La crisi energetica, l’impennata dei costi di produzione e dei trasporti stanno mettendo a dura prova il comparto del vino italiano ed europeo: «Gli aumenti del costo dell’energia e delle materie prime stanno avendo un grande impatto sulle filiere produttive e commerciali del sistema vitivinicolo italiano e degli altri 12 Paesi europei che hanno tutti segnalato le loro pesanti difficoltà di fronte al complesso dei rincari di trasporti, carta, vetro, legno» spiega Matilde Poggi, produttrice veronese nella Doc del Bardolino, past president di Fivi, oggi presidente di Cevi, la Confédération Européenne des Vignerons Indépendants, realtà che rappresenta circa 12mila vignaioli in 13 Paesi.

Secondo l’indagine dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly compiuta ad ottobre di quest’anno sulle imprese del Belpaese, il surplus dei soli costi energetici (+425 milioni di euro) e, di conseguenza, delle materie prime secche (oltre 1 miliardo in più per vetro, carta, cartone, tappi, alluminio) valgono da soli un aumento dell’83% rispetto ai budget di inizio 2022. A questi si aggiungono altre voci in incremento (vino sfuso, costi commerciali, forza lavoro) che portano a un aumento dei costi totali di quest’anno del 28%.

L’incognita dei costi di produzione

Una situazione che rischia di incidere fortemente sull’economia delle aziende vitivinicole anche il prossimo anno, con un 2023 in cui si prevede anche una diminuzione dei consumi. Secondo lo studio, la vera doccia fredda sarà nel 2023: in uno scenario recessivo il margine operativo lordo andrà in caduta libera (4%), con un fatturato, a -16%, che in molti casi non riuscirà a coprire costi in decremento (-11%) ma comunque relativamente alti.

Matilde Poggi, presidente di Cevi, la Confédération Européenne des Vignerons Indépendants

«In Italia e in Europa stiamo vivendo un periodo davvero difficile, c’è molta incertezza anche per il futuro e quindi credo che avere più sicurezza a partire dai costi di produzione, che vanno a incidere su tutto, sia fondamentale per i produttori» rimarca Poggi, augurandosi che parte dei costi possano essere assorbiti dalla filiera, ma ribadendo la necessità di progetti di reale sostegno economico, delineati con una reale ricaduta sui viticoltori e sulle aziende agricole.

Un disastro competitivo per un settore che è il fiore all’occhiello del made in Italy sia in ottica export che di consumi interni, costretto a modificare i listini per non lavorare in perdita.

Allarme per le aziende di filiera

L’incremento dei listini stimati dall’Osservatorio nei primi 9 mesi di quest’anno è infatti del 6,6%, un dato positivo, ma insufficiente per coprire una variazione al rialzo dei prezzi che le imprese hanno richiesto nell’ordine dell’11%. Il gap equivalente è pari a 600 milioni di euro di costi non coperti da ricavi che il vino italiano è costretto a sostenere per rimanere sul mercato. A rimetterci più di tutte sono proprio le aziende di filiera, il cluster più numeroso – ma con minor forza contrattuale – composto perlopiù da piccole imprese che producono, vinificano e imbottigliano tutto, o quasi, in casa propria.

Alla vigilia della 11a edizione del Mercato dei vini dei vignaioli Indipendenti il 26, 27 e 28 novembre 2022 a Piacenza, che quest’anno sta registrando la partecipazione di oltre 850 vignaioli provenienti da tutte le regioni italiane (130 dal Veneto di cui 63 dalla provincia di Verona), la Federazione italiana vignaioli indipendenti ha lanciato un nuovo appello alla tutela dei piccoli produttori, con una lettera inviata dal presidente Lorenzo Cesconi al nuovo ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida per esporre le azioni considerate prioritarie dai vignaioli indipendenti.

Indipendenza energetica è ancora un miraggio

Tra i temi che Fivi ha posto all’attenzione urgente del governo: azioni per contrastare la crisi energetica, la semplificazione burocratica per esportazioni e adempimenti amministrativi e snellire la digitalizzazione.

Per arginare la crisi energetica secondo Fivi è necessario da un lato rimodulare le politiche di sostegno sia a livello nazionale che europeo per poter assicurare la continuità produttiva e dall’altro elaborare una strategia a lungo termine di indipendenza energetica basata soprattutto sullo sviluppo delle rinnovabili.

Degustatori a un evento di Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti.

L’autonomia energetica con fonti rinnovabili per il comparto pare però ancora piuttosto lontana. Nel nostro Paese, il bando da 1,5 miliardi di euro per il parco agrisolare, che prevedeva il finanziamento dell’installazione dei pannelli fotovoltaici nelle aziende agricole, si è concluso il 27 ottobre con una bassissima percentuale di adesione. Non si è andati oltre i 400 milioni (26%) a causa di limiti nella cumulabilità dei contributi e soprattutto a causa del vincolo dell’autoconsumo.

