“Open to Meraviglia” è il titolo della campagna social creata dal Ministero del Turismo ed Enit per “far conoscere le nostre bellezze, dalle grandi città ai piccoli borghi. Raccontare il nostro patrimonio sconfinato di arte, natura, gastronomia. Spalancare al mondo intero le porte alla meraviglia”. Il costo totale dell’operazione è di nove milioni di euro – non solo ovviamente per il claim e le immagini promozionali – ma il risultato, reso pubblico il 21 aprile, non è stato propriamente ben accolto.

Un’immagine patinata del reale

Sebbene se ne sia parlato relativamente poco nelle principali reti televisive, sui social è esploso il caso. Dopo pochissimo tempo infatti un utente ha scoperto che la Venere influencer al centro della campagna è stata editata semplicemente sovrapponendo il noto quadro di Botticelli a un’immagine presa da Shutterstock. Uno sforzo da scuole medie. Come se non bastasse anche il naso e le labbra sono state rimodellate per raggiungere un canone estetico preciso, per l’appunto da influencer. Guardando da vicino le immagini che compongono “Open to Meraviglia” è paradossale notare come non riescano a svolgere la loro funzione principale: comunicare.

Paragone creato da un utente su Reddit

Prendiamo ad esempio la Venere in Piazza San Marco intenta a scattarsi un selfie. Da un punto di vista visivo l’uso della post-produzione rende subito il soggetto fuori dallo sfondo, staccato come se si trattasse di un ritaglio di giornale. L’immagine perciò non si amalgama con la realtà, non entra nel contesto che vuole promuovere ma lo rende alieno, inverosimile, privo di attrattiva. I filtri, la color correction e via dicendo rendono Piazza San Marco (!) patinata, una cartolina che è solo il simulacro della realtà. Un’immagine sintetica, un’apparenza. Lo sguardo perciò è bidimensionale, puramente tecnologico che dell’umanità non sa che farsene. Sembra quindi che “Open to Meraviglia” sia una campagna social rivolta a una intelligenza artificiale, un dialogo con ChatGPT, un nuovo tipo di linguaggio figlio di un post-umanesimo senza storia e cultura. Non è un caso infatti che nelle immagini ci sia solo il paesaggio senza la presenza delle persone. La distorsione del reale è già avvenuta.

Uno sguardo esotico

Spesso quando esce un film di produzione straniera con scene ambientate in Italia, le lamentele su come il nostro Paese viene visto all’estero si sprecano: “Ci pensano ancora con la Vespa e i panni appesi fuori da casa”; “Ci vedono come un popolo di contadini che mangiano pasta e cantano canzoni” ecc. Ma che cosa trasmette “Open to Meraviglia” se non uno sguardo fuori dal tempo sull’Italia? La Venere che pedala per le strade di Roma non è forse un’idea che richiama una certa idealizzazione esotica?

Eppure sul sito nel Ministero del Turismo si legge: “Un rebranding che riflette nel logo lo stesso claim “Open to Meraviglia” e si spalanca in una finestra tricolore, che è promessa di sorprese per il visitatore ed inconfondibile accoglienza made in Italy”. L’inconfondibile accoglienza però sembra proprio rifarsi sui modelli stereotipati che tanto odiamo.

“Open to Meraviglia” percorre gli stessi errori dello spot di Gabriele Muccino per la Calabria di qualche anno fa.

Perfino il claim usato è figlio di una ricerca goffa per abbracciare l’internazionalità di un linguaggio ancorandosi però al passato. “Open to Meraviglia” è uno slogan ibrido – come lo è del resto la Venere della campagna: metà dipinto e metà pubblicità – e non significa nulla. La coerenza però dell’operazione alla base è rimasta: “Io, Venere. Immagine dell’Italia nel mondo oggi nei panni di una virtual influencer”. Queste parole prese da Italia.it racchiudono l’appiattimento dello sguardo che “nei panni di una virtual influencer” trova il suo spazio ideale. Ma la “Meraviglia” del reale dov’è?

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