Ho veduto nella guerra bene spesso venire nuove per le quali giudichi avere la impresa in mal luogo; in uno tratto venire altre che pare ti promettino la vittoria, e cosí per contrario; e questa variazione accadere spessisime volte; però uno capitano buono non facilmente si invilisce o esalta.

Era il 1528 quando l’illustre fiorentino – non ancora gemellato – Francesco Guicciardini se ne usciva con questa riflessione destinata a rimanere discretamente attuale. Che vuol dire? Che il buon condottiero non si fa influenzare dalle buone e dalle cattive notizie del momento. Conosce il suo piano e conosce le sue possibilità, e deve continuare per la sua strada.

Più facile a dirsi che a farsi, questo è certo, specie quando l’impresa sembra impossibile, l’esercito a disposizione è poco più che un’armata Brancaleone e quando le notizie arrivate da La Spezia sono così imprevedibilmente negative. Ma il consiglio del buon Francesco tale rimane.

Sì perché questa squadra, scarsa com’è, ha fatto quattordici punti in undici giornate, perché se lo Spezia non avesse fatto l’imponderabile contro l’Inter l’Hellas avrebbe accorciato a meno due in un turno tutt’altro che semplice, perché di giornate a disposizione ce ne sono ancora e finché la matematica non condanna sputare sangue è il minimo sindacale.

Che il cammino verso l’impresa della salvezza sarebbe stato lungo e complicato lo si sapeva in partenza. Questo è un momentaccio, ma non è nulla di nuovo per il Verona che deve tenere la testa bassa e non guardare la classifica. Ma mangiare l’erba di qualsiasi campo domenica dopo domenica, o lunedì, o mercoledì, o in qualsiasi giorno questo calcio assurdo decida di palesarsi.

Questo è il Verona, c’è poco da inventare

Se la classifica e i risultati non devono scalfire la volontà dei gialloblù, e il “capitano buono” non deve cambiare rotta solo per le notizie dai campi, è vero che quel che si è visto al Bentegodi contro il Monza non promette nulla di buono. I due condottieri in panchina hanno messo mano eccome ai fragili e semplici equilibri che avevano dato un senso alla squadra: polmoni sugli esterni, qualità sulla trequarti, geometrie e muscoli in mezzo, chili e centimetri davanti.

Sono bastati un paio di infortuni e qualche calo di forma per stravolgere le gerarchie e gli equilibri di quel nuovo Verona che sembrava essersi risvegliato. Senza Djuric e Ngonge, il posto in attacco è andato a Lasagna e Kallon, e che davanti la situazione fosse magra lo si sapeva. Col Monza anche Kevin ha dato forfait, ma l’impressione è che Gaich abbia bisogno di continuità e certezze per diventare un giocatore se non forte almeno utile, mentre Verdi ha dimostrato di essere la sostituzione naturale – seppure un po’ indolente – di Ngonge dietro la punta.

Purtroppo, come lo giri o lo rigiri, il Verona questo è. Lo sanno anche i pilastri gialli del Bentegodi che la colpa per le dieci sconfitte consecutive che hanno portato il Verona in fondo alla classifica è stata in minima parte degli allenatori che si sono avvicendati, e per la vasta maggioranza alla manifesta incompetenza manageriale e sportiva dimostrata in estate. Tant’è.

Quello che non può mancare a questo gruppo spuntato è la convinzione di potercela fare. Non solo il fuoco e l’entusiasmo, ma una consapevolezza profonda della difficoltà dell’impresa. 

Il momento della resilienza

E invece il Verona non può che ringraziare per il punticino un Monza che al Bentegodi ha peccato di superficialità: ha giocato al gatto col topo e si è accontentato, appena ha preso il gol ha accelerato e ha trovato il pareggio con una facilità avvilente. Poi ha rallentato e ha tenuto palla, facendo giustamente arrabbiare Palladino. Gli ultimi minuti sono stati un’agonia in cui il Verona non aveva nemmeno la forza di portare il pressing. Finito l’ossigeno, finita la fiamma. 

L’ardore va e viene, funziona per uno sprint, per l’esplosione della gara secca. La sfida dell’Hellas richiede molto di più: pazienza, concentrazione, resilienza e spietatezza. 

La prossima è a Marassi. Quella dopo di nuovo a Verona. Poco importa. Niente deve rimanere sul campo, soprattutto non i rimpianti. Questa stagione ne ha lasciati anche troppi.

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