Dante è paziente. Forse non in vita, acceso di ira nelle sue invettive profetiche, nelle sue Epistole, ma pure per come ci viene raccontato da Boccaccio stesso, a prendersela con donne e bambini, se gli nominavano i guelfi. Ma Dante come “idea”, come “mito”, è decisamente paziente. Accoglie tutti. Accoglie su di sé di tutto e di più.

“Perché su Dante ogni cosa è stata detta, e Dante è diventato tutto e ogni cosa; per questo si potrebbe dire che il Poeta, interpretato e riletto ora da un filtro critico, ora da un altro, è uno, nessuno, centomila”, scrive lo studioso e scrittore Gianni Vacchelli.

Un Dante ricco di definizioni

Sappiamo già, dai tempi della morte del Sommo, di un Dante “teologo”. Non è mancato il Dante “templare”, “cataro”, eretico in generale, il Dante ortodosso, il Dante “baciapile e pedofilo” di Odifreddi, il Dante “uomo dei suoi tempi” di Barbero, il Dante misogino, il Dante donnaiolo, persino il Dante “sodomita” di Massimiliano Chiamenti. E così via.

A queste cose gli appassionati di Dante e gli studiosi sono abituati e periodicamente si è costretti a scendere in campo per rimettere le cose al loro posto (ma quale sia il posto giusto mica è chiaro).

L’immagine illustra l’ultimo articolo della rubrica Dante’s speech, con cui Heraldo ha preparato il cammino verso l’anno del settimo centenario dalla morte del poeta. Illustrazione di Roberto Filippini © Froh 2021

Le parole del ministro

Una settimana fa circa è scoppiata una piccola bomba che ha fatto sussultare il cuore dei dantomani tutti e degli intellettuali in generale. Ad un evento pubblico, la convention di Fratelli d’Italia a Milano, il ministro della Cultura del governo Meloni Gennaro Sangiuliano, intervistato dal condirettore di Libero, Pietro Senaldi, mentre rivendicava che la “destra ha cultura, deve solo affermarla”, per dare fondamento a quanto sosteneva, ha messo la ciliegina sulla torta: “So di dire una cosa molto forte, ma penso che Dante Alighieri sia stato il fondatore del pensiero conservatore italiano”.

Pochi giorni dopo, sul Corriere della sera, sempre il ministro, a sostegno di quanto detto, ha citato il volume “Croce e Gentile” edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, nel quale si legge, per mano di Enrico Ghidetti, di un Dante “epicentro ideologico della trattazione del principio di nazionalità”. Immediatamente si sono scatenati in rete i meme, gli sfottò e le risposte di autorevoli pensatori come Cacciari e Canfora.

La lettura politica del veltro

È proprio Canfora a ricordare, giustamente, che “durante il fascismo c’erano vari interpreti più o meno autorevoli della profezia del veltro, che vincerà il male e lo caccerà da ogni terra, Inferno, Canto 1, verso 105. Secondo loro Dante annunciava l’arrivo di Mussolini per salvare l’Italia”.

Il punto è che anche ai “piani alti”, nelle stanze della dantistica ufficiale, le cose non sono così chiare e definite.

Basti pensare al faccia faccia tra due dantisti di rango, padre e figlio, Edoardo e Federico Sanguineti, i quali in un agone pubblico, con le armi raffinate dell’ermeneutica e della filologia, hanno dibattuto il prima di un “Dante reazionario” e il secondo di un Dante “poeta del proletariato”.

Ma destra e sinistra sono concetti che con l’Italia del Trecento poco hanno a che vedere.

Illustrazione di Roberto Filippini, ©Froh 2020

Destra e sinistra, concetti lontani dal Trecento

Quando Dante denuncia i virus, “le faville”, che minacciano ogni singolo città, “superbia, invidia e avarizia”, è un Dante di destra o di sinistra? Quando invoca l’arrivo dell’imperatore perché torni a domare un’Italia imbizzarrita è di destra o di sinistra?

Quando denuncia, per bocca di San Pietro, un Vaticano cimitero, “cloaca”, vero regno di Satana, è di destra o di sinistra? Quando pone il Saladino, tra le anime grandi del Nobile Castello, è di destra o di sinistra? Quando si scaglia contro un sistema economico perverso e diabolico, sotto il dominio capitalistico della Lupa, è di destra o di sinistra?

