Incontriamo l’avvocata Emanuela Pasetto, recentemente nominata alla carica di Garante per la tutela dei diritti degli animali, nell’ambito della più ampia strategia di attenzione del Comune di Verona verso questi esseri senzienti, anche se non votanti. (Per conoscere dettagliatamente le funzioni del Garante, basta consultare questa pagina, ndr)

Pasetto, lei è una figura nota tra le associazioni animaliste da molti anni, si è impegnata in processi a tutela del benessere degli animali e arrivando alla condanna di molti maltrattanti. Eppure non è sempre stata un’animalista, sbaglio?

«In effetti, fino ai 25 anni, quando mi sono sposata, non avevo avuto alcun rapporto con gli animali, i miei non avevano mai preso neanche un pesce rosso e non avevo idea del tipo di relazione che si può instaurare con loro. Mio marito Riccardo Trespidi, invece, era molto più sensibile di me, in quanto la sua famiglia aveva animali nella tenuta in campagna, animali verso i quali provava una profonda tenerezza.

Quando ci siamo sposati, sua sorella ci regalò un cucciolo di breton, Enea. Aveva tre mesi e fui risoluta sul fatto che avrebbe dovuto restare fuori casa. E poi che non sarebbe mai salito al piano di sopra. E infine che non sarebbe mai salito sul nostro letto. La sera stessa del suo ingresso in famiglia, Enea dormì sul nostro letto e così fece fino alla sua morte.

Grazie all’incontro con Enea, imparai che gli animali hanno sentimenti, e che si sentono soli esattamente come noi. Appresi con sorpresa il tipo di affinità multisensoriale che può nascere tra due specie diverse. Un legame intenso, che fa scaturire un senso di protezione simile a quello che proviamo per i bambini.»

Il passaggio successivo fu quello di chiedersi cosa provino gli animali tutti, non solo quelli d’affezione?

L’avvocata Emanuela Pasetto con Bryan

«Ho ampliato il mio sguardo per la semplice constatazione che ciò che consideriamo proprio di cani e gatti, quindi l’intelligenza, le emozioni, i sentimenti, caratterizzano anche specie animali che vengono utilizzate come cibo, come vestiario, per la sperimentazione, per il “divertimento”. Ciò ha determinato un cambiamento radicale nel mio quotidiano.

Ad accelerare tale processo ha contribuito un episodio traumatizzante. Eravamo a tavola dai genitori di mio marito, in campagna, quando sua madre disse casualmente che la bistecca che stavamo mangiando era Ulisse, un vitello che salutava l’arrivo di Riccardo come un cane. Sconvolto, da quel giorno non ha più mangiato un animale. Erano i primi anni Ottanta, un’epoca in cui ti dicevano che senza carne si poteva morire. Io, che adoravo il sapore della carne, ho cercato mille alibi per continuare a mangiarla. Ma mentivo a me stessa. Dopo pochi mesi divenni anch’io vegetariana e crescemmo tre figli che mai l’hanno assaggiata».

Queste scelte personali come hanno trovato spazio nella sua professione?

«Quando sono diventata avvocata, nel gennaio 1983, ho cominciato a chiedermi se potevo usare le mie competenze giuridiche a favore degli animali. Di formazione sono civilista ma mancavano le leggi a tutela degli animali, che nel codice civile, erano considerati solo come beni. Nessuna norma parlava dei diritti degli animali o almeno del diritto all’affezione verso un animale.

Ho cominciato allora a interessarmi di diritto penale. All’epoca era vigente solo l’art. 727 in cui però oggetto della tutela non era l’animale, ma il sentimento di pietà verso gli animali che viene offeso nel caso di un maltrattamento, muovendo dal principio per cui gli animali non vanno maltrattati in quanto si tratterebbe di un addestramento alla violenza verso gli uomini.»

La tutela diretta dell’animale è arrivata molto più tardi, anche grazie alle battaglie per veder prevalere i loro diritti di fronte alla cattiveria e all’ignoranza dei maltrattanti…

«È stata una strada lunga. Devo dire però che, fin dall’inizio, a fronte di una norma riduttiva, i giudicanti hanno spesso utilizzato un’interpretazione aperta e corretta, a favore degli animali. Solo nel 1990, in una sentenza della Cassazione, il reato di maltrattamento diventa pluri-offensivo e i beni protetti sono l’umano sentimento di pietà, ma anche l’animale in sé come autonomo essere senziente.

