Jessica Cugini è balzata agli onori delle cronache ai tempi dell’attivismo per “Il Veneto che vogliamo”, l’allora neonata lista civica a sostegno del candidato Arturo Lorenzoni, per le scorse regionali in Veneto (2020). Si candidò, corse, non fu eletta, ma prosegui la corsa, fino a impegnarsi di nuovo, stavolta nelle fila di “Verona In Comune”, la lista civica fondata da Michele Bertucco, confluita poi nella larga coalizione a sostegno del candidato Damiano Tommasi.

Ha coordinato il tavolo del sociale e delle disuguaglianze per questa lista, nel lavoro preparatorio alla campagna elettorale. Jessica è una persona brillante, colta, impegnata – nel senso proprio politico, perché ha un background molto solido, provenendo dalla sarda Sassari. Sassari è città natia di Berlinguer e Jessica, come lei stessa si definisce, è figlia d’arte, in quanto suo padre è stato anche consigliere regionale oltre che segretario del locale PCI e mille altre cose nell’impegno politico e civico, nell’isola.

Vive a Verona dal 2005. Si definisce la “santa madre”, nei gustosi post sul suo profilo Facebook in cui descrive piccoli/grandi aneddoti che riguardano la sua vita di genitore alle prese con tre pargoli e quindi con tre scuole, tre differenti attività extra scuole, tre persone da crescere e formare, senza il paracadute dei nonni, in una città in cui, se sei “foresto”, fai molta fatica ad integrarti. Professione giornalista, con la mission di raccontare le storie che non avrebbero avuto voce, ora scrive per Nigrizia, il mensile della fondazione omonima.

Cuginiche cosa le manca della sua Sassari?

Jessica Cugini

«La qualità della vita, che non è legata al lavoro ma alle relazioni: io attacco spesso bottone, giù mi è più facile. Sentirsi a casa, qui mi è più difficile.»

Che cosa porterebbe, invece, di Verona a Sassari?

«Se fosse per me a Sassari porterei la persona che sono diventata grazie a Verona, città che mi ha dato la possibilità di esprimere me stessa.»

Ipotesi: Jessica Cugini viene eletta, il sindaco la sceglie come assessore per il sociale. Cosa farebbe fra le prime cose?

«Intanto ringrazierei, per avere l’occasione di realizzare le cose che da tempo sogno per questa città, perché collaboro con tante realtà che hanno a che fare con il sociale e per tutta la rete di relazioni costruita in questi anni: mi sentirei accompagnata, perché la politica è qualcosa che si fa insieme. Farei rete, metterei insieme le varie realtà sebbene le innegabili difficoltà. Ci sono ad esempio associazioni che nemmeno si parlano tra loro. Se invece un’assessora si mettesse capofila di un percorso probabilmente le cose cambierebbero. Cosa non farei? Non farei vetrina. Ho visto tanta vetrina, in questi anni, ho visto consulte che non sono state ascoltate, ho visto associazioni che nascevano più per dire che si facevano cose che per farle veramente, ho visto tanta delega: io credo che il Comune debba riprendere in mano la sua funzione pubblica nel sociale, il che non vuol dire non collaborare con il Terzo Settore ma collaborare significa non demandare, non far sì che tutto sia privato e che tutto sia sulle spalle del Terzo Settore. Noi dobbiamo investire e investire tanto, in educatori, in assistenti sociali, in ascolto e in presenza, accompagnare ma, soprattutto, metterci i soldi. Mi piacerebbe mettere in rete il sociale con la scuola, perché la scuola è l’imprinting della cittadinanza sociale che può avere questa società. Cercherei di creare anche una rete tra gli assessorati, perché sociale non è solo l’assessorato dedicato. Pensiamo alle Pari Opportunità, che noi decliniamo sempre “al femminile” e invece le pari  opportunità  sono di tutte le categorie non alla pari: quindi i disabili, le donne, la comunità lgbtq+, la popolazione straniera e migrante… e così è il sociale!»

Sulla base della sua esperienza come donna e mamma e che quindi ha figli a scuola, e come giornalista (donna lavoratrice), che cosa è migliorabile in questa città e in quanto possibile amministratrice di questa città, quale sarebbe la sua ricetta per migliorare la situazione?

«Sono appena tornata a casa dopo aver portato i figli a scuola e ora devo scappare in redazione dove mi aspetta un ragazzo che fa l’alternanza scuola/lavoro. La vita delle donne è una vita di equilibrismi, di incastri, io sono senza il paracadute dei nonni e spesso, fortunatamente, in questo gioco di incastri entrano altre mamme, nella mia stessa situazione. Però questa non è una città a misura di famiglia né di donne che lavorano. Tutto quello che puoi fare extra scuola è a pagamento.

Credo che Verona necessiti di avere le scuole aperte al pomeriggio, come già si fa in altre città, dove l’offerta sia alla portata di tutti, senza discriminazioni. Credo che Verona necessiti di valorizzare le piazze e i parchi e di creare luoghi di ritrovo in tutti i quartieri. Manca una rete anche tra le persone. Ho ancora gli incubi al pensiero di quando da sola dovevo riuscire ad incastrare tutto. Mi ricordo la fatica sia economica sia fisica di arrivare a tutto.

E poi ti dicono di fare figli: con quale aiuto? Che aiuto c’è per le donne che lavorano, la scuola che chiude alle 16 e tu hai tre figli da ritirare magari in tre scuole diverse, e con un solo quarto d’ora a disposizione? Una città a misura di tutto questo è una città che risponde ai bisogni delle donne che lavorano e delle famiglie che non ce la fanno. Ecco, se potessi io farei questo percorso partendo dalla fatica delle persone e dall’esperienza, mettendo insieme anche il lavoro delle associazioni. Bisogna investire nei servizi. Che cosa c’è, per esempio, dopo la terza media? Si parla tanto di baby gang, ma che cosa c’è a Verona per questi ragazzi? In un’età, quella adolescenziale che è difficilissima! Servono politiche vere e serie sul territorio.»

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