Quando richiama con forza una riforma spirituale all’insegna della povertà di Francesco, è di destra o di sinistra? Quando profetizza che l’Etiope pagano godrà ben più, nell’al di là, rispetto a chi notte e giorno, pubblicamente, con il Vangelo (o il rosario) in mano continua a ripetere “Cristo! Cristo!”, è di destra o di sinistra?

Quando il suo avo, Cacciaguida, nobile, crociato, afferma che “Sempre la confusion de le persone/principio fu del mal de la cittade”, è di destra o di sinistra? Quando Dante, sempre in presenza del suo antenato, gode della propria nobiltà di sangue, è di destra o di sinistra? Quando Dante, “mane e sera” invoca il nome di Maria, è di destra o di sinistra?

Dante da Unsplash
Il volto del Dante Alighieri rappresentato dallo scultore Ugo Zannoni, posta in piazza dei Signori.

Dante è scomodo

Quando Dante scrive la Commedia in lingua volgare, e non in latino, tagliandosi di fatto ogni possibilità di essere accolto nel mondo aristocratico dell’intellighenzia del suo tempo, per scrivere un’opera accessibile al fabbro o all’asinaio, o alla donna di umili condizioni, è di destra o di sinistra? Quando Dante pone Beatrice, una donna, come guida politica e metafisica, “infallibile”, a correggere tutte le castronerie dette dagli uomini in ambito filosofico, teologico, astronomico, è di destra o di sinistra?

Il problema è che a chiunque di noi piace tirare Dante per il lucco e riuscire a fargli dire quello che più fa comodo al nostro pensiero, alle nostre convinzioni (e questa è tentazione superba anche di chi scrive), ma Dante giustamente sfugge. O meglio: Dante è scomodo.

Lo aveva capito il buon Boccaccio: “Chi più orribilmente grida di lui, quando con invenzione acerbissima morde le colpe di molti viventi, e quelle de’ preteriti (dei morti) gastiga?”.

La voce di Dante è un grido orribile! Dante grida, lancia un messaggio forte, un messaggio di risveglio, rinnovamento, trasformazione, un messaggio che va a sovvertire i poteri e i saperi.

Un messaggio che non teme di prendere a schiaffi papi e imperatori, un messaggio che non teme di denunciare le città d’Italia e d’Europa, un messaggio che va “gridando pace” e “va gridando amor”, parafrasando il Simon Boccanegra di Verdi.

Né laico, né conservatore

Ogni volta che qualcuno cerca di accomodare Dante a propria immagine e somiglianza, rende più fievole quel grido. Lo disinnesca. Dante vittima, profugo, perseguitato, condannato a morte, ultimo tra gli ultimi, pone Dio – e solo Dio – al centro di ogni ricchezza e di ogni felicità (alla faccia di Dante pensatore laico, come vorrebbero alcuni).

La sua idea di felicità, pubblica, collettiva, solidale, non è la nostra, individualistica, privata e quindi alla fine de-privata di vera felicità (alla faccia di Dante conservatore, come vorrebbero altri). E questo Dante, così solo, va fortemente liberato.

Dante e la speranza, illustrazione di Roberto Filippini, ©Froh 2020

Libertà per Dante!

Liberiamo Dante: liberiamolo dai salotti, liberiamolo dai sussurri e dalle mezze voci, liberiamolo dai filologi anemici, liberiamolo dai professori noiosi e annoiati, liberiamolo dai divulgatori pagliacci e mascherati, liberiamolo dalle letture pacificate e rassicuranti, liberiamo Dante dal fascino infernocentrico e liberiamolo da certi paradisi tiepidi e asessuati.

Liberiamo Dante da ogni contemporaneità, e rendiamolo attuale, capace di farci agire, di farci cambiare.

Liberiamo Dante da ogni etichetta, come dovrebbe essere ogni classico che si rispetti. Liberiamo Dante poeta e torniamo ad ascoltare il Dante profeta. Tutte le volte che Dante non grida, iniziate a dubitare. Quello non è più Dante. Quello è qualcosa che fa comodo. E noi non dobbiamo stare comodi con Dante. Lui non lo è stato per noi.

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