La pena era irrisoria, un’ammenda, e si poteva anche estinguere il reato con l’oblazione, pagando un terzo della pena massima fissata in 600mila lire. Ricordo un caso che seguii a fine anni Ottanta; fu processato, su denuncia della Lav, un primario di microbiologia che aveva lasciato morire di stenti una cinquantina di animali da laboratorio, vietando ai sottoposti di occuparsene. L’imputato poté estinguere il reato versando, grazie all’oblazione, l’equivalente di 100 euro di multa.

Nel 1993 è arrivato un primo aggiustamento, inserendo nell’art. 727 c.p. sia il reato di abbandono sia quello di detenere un animale in condizioni incompatibili con la sua natura. Lo spettro di intervento della magistratura si è allargato, ed inoltre l’aver previsto la pena dell’arresto alternativa a quella dell’ammenda non rendeva più obbligatorio per il giudice accogliere la domanda di oblazione. Questo permise di ottenere molto più frequentemente sentenze di condanna.

Vi erano tuttavia importanti lacune nell’applicazione concreta di questa norma. In alcune sentenze, sull’assunto che la norma puniva l’inflizione di sofferenze, ma non l’uccisione, si arrivò all’assoluzione di imputati che avevano ucciso, in modo rapido ed indolore animali.

Beduzzo, trovato 17 anni fa nella spazzatura

Il vero cambiamento, che ha risolto gran parte delle criticità avviene con la Legge 189 del 2004, che per la prima volta ridisegna la tutela penale degli animali, trasformando il maltrattamento in delitto. Una norma che ha dato efficacia alla tutela penale, prevedendo l’animalicidio e reati specifici per contrastare la zoomafia, i combattimenti e lo sfruttamento illegale di animali.

Importantissimo corollario è l’art 544 sexies c.p. che introduce come pena accessoria la confisca degli animali maltrattati, sia in caso di condanna che di patteggiamento. Questa norma è di estrema rilevanza, soprattutto in considerazione del fatto che la maggior parte dei maltrattamenti viene compiuta dal proprietario e dunque è fondamentale togliere l’animale al maltrattatore.

La Legge 189/2004 protegge gli animali d’affezione ma anche quelli da reddito, per sperimentazione, gli animali nei circhi e quelli che vengono cacciati. Non esistono zone franche. Ogni qualvolta non vengano rispettate le normative di settore, a tutela del benessere animale, si riespande la tutela penale e può intervenire la condanna anche a carico di cacciatori, allevatori, sperimentatori, circensi.»

Il suo legame con le associazioni si è rafforzato negli anni, grazie al patrocinio pro bono di cause a favore della tutela di chi non può proteggersi da solo. Questo accade perché, salvo errore, se un privato cittadino denuncia un maltrattamento di un animale, non viene considerato come “persona offesa” a meno che l’animale sia suo?

Con Iris, cagnolina sequestrata per maltrattamento e ora di famiglia

«Proprio così. Ho sempre considerato gli animali i miei veri “clienti” ma, ovviamente, i loro diritti nei processi penali devono essere veicolati da associazioni che si occupino istituzionalmente della loro tutela. Io ho sempre ritenuto le associazioni un mezzo, mai un fine. Negli anni ho rappresentato vari Enti, fra cui l’Enpa, la Lega per la difesa del cane, la Lipu e soprattutto la Lav, che ho patrocinato come parte civile in innumerevoli processi.

Anche i processi penali fanno cultura, non solo giuridica ma anche sociale. Raccontare i casi, anche se emotivamente è molto difficile, serve a sensibilizzare, a spiegare che un comportamento ritenuto, magari per ignoranza, legittimo costituisce invece un reato punibile.

Ad esempio, attraverso una sentenza del giudice penale del Tribunale di Verona, dottor Ferraro, in cui è passata la tesi per cui la volontaria omissione di cura integra il reato di maltrattamento, si è fatta giurisprudenza, poi recepita anche dalla Cassazione. Grazie a tantissime sentenze di condanna, si sono salvati centinaia di animali, altrimenti destinati ad una vita di sofferenza.»

E qui si inserisce il suo nuovo ruolo istituzionale, con compiti e responsabilità ma anche diritti molto diversi da quando era un “semplice” legale di parte. È riuscita a farsi un’idea di come cambierà il suo lavoro in favore degli animali?

