A visione ultimata si esce dalla sala affaticati. Il peso fisico e morale che sopporta il protagonista è ingombrante anche per lo spettatore. Uno straordinario Brendan Fraser interpreta Charlie, un professore obeso la cui depressione lo porta ad ingozzarsi di cibo e a vivere in solitudine, la sua amica infermiera come unica compagnia.

Si tratta di un film con dei punti ben fatti e altri meno riusciti. L’interpretazione di Brendan è eccezionale, ipnotica, è lui che tiene incollati allo schermo, cosa non facile considerando che l’intera vicenda si svolge all’interno di quattro mura. Lo spettatore inerme soffre insieme a Charlie; il sudore, la fatica, le lacrime, la disperazione sono tanto tangibili da condividerne con lui il dolore. Ma non basta.

Degni di lode gli addetti al trucco e alle protesi, quest’ultime dotate di tubi nascosti refrigeranti per non far sudare troppo l’attore, talmente fatte bene da non dover ricorrere a ritocchi digitali. Molto brava anche Hong Chau nella figura di supporto medico e morale.

Le tematiche che emergono sono diverse: il rapporto conflittuale genitori-figli, il non sentirsi accettati dalla società, la cultura e l’amore come salvezza e ricerca dell’autenticità, l’opposizione tra fede salvifica e opprimente, vista in questo caso come un salvagente sgonfio a cui aggrapparsi in piena tempesta.

Unica nota dolente risulta essere la figlia interpretata da Sadie Sink, personaggio chiave nella storia: snervante e cattiva all’inverosimile, risultato dell’aver forzato troppo sullo stereotipo adolescente-ribelle-arrabbiata col mondo cadendo un po’ nel banale.

La profonda umanità di Charlie, tuttavia, ne mitiga questa estrema caricatura. Il finale lascia un po’ perplessi, forse l’ascensione sarebbe stata da evitare. Il senso che riesco a darle è che Charlie possa aver finalmente trovato la leggerezza tanto agognata solamente in un’altra dimensione e non più in quella terrena, oramai divenuta stretta e soffocante come la poltrona in cui era solito buttarsi stremato dalle fatiche del corpo e della vita.

Di per sé non vi è una grande storia, se non un grande messaggio di speranza sulla potenza dell’amore e umanità, in grado di salvare o per lo meno alleviare una sofferenza che non lascia scampo, una sofferenza che lacera nel profondo.

Si urla al capolavoro, io preferirei dire si tratti di un film sicuramente intenso e ben recitato, che non lascia indifferenti, ma che non mi ha emozionato quanto mi sarei aspettata.

Il limite più grande è che sin da subito si intuisce come andrà a finire, e la scelta di scandire i giorni della settimana ne sottolinea la prevedibilità; è come se il regista ci invitasse a commuoverci “per forza”.

Parlando di candidature, a mio avviso l’Oscar lo meriterebbe Austin Butler per la sua interpretazione in “Elvis”, ma se dovesse vincerlo Brendan sarebbe comunque meritato.

Sperando che sia per lui un nuovo inizio.

Scheda film

Titolo: The Whale

Regista: Darren Aronofsky

Genere: Drammatico

Paese e anno di produzione: Stati Uniti – 2021

Cast: Brendan Fraser, Sadie Sink, Hong Chau, Ty Simpkins, Samantha Morton

Voto: 7+/10

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