Spesso accadono fatti di cronaca che per qualche ora, forse qualche giorno, accendono la luce su situazioni complesse ma per lo più dimenticate. È il caso di Ventimiglia, città in provincia di Imperia, denominata storicamente “la porta occidentale d’Italia” per il suo sorgere al confine con la Francia.

Dal 2014 tuttavia, Ventimiglia più che una porta è diventata un imbuto, a causa del cambio della gestione dei flussi migratori in Europa.

La militarizzazione delle frontiere, di cui abbiamo parlato in riferimento alla rotta balcanica, ha colpito anche il fronte occidentale visto che la Francia, nel 2015, ha sospeso il Trattato di Schengen, riattivando i controlli lungo la frontiera italo-francese.

Ciò ha causato non solo l’accumularsi di migranti a ridosso della frontiera, che arrivano in quell’area proprio con l’obiettivo di raggiungere la Francia, ma anche l’aumento indiscriminato di respingimenti verso l’Italia.

Copertina del report di WeWorld

Secondo i dati rilasciati dalla Prefettura di Nizza nel periodo compreso dal 1° gennaio al 15 giugno 2023, 13.395 persone sono state soggette a respingimenti o trattenimenti al confine italo-francese, con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente. Si tratta di una media di circa 80 persone al giorno costrette a tornare indietro.

La città di Ventimiglia, quindi, si trova suo malgrado, a trattenere migliaia di persone che non vorrebbero stare lì, ma che di fatto vi sono costrette.

Al solito ci si trova di fronte a un paradosso tutto legislativo e di gestione europea dei flussi migratori interni, che fa ricadere sulla popolazione locale e sulle persone in transito tutto il peso dell’assenza di una adeguata gestione delle migrazioni.

È ovvio quindi che si creino polveriere di umanità, dove anche una piccola scintilla rischia di scatenare reazioni pericolose da entrambe le parti (residenti o migranti), lasciate sole a gestirsi una complicata quotidianità.

Le voci di chi si trova nel mezzo

Per chi vuole capire davvero cosa significhi vivere a Ventimiglia, stare in una zona di frontiera caratterizzata da continua violenza, mancanza di un luogo fisico di assistenza primaria per i migranti, disinteresse dei diritti umani fondamentali come la salute, il diritto a spostarsi o vivere in una città dignitosa, può essere utile consultare due report, usciti a pochi giorni di distanza.

Copertina del report di Medici senza Frontiere

Il primo è dell’associazione WeWorld, dal titolo INTER-ROTTE. Storie di donne e famiglie al confine di Ventimiglia, uscito a luglio. Il secondo è di Medici senza Frontiere (MSF), si intitola VIETATO PASSARE. La sfida quotidiana delle persone in transito respinte e bloccate alla frontiera franco-italiana, ed è stato pubblicato il 5 agosto.

In entrambi i report la frontiera di Ventimiglia viene descritta come il collo di bottiglia in cui confluiscono le due principali rotte migratorie europee: quella balcanica e quella mediterranea.

L’Italia rappresenta uno dei più importanti punti di ingresso e di transito dei flussi migratori diretti verso altri Stati dell’Europa settentrionale come Germania, Regno Unito e Francia, tanto che tra gennaio e la fine di giugno 2023 nel nostro Paese si sono registrati 60.802 arrivi via mare, con sbarchi in diverse località del sud. Gli arrivi via terra invece, tra gennaio e marzo, sono stati 2.625, intercettati al confine con la Slovenia (dati UNHCR, 2023).

Le denunce dei volontari

Tutte le associazioni di volontari che hanno collaborato alla stesura dei due report, denunciano la mancanza di luoghi fisici dove poter assistere ai bisogni primari dei migranti, bloccati al confine.

Foto di Alex vasey, unsplash.com

«I migranti in transito a Ventimiglia vivono spesso in condizioni di estrema precarietà e marginalità. La mancanza di alloggi adeguati, di strutture igienico-sanitarie e un accesso molto limitato all’assistenza sanitaria favoriscono l’insorgenza di malattie quali infezioni virali e cutanee, nonché il deterioramento di patologie croniche preesistenti, esponendo la popolazione a una situazione di estrema vulnerabilità e a gravi rischi per la salute», denuncia MSF.

«In assenza di uno spazio di accoglienza strutturato, le persone in transito cercano riparo nei luoghi più disparati: per strada, in edifici abbandonati, o in ripari di fortuna dove sopravvivono in condizioni disumane, esponendole a marginalizzazione, soprusi, violazione sistematica dei diritti fondamentali, condizioni climatiche avverse, rischi per la salute privandole dell’accesso a servizi igienici, all’acqua pulita o a un riparo adeguato», precisa WeWorld.

«Non possiamo agire dove davvero serve, cioè sui regolamenti europei quindi, da anni ripetiamo che ciò che serve è un luogo davvero preparato a rispondere a queste esigenze e a gestire anche le situazioni più critiche. Si parla molto di ordine pubblico e di sicurezza: un luogo di accoglienza permetterebbe di soddisfare in parte questa esigenza, di sapere con chi si ha a che fare, quale sia la situazione della persona, la sua posizione giuridica e come poterla affrontare» ha dichiarato, infine, Serena Regazzoni, responsabile dell’ accoglienza di Caritas Intemelia, partner di WeWorld.

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