«Sono davvero onorata di questo incarico, che vivo come un riconoscimento per tutto il lavoro dedicato alla causa dei diritti degli animali. Consideri che sono moglie, mamma di tre figli e nonna di tre nipotini, con il quarto in arrivo, oltre ad esercitare quotidianamente la mia professione di avvocato. Il mio tempo libero è davvero poco, ma ho accettato quest’incarico per mettermi ulteriormente a servizio della causa per i diritti degli animali.

La funzione di Garante mi dà la possibilità di ricevere direttamente all’indirizzo email garanteanimali@comune.verona.it segnalazioni e reclami, di vigilare sulla corretta applicazione delle norme, di chiedere l’intervento delle forze dell’ordine o del servizio veterinario. Posso denunciare fatti configurabili come reato di cui venga a conoscenza, in relazione al rispetto delle leggi dello Stato e dei regolamenti comunali.»

Un caso di maltrattamento proposto dalla Garante dovrebbe quindi essere subito accolto dal pm? Se è così si tratta di un bel cambiamento rispetto agli anni a combattere contro i tentativi di archiviazione…

«La mia figura di Garante è caratterizzata dall’imparzialità, che peraltro c’è sempre stata. E anche se posso procedere direttamente, la collaborazione con le associazioni aumenterà, non il contrario. Potrò promuovere, in sinergia con l’Ufficio Benessere Animali, integrazioni al Regolamento ma anche richiedere ordinanze contingibili e urgenti laddove se ne ravvisi la necessità.

Ad esempio, richiedere che sia vietata la detenzione di animali a chi si sia già reso responsabile di condotte maltrattanti. Alcuni sindaci della nostra provincia già hanno emanato ordinanze di divieto e ciò è in linea con le funzioni del sindaco che per legge è competente in tema di tutela degli animali.»

Quanto contano per lei i progetti di formazione, per far crescere la consapevolezza sociale?

«Sono previste periodiche riunioni con le associazioni per discutere idee e progetti, per diffondere la conoscenza delle norme che regolano la tutela e gli interventi effettuati. Una novità per me è il poter essere presente durante i controlli su un potenziale maltrattamento: ora posso vedere coi miei occhi e richiedere, ove opportuno, la costituzione del Comune come parte civile nel processo.

Un’idea, a cui sto lavorando con il consigliere Giuseppe Rea, riguarda la necessità di far incontrare la fragilità umana con il mondo animale. È una tragica realtà quella degli anziani in casa di riposo, a cui è spesso preclusa anche la visita dei propri animali, figuriamoci la possibilità di tenerli con sé. Una duplice sofferenza, per l’anziano e per l’animale, visto che entrambi perdono un amico.

So che in alcune strutture sono già ammesse visite di animali negli spazi comuni e forse può diventare una cosa normale, non l’eccezione. E si potrebbe estendere il progetto ai senza dimora che non possono accedere ai servizi di mensa o posto letto, solo perché il loro compagno di vita non può entrare.»

Non sarà semplice portare avanti battaglie contro gli allevamenti abusivi o irregolari, oppure contro la caccia…

«Sono la Garante di tutti gli animali. Questo mandato mi permette di inserirmi ovunque si ravvisi una violazione di leggi e regolamenti, che si tratti di uccellini da richiamo segregati al buio, di allevamenti che non rispettano le norme di settore, oppure circhi che si ostinino a sfruttare animali, e perfino in tema di sperimentazione. Mi sento ben sostenuta sia dalle istituzioni che dalle associazioni di tutela. Cosa riuscirò a fare, lo scopriremo solo vivendo. Ma ho imparato dall’esperienza personale che volere è potere.

L’avvocata Emanuela Pasetto in tribunale

Mi riferisco al 1990, al canile di via Campo Marzo, dove al tempo si uccidevano 1800 cani all’anno, tutti quelli catturati che non fossero reclamati entro tre giorni. Noi animalisti del Comitato difesa diritti animali avevamo fatto marce, proteste, notificato diffide ma non era servito a niente. L’immobilismo delle istituzioni fu scardinato da un’occupazione non violenta del canile.

Costò agli occupanti due processi penali ma ebbe una grande risonanza sui giornali, perfino al Maurizio Costanzo Show. E si concluse con un protocollo d’intesa con cui l’Ulss si impegnava formalmente a non sopprimere. Questo un anno prima della legge 281/91, che ha vietato una volta per tutte la soppressione. Mantenere lo status quo è facile, per ottenere il cambiamento ci vuole il coraggio di fare scelte “di rottura” con il passato avendo lo sguardo sul futuro.»

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