Con la discesa in campo di Damiano Tommasi, 47 anni, alle prossime elezioni comunali di Verona il centrosinistra – Pd, Traguardi, In Comune per Verona, Azione, Più Europa, Partito socialista, Europa Verde, Volt, Demos – è convinto di avere la possibilità concreta di tornare ad amministrare la città dopo 15 anni.

Tommasi è molto conosciuto in città per i suoi trascorsi da calciatore di Hellas Verona, Roma e della Nazionale e per il suo lungo passato, dieci anni, da presidente dell’Associazione italiana calciatori. Ma anche come socio fondatore e dirigente scolastico della Don Milani Bilingual School, centro infanzia e scuola primaria, di Settimo di Pescantina che accoglie più di 300 bambini e ragazzi.

Tommasi, il suo nome a candidato sindaco di Verona per il centrosinistra girava da un po’ di tempo. Immagino sia stata una scelta che implicava tante riflessioni…

«È una scelta che andava ponderata che prevedeva per certi versi anche un cambio di vita e quindi analizzata da più sfaccettature. Amministrare una città è una questione seria. Prima di accettare ho voluto capire cosa ci si aspettava da me e cosa posso fare io per Verona. Servono energie nuove e penso che tutti noi dobbiamo metterci in gioco. Per questo ho deciso di impegnarmi in prima persona. Attorno a me sto scoprendo ogni giorno tanta voglia di partecipazione di persone che desiderano tornare a mettersi a disposizione per la città».

Non teme che Verona sia troppo a destra per poter sperare in una vittoria?

«Non essendo un politico di professione e non avendo mai preso una tessera di partito non mi affascina tanto il tema destra o sinistra. Io sto solo dalla parte di Verona. C’è chi risponde a un partito, a me interessa rispondere solo alla città. Credo che da troppo tempo Verona sia più concentrata sulle logiche di destra e sinistra, rispetto al valutare seriamente chi presenti il progetto migliore per la città. Questo è un limite. Spero che la mia candidatura sia un cambio di prospettiva e di proposta politica e che quindi si guardi solo al bene di Verona».

La pandemia ha posto un numero elevato di famiglie sulla soglia della povertà. Cosa dovrebbe fare un’amministrazione comunale per loro?

«Una delle cose che la pandemia ha fatto riscoprire è l’importanza della comunità. Che non si è da soli, ma che esiste una rete dove poter contemporaneamente cercare e offrire risorse per ricevere ed essere di supporto agli altri. La politica deve avere più capacità di ascolto, per capire e dare soluzioni. Questo ascolto attivo è difficile, ma è l’unica soluzione. Su questo tema sarà importante attivare, o riattivare in alcuni casi, per esempio, le funzioni delle circoscrizioni e dei servizi di prossimità».

Tra le cinque linee guida da lei stilate sulla Verona che verrà, ve ne è una sul benessere scolastico. Cosa intende fare?

«Il Comune di Verona ha la gestione delle scuole da 0 a 6 anni. Questa si può fare in tanti modi e ci sono tante buone pratiche in giro per l’Italia a cui guardare. Non bisogna aver paura a copiare le buone pratiche, i modelli che funzionano. Benessere scolastico vuol dire migliorare l’offerta formativa, ma anche quella dell’alimentazione e così via. La fascia scolastica che riguarda la prima infanzia a mio avviso necessita di una programmazione che deve prevedere anche il sostegno alle coppie e alle famiglie con ascolto e supporto in un ambito spesso dimenticato e con effetti diretti sulla crescita dei nostri bambini».

Da anni si discute del traforo delle Torricelle. Il suo punto di vista?

«Parlare del traforo da solo non ha senso ed è riduttivo. Dobbiamo prima capire le criticità della mobilità cittadina attuale, quali sono le possibili soluzioni e valutarle con rigorosa competenza. A oggi non ci sono dati aggiornati, anche in rapporto alle conseguenze della pandemia, visto che molte aziende hanno cambiato il loro modo di operare. Va fatto un ragionamento anche in merito alla mobilità scolastica. Ma tutto deve essere discusso all’interno di una riflessione più ampia della mobilità a Verona. Rimane prioritario ragionare su dei dati certi e non sui singoli progetti, alcuni ancora in fase progettuale altri invece in fase esecutiva».

