Sabato 12 giugno ricorre la giornata mondiale contro il lavoro minorile. Viene da chiedersi: ha senso oggi, parlare di lavoro minorile in Italia? Oppure è la solita notizia dell’ennesima giornata internazionale che riguarda qualcun altro?

La risposta purtroppo è semplice e altrettanto diretta: sì, ha molto senso parlare oggi di lavoro minorile in Italia, e le ragioni sono tre.

Pandemia, cultura e mancanza di dati

La pandemia di Covid19 ha reso ancora più vulnerabile chi già lo era in partenza, in tutti gli ambiti della vita: sanitario, sociale, relazionale ed economico. Chi soffriva di malattie e patologie sanitarie è più a rischio; chi aveva un lavoro precario o in un settore economico particolarmente colpito dalla crisi ora è in cassa integrazione, se non addirittura disoccupato.

La piaga del lavoro irregolare è aumentata come sono aumentate la rassegnazione, l’accettazione e l’omertà che la contornano. 

I bambini e ragazzi che vivevano già prima difficoltà scolastiche sono stati penalizzati dalla DAD e di conseguenza sono aumentati i numeri di abbandono scolastico anche nelle fasce più alte di scolarizzazione (ultimi anni di superiori e università). Quindi, anche per quanto riguarda il lavoro minorile, inteso come sfruttamento e impiego in lavori dannosi per lo sviluppo psicofisico del minore, la tendenza è la stessa.

Per la prima volta in venti anni infatti si è bloccata la riduzione a livello mondiale della lotta contro il lavoro minorile. Tra il 2000 e il 2016 erano stati affrancati da questo tipo di sfruttamento circa 100 milioni di minori in tutto il mondo, vale a dire il 38 % dei minori lavoratori (dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro). Nel 2020 si è invertita la tendenza. Save The Children calcola che nel mondo ci siano 152 milioni i bambini vittime di lavoro minorile. Metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Sono vittime di sfruttamento sessuale, lavorativo o accattonaggio forzato. Un fenomeno che rimane largamente sommerso, presente anche nei paesi più avanzati, come l’Italia.

Poche le denunce formali in Italia

La seconda ragione è che in Italia purtroppo, gli ultimi studi accurati sul tema risalgono al 2013. Non ci sono dati affidabili più recenti, perché nessun governo ha ancora incaricato l’Istat di indagare puntualmente su questo fenomeno (cosa richiesta più volte da svariate associazioni presenti nel nostro territorio).

Una giovane cameriera al lavoro

“Save The Children” ha stimato che in Italia ci siano 340mila minori al di sotto dei 16 anni (età in cui diventa legale detenere un rapporto lavorativo). Per lo più sono baby sitter, aiuto camerieri, baristi, giovani braccianti o manovali.

Purtroppo però sono solo stime poiché i numeri delle denunce formali sono drammaticamente ridotti: solo 243 nel 2019 (quelli del 2020 usciranno a breve) e riguardano servizi di alloggio e ristorazione, il settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, attività artistica, sportiva di intrattenimento e divertimento, l’agricoltura ed edilizia. Non esiste settore che non sia coinvolto nel lavoro minorile.

E non esiste regione italiana in cui non ci sia questa problematica. Il che significa che oggi, in Italia, il problema dello sfruttamento minorile esiste, è diffuso, coinvolge sia minori italiani (73%) che stranieri, è nascosto e quindi difficilmente sradicabile.

L’influenza dell’ambiente familiare

La terza questione è che il problema del lavoro minorile dipende anche da un altro fattore, quello culturale. In Italia sono diffusissime le piccole e piccolissime imprese a gestione familiare. Accade quindi che in contesti caratterizzati da un basso livello di studio genitoriale, dalla discontinua frequenza scolastica del minore e da difficoltà economiche, sia la stessa famiglia a spingere il minore all’ingresso precoce nel mondo del lavoro, magari da uno zio, un amico, un qualsiasi parente. Spesso con l’illusione che così facendo il minore possa stare lontano da forme di impiego illegali, se non criminali. Di fatto invece spingendolo proprio verso quella direzione.

La scarsa offerta formativa ed educativa, alternativa a questo scenari, non fa che peggiorare il quadro perché dà al ragazzo la conferma che non ci sia nessun’altra possibilità per lui. A livello culturale inoltre, è difficile per alcuni adulti individuare la differenza tra una valida esperienza formativa nel mondo del lavoro per il minore, e uno sfruttamento vero e proprio con orari di lavoro e incarichi troppo pesanti per il ragazzo stesso.

Secondo Anna Teselli, dell’Istituto ricerche economiche sociali Cgil, che da anni segue questa problematica, i minori attualmente impiegati illegalmente nel mondo del lavoro andranno ad aumentare il numero di futuri neet, giovani disillusi che non cercano né impiego, né formazione, perché hanno già vissuto sulla loro pelle esperienze di sfruttamento, sentendosi individui senza diritti e senza via d’uscita.

Ecco perché è importante parlare di lavoro minorile in Italia oggi. Ed ecco perché proprio il 2021 è stato proclamato Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

I Governi sono, ora più che mai, sollecitati ad adottare le misure necessarie per promuovere il lavoro dignitoso e porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme, entro il 2025.

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