No al fotovoltaico che ruba terreno agricolo

«Ogni Paese europeo ha le sue politiche energetiche e sappiamo che, date le condizioni climatiche dell’Italia, si dovrebbe investire molto di più sulle rinnovabili come il fotovoltaico – sottolinea Poggi – Ovviamente noi siamo favorevoli allo sviluppo di questo settore nell’ambito di quella che è la copertura dei tetti già esistenti, ma certamente siamo contrari a quello che è stato fatto in alcune regioni dove è stata tolta superficie agricola per coprire il terreno con pannelli fotovoltaici».

Una rivisitazione della misura potrebbe essere un primo passo significativo per supportare il settore. «Dare la possibilità di sviluppare e di ingrandire gli impianti realizzati sui tetti garantendo un ampliamento potrebbe dare beneficio non solo alle aziende agricole ma proprio al settore della viticoltura aiutando a migliorare la competitività delle aziende riducendo i costi energetici» aggiunge Poggi.

One stop shop per migliorare la burocrazia

Altro tema caldo sul tavolo, quello della semplificazione burocratica per le esportazioni grazie all’adozione del sistema One stop shopovvero l’istituzione di uno sportello unico per l’assolvimento delle accise, già in vigore per il pagamento dell’Iva di alcune categorie di prodotti, per rafforzare la libera commercializzazione delle merci e permettere, sia ai piccoli produttori che ai consumatori europei, di trarre pieno vantaggio dalle opportunità del mercato unico.

Scoraggiati dalla complessità amministrativa e fiscale molti vignaioli rinunciano infatti a espandersi verso nuovi mercati: uno sportello unico permetterebbe loro di affacciarsi su nuove opportunità commerciali in un sicuro percorso di crescita.

«Visto che il mercato unico è nato per agevolare gli spostamenti e che per noi quello delle vendite private è un business sostanziale dove investiamo moltissimo, il meccanismo che abbiamo chiesto, quello dello One stop shop, ci permetterebbe di vendere direttamente assorbendo l’Iva e l’accisa del paese di destinazione alla partenza – commenta la presidente Cevi -. Ci sono dei Paesi, soprattutto del Nord, che stanno facendo opposizione perché temono di perdere le accise, ma non è così anzi».

«Sappiamo che non si tratta di un processo veloce perché ci vuole una volontà politica per poterlo portare a casa, ma si tratta di una richiesta che noi abbiamo fatto ormai da più di dieci anni alla Commissione europea» ribadisce Poggi.

Urge una digitalizzazione snella

Affine a questo tema quello della semplificazione burocratica e della digitalizzazione a tutti i livelli. Fivi intende porre l’accento sulla necessità di realizzare un vero e proprio sistema digitale, sfruttando le possibilità che la tecnologia oggi offre, al fine di rendere realmente meno onerosi i carichi burocratici delle aziende vitivinicole. I processi di digitalizzazione hanno portato paradossalmente a più oneri, anche a causa della scarsa o inesistente comunicazione tra i diversi enti della pubblica amministrazione, che impone quindi alle aziende di inviare più volte lo stesso dato a soggetti diversi.

«Ad oggi effettivamente è più semplice la documentazione che ci viene richiesta al di fuori del mercato unico rispetto a quanto ci viene richiesto all’interno del Paese. C’è comunque necessità di snellire tutti i passaggi dei documenti, soprattutto perché grazie alla digitalizzazione la pubblica amministrazione dovrebbe richiedere un passaggio in meno e non uno in più» conclude Poggi.

Il rischio dell’arretratezza gestionale

Il comparto vitivinicolo rischia comunque di rimanere ancora arretrato dal punto di vista digitale come è emerso dall’indagine svolta su centinaia di aziende vitivinicole italiane frutto della collaborazione tra la testata Wine Meridian e l’azienda di fornitura di software gestionali TeamSystem, presentata l’8 novembre a wine2wine, il business forum 2022 di Veronafiere nell’incontro “Le aziende del vino italiane e il digitale: analisi di un rapporto complesso”. Secondo lo studio, la contabilità aziendale è affidata ad un software gestionale dal 77% del campione e la gestione delle operazioni di magazzino viene fatta tramite gestionale solo dal 57%.

C’è ancora molta strada da fare sul monitoraggio delle attività in cantina che è demandato ad applicativi gestionali soltanto dal 34% del campione, mentre il 48% si affida ancora a strumenti di calcolo tradizionali come Excel e un 12% che utilizza sistemi manuali, seguito da un 6% che non monitora per nulla i flussi operativi.

Un gap da colmare in fretta per evitare di perdere quote di mercato a favore dei più aggiornati competitor europei e Paesi del nuovo mondo produttivo. L’aumento dell’e-commerce e la competizione sul mercato globale rendono infatti il saper disporre di processi produttivi e commerciali all’altezza della sfida, supportati dalla giusta tecnologia, una chiave strategica per il vino italiano per poter continuare a rimanere in salute.

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