimonianza di attivista per i diritti civili per tutti i cittadini del suo Paese. Quanti incontri ha fatto in quest’ultimo anno (circa) e quante persone ha incontrato, fra giovani, studenti e persone comuni?  

«Ho avuto una media di 27 eventi al mese, dal 30 settembre 2022 ad oggi. Praticamente uno al giorno. Ho incontrato tantissime persone, nelle realtà più diverse: dai grandi palchi, come quello del Festival di Sanremo con 20 milioni di telespettatori, a piccoli teatri in paesini di appena mille abitanti, sperduti su qualche montagna.

Ho cercato di portare sempre il verbo della tutela dei diritti, ovunque e a tutti, dalle scuole alle università e persino nelle aziende, dove ho sottolineato il tema delle responsabilità aziendali verso il mondo e soprattutto verso la nostra società. Che dobbiamo costruire tutti insieme.»

Quali erano le domande che più di frequente le venivano fatte durante questi incontri?

«Mi veniva sempre chiesto ciò che sapevo e so sull’Iran. Le persone fanno davvero tanta fatica a capire come si possa arrivare a uccidere una persona solo per una ciocca di capelli messa male o solo perché ha ballato. Ci rendiamo conto di cosa significa ballare e per questo essere uccisi? Ecco, tutto questo è così assurdo che le persone davvero fanno fatica a credere alle mie parole. È per questo che a un certo punto ho cominciato a raccontare le storie vere di giovani iraniani e iraniane e anche degli adolescenti, ragazzi normalissimi che desiderano le stesse cose degli adolescenti occidentali. Volevo solo far capire quanto fosse grave la situazione in Iran. E di quello che noi possiamo fare ogni giorno per la libertà di tutti.»

Cosa possiamo fare, dunque, noi occidentali per aiutare il suo popolo?

«Non dobbiamo mai smettere di parlare. Non dobbiamo fermarci, assolutamente. Il quel momento il regime sarebbe autorizzato a continuare a fare quello che fa. Dobbiamo invece continuare a monitorare l’Iran, che fra l’altro è stato scelto dalle Nazioni Unite per ospitare il prossimo social forum di novembre. Un paese che non rispetta i diritti umani e poi si trova garante del social forum! Assurdo. Le contraddizioni globali vanno tenute sotto controllo, soprattutto per il bene nostro e per la pace e la serenità della nostra società. Dobbiamo pretendere che determinati azioni politiche non vengano fatte o chiedere ai nostri governanti decisioni politiche un po’ più forti, da prendere con un po’ più di coraggio.»

Quindi lei sostiene che, come cittadini italiani, europei, occidentali in generale, dovremmo fare un po’ più di pressione verso i nostri governi affinché a loro volta mettano pressione al governo iraniano perché allenti la repressione sociale e culturale del suo popolo e si apra ai diritti civili di tutti?

Pegah Moshir Pour – Foto di Corrado Benanzioli

«Esattamente.»

Concretamente secondo lei cosa è realmente cambiato in Iran da un anno a questa parte?

«In Iran è cambiata la consapevolezza su quella che è la potenza della popolazione. Si sa, l’unione fa la forza e gli iraniani ci stanno provando davvero a cambiare le sorti personali e dell’intero Paese. E il bello è che non si protesta solo nelle grandi città, ma anche nei piccoli villaggi nelle province più sperdute, dove la disobbedienza da parte delle donne, ad esempio riguardo l’obbligatorietà del velo, sta creando notevoli problemi di ordine pubblico e sorveglianza al regime.

Tutti stanno cercando di fare la propria parte. L’Iran è un Paese vastissimo, enorme, e tutte queste disobbedienze, donne e anche uomini, rispetto ai dettami del regime, stanno davvero mettendo in difficoltà il regime. Ma abbiamo bisogno anche dell’aiuto esterno.»

Quanto è importante, dunque, continuare a tenere il faro acceso sull’Iran?

“Importantissimo. L’Iran è oltretutto un Paese strategico per il Medioriente ma in generale per gli equilibri geopolitici globali. Qualora in quel Paese arrivasse la democrazia, l’Iran potrebbe davvero contribuire alla pace nel mondo o quantomeno a una maggior serenità di tutta l’area.»

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