Il 12 giugno ricorreva la Giornata mondiale contro il lavoro minorile che quest’anno compie 20 anni. Se il 2021 era stato designato come l’anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile, il tema del 2022 è stato invece la protezione sociale universale come strumento per porre fine al lavoro minorile nel mondo.

Dal 2002 ad oggi sono stati fatti dei progressi per ridurre lo sfruttamento minorile (si stima che tra il 2000 e il 2012 il lavoro minorile sia sceso del 30%), ma gli sforzi si sono fermati tra il 2016 e il 2020, e la situazione è regredita ulteriormente con la pandemia da Covid19.

La Giornata mondiale di quest’anno si è svolta a conclusione della quinta Conferenza mondiale sul lavoro minorile che si è tenuta lo scorso maggio a Durban, in Sudafrica, e ha riunito i governi, le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori degli Stati membri dell’OIL, nonché altri partner che sono attivi nella lotta al lavoro minorile.

La Conferenza ha adottato l’Appello all’azione di Durban sull’eliminazione del lavoro minorile che propone una serie di misure prioritarie, e richiama la necessità di intensificare gli sforzi per liberare il mondo dal lavoro minorile. Per dare seguito all’Appello, l’OIL chiede ai governi di aumentare gli investimenti nei sistemi e programmi di protezione sociale e di garantire l’accesso universale all’istruzione obbligatoria gratuita e di qualità.

Numeri in aumento

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L’Appello giunge in un momento critico dato che il lavoro minorile è tornato a crescere negli ultimi anni. Poco prima dell’inizio della pandemia erano 160 milioni di bambini e adolescenti nel mondo (uno su dieci del totale della popolazione mondiale dei minori) che lavoravano piuttosto che andare a scuola.

La crisi economica generata dalla pandemia, i conflitti e le altre catastrofi umanitarie espongono un numero sempre maggiore di bambini e adolescenti al rischio di sfruttamento lavorativo. Senza l’adozione di misure per mitigare l’impatto delle crisi e dei conflitti in corso, l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) stima che il lavoro minorile potrebbe aumentare di quasi 9 milioni entro la fine del 2022.

Questo é un paradosso se si pensa che oggi sono circa 207 milioni i giovani in età lavorativa e gli adulti che vorrebbero un lavoro ma non lo trovano.

Secondo un nuovo rapporto dell’OIL e del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), il progresso compiuto per garantire a tutti i bambini la protezione sociale è ancora insufficiente. Nel mondo, il 73,6 per cento ovvero circa 1,5 miliardi di bambini di età compresa tra 0 e 14 anni, non riceve alcun sussidio familiare o all’infanzia.

La protezione sociale e l’istruzione di qualità sono diritti umani universali e inalienabili. La loro effettività garantisce alle famiglie di rimanere immuni dal lavoro minorile, soprattutto in tempi di crisi multiple e interconnesse come quelle attuali.

Ancora oggi il lavoro povero di molti giovani in età lavorativa e di molti adulti è una delle maggiori cause che costringono le famiglie a mandare i loro bambini al lavoro piuttosto che a scuola.

“Sono molte le ragioni per investire nella protezione sociale universale, ma l’eliminazione del lavoro minorile è una delle più convincenti, considerato il suo impatto sui diritti e sul benessere dei bambini”, ha dichiarato Guy Ryder, Direttore Generale dell’OIL.

Anche l’Italia non è esente da sacche di sfruttamento del lavoro minorile

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Il lavoro minorile continua ad essere un fenomeno di portata globale e tutti i paesi ne sono colpiti, sia direttamente che attraverso i canali del commercio mondiale e delle filiere globali di fornitura.

Le rilevazioni di EUROSTAT evidenziano che in Italia nel 2020 un minore su quattro (il 24,9%) era a rischio di povertà ed esclusione sociale.

In generale però, il lavoro minorile in Italia rimane sottotraccia a causa della mancanza di rilevazioni statistiche e di dati amministrativi. Si pensi che nel 2019, l’Ispettorato del Lavoro ha accertato solo 243 casi di occupazione irregolare e illecita di minori di età inferiore ai 16 anni, un dato sceso a 127 l’anno successivo date le alterazioni dello scenario causate dalla pandemia Covid-19.

In Italia inoltre, il numero di ragazzi e ragazze NEET, ovvero coloro tra i 15 e 29 anni che sono fuori da percorsi di istruzione, formazione e lavoro, si attesta al di sopra dei 2 milioni, il 23,3%, tra le percentuali più alte in Europa.

Il rapporto dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, pubblicato agli inizi di questo mese, indica che la dispersione scolastica degli alunni delle scuole secondarie di primo grado (età 11–14 anni) riguarda principalmente i bambini e gli adolescenti e le regioni del Sud e le isole, con la Sicilia che registra il tasso più alto.

In queste regioni, il rapporto segnala un’apparente correlazione tra abbandono scolastico e lavoro minorile che riguarda in particolare i ragazzi di età compresa tra i 14 e i 15 anni.

Tutto ciò crea una catena di povertà ed esclusione sociale che può tramandarsi da una generazione all’altra. Per spezzare questa catena è necessaria un’azione sinergica attraverso l’attuazione di interventi sull’istruzione e formazione dei bambini e degli adolescenti, con azioni precoci di prevenzione dell’abbandono scolastico e del lavoro minorile.

Si ribadisce la necessità di adottare misure di accesso alla protezione sociale per tutti e l’implementazione di politiche di promozione del lavoro dignitoso per giovani e adulti, soprattutto per quelli più a rischio perché relegati in contesti di marginalità economica e sociale.

Solo così si potrà raggiungere il traguardo 8.7 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile che mira a porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025.

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Responsabilità di tutti, non solo della Politica

Molti dei bambini impiegati in lavoro minorile si occupano di produrre i vestiti che noi compriamo in grandi catene di fast fashion (marchi che producono capi di abbigliamento in modo rapido ed economico): dalla raccolta del cotone, alla filatura, alla cucitura dei capi di abbigliamento, i bambini sono spesso preferiti agli adulti perché obbedienti (e sottopagati).

Nella raccolta del cotone, ad esempio, le loro piccole mani sono preferibili a quelle degli adulti perché non danneggiano il raccolto: nei campi lavorano moltissime ore al giorno, respirano pesticidi e ricevono stipendi inferiori al minimo consentito per legge.

Delegare il problema solo alle istituzioni, quindi, significa non voler vedere il ruolo importantissimo di noi consumatori. Una maggior consapevolezza su ciò che compriamo e una scelta anche etica dei prodotti che utilizziamo, potrebbe avere un significativo impatto su un sistema economico e produttivo che non ha scrupolo di sfruttare bambini e adolescenti, pur di ottenere maggiori guadagni.

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