Non è un caso che Mario Lodi venga sempre ricordato come “il maestro”, perché ha fatto del lavoro d’aula con le bambine e i bambini il suo impegno quotidiano.

Riconosciuto poi come autorevole pedagogista per le sue innovazioni teoriche e metodologiche, ha cominciato proprio insegnando all’indomani del secondo conflitto mondiale, in paesi di campagna, dove l’alfabetizzazione di base non era ancora patrimonio di tutti.

Nato a Piadena il 17 febbraio 1922, in occasione del centenario della sua nascita sta per essere ripubblicato da Einaudi uno dei suoi libri più famosi, Il paese sbagliato, con la prefazione di Franco Lorenzoni, diario dell’esperienza quotidiana di insegnamento dal 1963 al 1969.

Uscito nel 1970, sortì l’effetto di una sciabolata tra i benpensanti conservatori di una certa nozionistica scuola, ma oggi è tra i testi di studio nelle università e riferimento imprescindibile per molti docenti.

L’innovazione didattica di Lodi

Mario Lodi si diplomò a Cremona nel 1940, durante il servizio militare abbandonò l’esercito l’8 settembre 1943, fu riarruolato ma ritentò altre volte la fuga e visse l’esperienza di numerosi arresti per le sue idee in opposizione al regime fascista.

Cominciò a insegnare nel 1948, a San Giovanni in Croce (Cremona) e fondamentale fu il suo coinvolgimento nel Movimento di Cooperazione Educativa, ispirato alle teorie di Célestin Freinet (1896 – 1966), un gruppo di insegnanti che si adoperava per adeguare l’insegnamento ai principi della nuova costituzione repubblicana.

Le novità didattiche più importanti che promuoveva l’Mce riguardavano l’introduzione del “testo libero”, il giornalino di classe, la corrispondenza interscolastica e la ricerca ambientale.

Mario Lodi diede anche centralità al linguaggio grafico-pittorico, spazio alla musica, al teatro e all’espressione di emozioni e paure.

Lo caratterizzava uno sguardo sempre rispettoso dell’infanzia, della sua “competenza” indipendente dall’istruzione scolastica, era teso nell’obiettivo di trasformare l’energia vitale dei bambini e delle bambine in scoperta, conoscenza e gusto di imparare.

Il nuovo… incompreso

La copertina della prima edizione di Cipì, uscito con Einaudi.

In C’è speranza se questo succede al Vho, pubblicato nel 1963, si trova traccia sofferta dei suoi primi anni di insegnamento e trapelano numerosi dubbi nella ricerca di fare scuola in modo diverso, per conservare la gioia del fare e del conoscere.

Fra le righe si legge anche la sua fatica nell’operare scelte adeguate alla situazione ed emerge la solitudine di un percorso talmente nuovo da essere fatalmente incompreso.

Un altro testo, tra i tanti scritti da Lodi, è Cipì, del 1972, diventato ormai un classico della letteratura per l’infanzia. Racconta le osservazioni quotidiane degli alunni e delle alunne, dai vetri delle finestre della loro aula, alla scoperta della vita nell’aspetto più drammatico della morte.

Divulgatore tra i grandi “maestri”

Molti furono gli incontri importanti che Lodi ebbe nella sua vita, spesa tra i banchi di scuola ma non solo, perché si dedicò, tra l’altro, alla divulgazione su testate di settore e alla promozione del sistema bibliotecario.

Quando conobbe don Lorenzo Milani, nella sua scuola di Barbiana, avviò la corrispondenza tra gli alunni di quella scuola e i suoi.

Anche l’amicizia con Gianni Rodari, nutrita da una profonda stima reciproca, portò a collaborazioni editoriali, l’uno scriveva dell’altro e viceversa. Rodari gli riconobbe di aver trasformato la didattica facendo diventare alunne e alunni i soggetti dell’esperienza educativa e non più oggetti di un insegnamento nozionistico fatto calare dall’alto.

Rodari e Lodi si confrontavano alla pari, entrambi portatori di un’attitudine creativa al servizio dell’educazione e di un rinnovato impegno civile.

La Casa delle arti e del gioco

Mario Lodi ricevette molti premi e riconoscimenti, tra cui la laurea honoris causa in Pedagogia, conferitagli dall’Università di Bologna, nel gennaio 1989.

Ricevette anche la nomina di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel 2003, e il Premio Unicef nel 2005.

L’intervista del 2010 a Mario Lodi realizzata dal Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’università di Bologna.

Con i proventi del premio internazionale Lego, del novembre 1989, aprì a Drizzona (Cremona) la Casa delle arti e del gioco, un centro studi e ricerche sui problemi dell’età evolutiva, che ancora oggi tiene vivo il messaggio pedagogico del suo fondatore e raccoglie la documentazione delle sue opere, organizza mostre didattiche, seminari di formazione.

Lodi continuò a occuparsene fino alla sua morte, nel 2014, togliendo alla “missione” docente tutta la pomposa retorica, assegnandole invece un senso più creativo e laico.

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