La Convenzione di Istanbul, firmata l’11 maggio 2011, è il trattato internazionale di più vasta portata creato per affrontare la violenza contro le donne e la violenza domestica e ne stabilisce gli standard minimi per i governi in Europa per la prevenzione, protezione e condanna.

La Convenzione ha anche previsto l’istituzione di un Gruppo indipendente di esperti indipendenti denominato GREVIO, che ha il compito di vigilare e valutare, attraverso rapporti periodici forniti dagli Stati, le misure adottate dalle parti contraenti ai fini della sua applicazione.

A quasi 12 anni dalla sua nascita e a 10 dalla ratifica da parte dell’Italia, è stato pubblicato il Secondo Rapporto delle organizzazioni di donne sull’attuazione della Convenzione. In sintesi, si può affermare che è ancora lontana la sua piena e corretta applicazione.

Secondo l’associazione D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, che nel nostro Paese coordina la realizzazione del Rapporto, sono molti i punti preoccupanti.

Le (non) azioni di governo

Innanzitutto va detto che prevenzione e lotta alla violenza sulle donne sono escluse da entrambe le strategie nazionali per la Parità di Genere 2021-2026 e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Campagna di D.I.Re, per la pubblicazione del Rapporto GREVIO 2023

Secondo il Rapporto, questa decisione limita i diritti delle donne, incluso il diritto a vivere una vita senza violenza, a politiche e azioni che non sono integrate nelle strategie e nei programmi economici, sociali e culturali.

Inoltre c’è una crescente tendenza a reinterpretare e ridefinire le politiche di uguaglianza di genere in materia di politiche per la famiglia e la maternità.

In altre parole, il principio di uguaglianza non è pienamente integrato nell’azione di governo come componente essenziale per l’attuazione di ogni tipo di politica.

L’aria che tira, insomma, non sembra andare nel senso della piena attuazione dei diritti delle donne come persone e cittadine libere.

Donne migranti esposte

Preoccupa particolarmente la situazione delle donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate che arrivano in Italia, anche alla luce delle politiche annunciate dal Governo in questi giorni. Nella maggior parte dei casi, queste donne hanno subito diverse forme di violenza sessuale e di genere, sia nei loro Paesi di origine che in quelli di transito.

In Italia rimangono esposte al rischio di violenza, poiché incontrano barriere nell’accesso ai servizi e in particolare al supporto per le situazioni di violenza. Il rischio di isolarsi socialmente e di non avere punti di riferimento facilmente raggiungibili è molto alto e contribuisce a perpetrare le stesse situazioni di violenza.

Violenza e disabilità

Va fatto un cenno anche allo spazio dedicato alla violenza nei confronti di donne portatrici di disabilità. L’approfondimento è stato curato dal Forum Italiano sulla Disabilità, che ha ribadito quanto la violenza perpetrata nei loro confronti sia particolarmente odiosa.

Foto di Ospan Ali, unsplash.com

Quasi sempre è una violenza invisibile e sommersa, verificandosi in contesti di cura e assistenza o comunque all’interno di ambienti relazionali.

La vittima, proprio a causa della sua disabilità, viene spesso considerata incapace di decidere autonomamente, inaffidabile, non idonea a costruire una propria vita affettiva e sessuale in autonomia.

C’è anche un problema di informazione e formazione, a cui si presta poca attenzione. Le campagne di sensibilizzazione e prevenzione infatti non si rivolgono mai a ragazze e donne con disabilità, in particolare quelle con disabilità intellettive e/o psicosociali.

Non ci sono informazioni fornite in forme facili da capire, o linguaggi adeguati per chi soffre di disabilità sensoriali, disabilità fisiche o intellettive o psicosociali.

Altre criticità emerse

Il Rapporto evidenzia altri punti deboli delle azioni in contrasto alla violenza sulle donne in Italia. Viene segnalata, per esempio, la sostanziale inattuazione del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, adottato il 17 novembre 2021.

Il ruolo dei centri antiviolenza e delle associazioni di donne e della società civile è stato alquanto ridotto dal Piano stesso, con il rischio di non adottare un approccio di genere, come invece richiesto dalla Convenzione di Istanbul. Inoltre emerge ancora una volta una scarsa e lenta erogazione dei fondi, nei confronti dei centri antiviolenza.

Non va meglio nemmeno dal punto di vista giudiziario, dato che in Italia persiste una diffusa inerzia da parte dell’autorità giudiziaria nell’adottare misure a protezione delle donne, dei loro figli e delle loro figlie.

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