La fantasia è una dote importante e il Ministro dell’istruzione Lucia Azzolina e il suo staff dimostrano di averne parecchia negli annunci fatti sin qui per far partire il prossimo anno scolastico 2020-2021. L’idea, per esempio, di far lezione nei boschi in Trentino permetterebbe di ipotizzare scenari anche divertenti, con scuse inedite come “Prof, un cinghiale mi ha rubato i compiti” o giustificazioni ipotetiche sul registro come “L’alunno risulta assente poiché rapito da un orso”. Intendiamoci, il problema degli spazi e del personale è di vecchia data, così come le risorse destinate al comparto in calo da anni e assorbite per buona parte dagli stipendi.

Oggi, per il ritorno a settembre, il Ministero dell’Istruzione nelle bozze linee guida del 23 giugno immagina lezioni (in caso di classi numerose) con studenti in presenza e altri online, a turni. Una soluzione che deriva dalla constatazione che – come le scuole veronesi spesso dimostrano – molti edifici scolastici sono case nobiliari riadattate o, comunque, strutture pensate per numeri lontani da quelli di molte classi pollaio e dalla considerazione che, a Verona, le classi hanno mediamente hanno 20-21 alunni. Raddoppiare gli spazi e raddoppiare il personale è, allo stato attuale, impossibile.

Tuttavia, questa soluzione ha delle lacune evidenti. Nessuno ne fa cenno, ma non si possono riprendere i dipendenti sul luogo di lavoro, a meno di accordo sindacale, come da sentenza della Cassazione 38882/18, pubblicata il 24 agosto, oltre il costo per l’installazione, la manutenzione delle telecamere e la necessità di connessioni stabili per le scuole, dato non ovunque scontato.

Inoltre, se per i più grandi può anche avere un senso, per i minori di 14 anni è impensabile credere che possano seguire un’intera giornata di lezioni allo schermo, così come settimane alterne per i minori significa lavoro a settimane alterne per i genitori, che devono sorvegliare e aiutare il bambino. Non dimentichiamo poi i ragazzi con disabilità, per i quali l’esclusione a settimane alterne è aggravata dal fatto che spesso, più che di didattica, hanno bisogno di inclusione e di rapportarsi coi coetanei per mantenere un contatto col mondo senza considerare che i docenti di sostegno dovrebbero altrimenti lavorare a domicilio. E non si parla, come mostra il grafico sulla situazione Veneta, di numeri irrilevanti anche a Verona:

Nelle bozze si permette agli istituti di rimodulare il consueto contesto delle classi in più modi: riconfigurare il gruppo classe in più gruppi di apprendimento; articolare gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso; organizzare una frequenza scolastica in turni differenziati, anche variando l’applicazione delle soluzioni in relazione alle fasce di età degli alunni e degli studenti nei diversi gradi scolastici; aggregare le discipline in aree e ambiti disciplinari, ove non già previsto; estendere il tempo scuola settimanale anche al sabato.

Rimane, ancora, il problema del divario economico e culturale: in questo senso si potrebbe pensare, per il versante economico, ad un bonus per le famiglie per l’acquisto di computer e per stipulare contratti per la connessione, ma non pare un tema sul tavolo; rimane invece quello culturale perché, a Verona, il 15,3% degli alunni (20446 unità, dati 2019) non ha cittadinanza italiana e la percentuale, stante la perdita costante di alunni per effetto della denatalità, è destinata a crescere.

Infine, il problema del contagio del virus non è solo di spazi negli edifici, ma di sistema: i trasporti, l’ingresso, la ricreazione, l’uscita, le attività fisiche… Serve chiaramente una soluzione concertata con moltissimi interlocutori a fronte di una burocrazia storicamente a compartimenti stagni. Ma la concertazione è uno dei tanti punti deboli dell’azione di questo Ministro. Di fatto, sono state ignorate le proposte del tavolo delle Regioni, che prevedevano 2 metri quadri per alunno, ricreazione in aula e, soprattutto, niente Didattica a Distanza né mascherine in classe; ignorate pure le richieste di non far coincidere il ritorno a scuola con le elezioni.

Un settembre, quindi, che partirà con molte incognite, legate sia al virus sia alla mancanza di concretezza rispetto alla portata dei problemi che il momento ci pone: quello, consueto, delle cattedre scoperte, certo, ma pure quello degli spazi per le classi pollaio. Si sarebbe potuto evitare la DAD cercando nuovi luoghi: come proponeva in un suo articolo Tomaso Montanari, storico dell’arte e autore di testi scolastici, sfruttando magari gli spazi dei musei. La verità però, è che oggi è già tardi. Contratti, accordi, personale, adeguamento alle norme di sicurezza e ai protocolli… tutte questioni che non si possono risolvere in due mesi, un tempo pure vacanzieri. Vedremo se le linee guida definitive garantiranno un salto di qualità. Ne dubitiamo, pure con rammarico.