Il regista tedesco Marc Wiese ci porta in Ecuador, in mezzo a una natura maestosa e in uno dei Paesi con maggiori risorse minerarie al mondo. Al seguito del leader della resistenza Paul Jarrin Mosquera e del giornalista investigativo Fernando Villavicencio, ci mostra la lotta dei cittadini contro il saccheggio delle risorse naturali, ma anche l’inarrestabile processo di colonizzazione della Cina in questo Paese, tenuto in scacco da contratti al limite dell’usura, firmati per saldare i debiti.

La lotta della popolazione

La locandina del film

Con l’attivista Jarrin, Wise ci mostra tutto l’attaccamento alla terra, alle tradizioni, alla natura e la strenua difesa di questi valori mossa sempre da una forte spiritualità. La gente comune vive in simbiosi con le montagne e rivendica il diritto alla propria terra, devastata dalle continue aperture di miniere per l’estrazione dei minerali. Molto forte la scena d’apertura, che presenta Paul Jarrin mentre prega la Pachamama, su una montagna circondata da nuvole e da una natura suggestiva.

Poco dopo si assisterà a un viaggio in auto con altri attivisti, mentre cercano di raggiungere la miniera di Rio Blanco e vengono sorpassati dalla polizia, anche con mezzi blindati. Ci si rende presto conto che l’uso della forza per sedare le rivolte degli ecuadoriani è all’ordine del giorno.  Dapprima allontanati dalle proprie abitazioni per far posto agli scavi finalizzati ad aprire nuove miniere, coloro che protestano vengono  puntualmente fermati in ogni loro tentativo di ribellarsi a questa situazione.

I risultati del giornalismo d’inchiesta

Parallelamente, saltando dalle montagne alla caotica capitale Quito, si dipana il racconto del secondo protagonista del film: Fernando Villavicencio. Attraverso documenti governativi trapelati, a lui consegnati da fonti anonime, il giornalista riesce a ricostruire i percorsi degli enormi flussi di denaro che l’Ecuador ha ricevuto e i contratti che l’hanno impegnato nei confronti, soprattutto, della Cina. Per poter sbloccare il credito, il Paese ha sottoscritto centinaia di accordi per la fornitura e costruzione di infrastrutture, per progetti petroliferi e per l’estrazione mineraria.

La sua posizione diventa così scomoda al governo, che lo perseguita e lo costringe per un periodo a una vita da fuggiasco. La mole di documenti recuperati e catalogati e il lavoro certosino del tracciamento dei flussi di denaro, evidenzia anche una profonda corruzione del governo di Correa. Grazie anche a questa indagine, l’allora Presidente della Repubblica equadoregna verrà condannato. Ma il destino di questo paese così martoriato non ha visto risollevare le sue sorti: anche il successore di Correa, Lenin Moreno, ha proseguito nella politica di svendita del paese alla Cina, concedendo risorse primarie e controllo economico in cambio di linee di credito.

A destra il presidente (2007-2017) dell’Ecuador, Rafael Correa, con il Presidente della Repubblica Popolare cinese Xi Jinping

La difficoltà di cambiare

A nulla sono valsi i tentativi di rinegoziazione, dopo gli scandali per l’arresto di Correa. Le richieste di modificare le condizioni profondamente inique sono state tutte respinte dalla Cina e l’Ecuador si è trovato a dover rimborsare fino a dieci volte il valore del prestito inizialmente ottenuto. La frase di arresa all’evidenza di Villavicencio, è significativa: «Controllano il potere politico. Siamo stati colonizzati. Ancora.».

Nel film compare anche la madre di Jarrín, che ben descrive quanto quel figlio che “vuole salvare il mondo” abbia sacrificato per la difesa della comunità e della sua terra. Questi brevi minuti, uniti alle interviste dei guerriglieri di Azuay prima dell’attacco al campo minerario di Rio Blanco, sono quelli che meglio permettono di capire come le legittime proteste siano state criminalizzate e come il governo appoggi le compagnie cinesi anziché affiancare la propria gente, arrivando alla militarizzazione per sedare le rivolte pacifiste degli occupati. «Siamo pronti a pagare il prezzo per difendere ciò che è nostro: la nostra acqua, il futuro dei nostri figli. Siamo pronti a morire.» Ci si rende conto della drammaticità della situazione: lottare e mettere a repentaglio la propria vita per la difesa di un territorio che naturalmente gli appartiene.

Il dibattito post proiezione

Al temine della proiezione, la giornalista di Heraldo Fabiana Bussola, ha dialogato con il dottor Fabrizio Abrescia, presidente di Medici per la Pace. Dopo una breve presentazione della realtà in cui opera, attiva da vent’anni e sviluppatasi dal territorio locale ai contesti internazionali con più di 60 progetti, Abrescia ha raccontato la loro prima esperienza in Ecuador, che risale a circa otto anni fa. Ha descritto una realtà molto complessa, fatta di piccole comunità, nelle quali il neocolonialismo è imperante e contribuisce a peggiorare la condizione delle popolazioni. 

I progetti di Medici per la Pace

Un altro loro progetto, sempre in Ecuador, li ha visti impegnati sulle coste del Pacifico, nella provincia di Esmeraldas. È una provincia a maggioranza nera, rappresentata quasi esclusivamente da eredi di schiavi fuggiti o in occasione di naufragi o da zone limitrofe. La condizione di povertà, la delinquenza comune, quella legata alla droga e gli interessi dei colombiani che sono lì vicini al confine di questa zona ha fatto decretare sino allo scorso dicembre lo stato di emergenza.

Come agisce la Cina

La modalità della Cina è la medesima in ogni paese che “aiuta”. La prima volta in cui Medici per la Pace si è scontrata con la realtà cinese è stato in Camerun dove la ong ha sviluppato un progetto contro l’AIDS in collaborazione con la Regione Veneto. «Ho avuto contatto con un ospedale cinese e quello che mi ha sorpreso è che l’ospedale aveva integralmente equipaggio cinese», spiega ancora Abrescia. «Dalla donna delle pulizie, al virologo al chirurgo erano tutti e solo cinesi. Ed era proibito l’ingresso ai locali del Camerun che non entrassero come malati», continua spiegando la sistematicità degli interventi della Cina. E concluden affermanto che si tratta di “una società che si muove per enclave,  non si fonde con la realtà locale.»

Ultimo passaggio sulla correlazione tra l’accesso al cibo ed i temi del dominio nei luoghi in cui arrivano con i loro interventi. Quando si parla di queste comunità indigene occorre pensare a come si procurano il cibo, a come lo possono coltivare. Ecco che Medici per la pace ha portato loro “un’incubatrice per produrre pollame e un essicatoio per conservare la frutta e la verdura. Attraverso il cibo cercano quindi di rivitalizzare la loro cultura, perché è solo mantenendo le loro enormi conoscenze che possono sopravvivere. «È quando noi portiamo il nostro contesto a loro che li priviamo di tutto. Il senso del nostro progetto, ha anche una componente educativa oltre che sanitaria.»

La rassegna Mondovisioni – I documentari di Internazionale alla Fucina Culturale Machiavelli si concluderà lunedì prossimo 20 febbraio con la proiezione alle 21 del film “Rebellion”. Il programma e le info per i biglietti qui.

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