Verona ha le potenzialità per diventare la città della musica e dell’arte. Con lei ci sarà spazio anche per altre forme artistiche, spazi di aggregazione liberi dove i giovani possono suonare o altro ancora?

«Il tema degli spazi per i giovani è molto sentito ed è stato amplificato dalla pandemia. Da parte loro c’è la voglia di riprendersi alcuni luoghi della città che purtroppo ora sono riservati alla cronaca nera o ad attività commerciali. Una comunità ha bisogno degli spazi per esprimersi, creare una rete e per sentirsi partecipe delle azioni della città. Una cosa che prevediamo sarà l’ascolto di questo tipo di esigenze. Quando uno si sente a casa nella propria città, ha cura e rispetto degli spazi e del proprio quartiere. Il nostro compito è quello di stimolare l’impegno civile di ciascuno. Far tornare la voglia di partecipare, di essere comunità».

Dal punto di vista culturale ci sarà anche lo sviluppo di altre iniziative?

Damiano Tommasi

«Una delle cose che avverto è che Verona ha poca autostima in alcuni ambiti e non si rende conto che ha le potenzialità per essere un punto di riferimento in Italia e non solo. Il nostro anfiteatro dà una dimensione alla nostra città che spesso è stata sottovalutata. Su di esso possiamo investire per occasioni di più ampio respiro. Verona deve avere più orgoglio e autostima, invece la percezione è che Verona oggi non abbia la posizione e l’immagine pubblica che merita».

Quali progetti ha in mente per rilanciare i quartieri, alcuni dei quali sono solo dei dormitori?

«Una cosa molto discussa anche nella coalizione che mi sostiene è che bisogna rivedere il ruolo delle circoscrizioni che devono essere attive, luogo di aggregazione e di riconoscimento dell’attività dell’amministrazione sul territorio. Tutto questo aiuterebbe ad avere occhi e orecchi più vicini ai bisogni della gente. Cura dei marciapiedi, strade, lampioni, piazze, spazi aggregativi per favorire l’essere comunità, volontariato di assistenza, tutor per la terza età per colmare il divario tecnologico degli anziani. I quartieri devono avere un occhio d’attenzione nei confronti dei giovani, una cura degli spazi con parchi, strutture sportive. Essere una comunità vuol dire attivarsi in questo senso».

Parlando invece di verde pubblico, cosa cambierà con lei sindaco?

«Uno dei punti della nostra campagna sarà appunto il benessere ambientale con l’obiettivo di essere sempre più una città green e a misura di famiglia. Parchi cittadini e verde pubblico dovranno essere curati e resi fruibili. Lo spazio del Central park è una progettualità che ci dovrà essere e sarà sicuramente un luogo dove Verona si misurerà su quanto sarà capace di valorizzare quegli spazi. Il fatto di poter uscire di casa ed essere cittadino della città, non perché l’attraversi ma perché la senti tua, è un valore che forse in generale non lo si apprezza tanto, però fa parte della qualità della vita. Una città di dimensione europea si distingue per la qualità della vita e non tanto o non solo per i musei o per le opere infrastrutturali storiche e artistiche. Ci sono città europee che hanno molta meno storia e monumenti di Verona, ma sono nella cosiddetta dimensione europea per la qualità della vita, dei trasporti, dell’aria».

È tra le priorità un nuovo stadio?

«Come ho detto prima per il traforo anche per lo stadio o altre infrastrutture, i cui progetti passano da una amministrazione all’altra, vanno valutati con responsabilità, senza ideologie. Lo stadio attualmente ha delle criticità perché non è a norma e in alcuni ambiti va avanti per deroghe. Non ha la licenza Uefa. Essendo di proprietà del Comune è una struttura a cui sicuramente bisogna mettere mano, anche perché in alcuni casi è una criticità anche per il quartiere che lo ospita. È uno dei tanti temi: non sta crollando, ma non si può far finta di nulla. Bisogna mettergli mano senza ideologie, e senza decontestualizzare il ragionamento dalla vita sociale della città».

Si chiacchiera che il suo vicesindaco sarà una donna. È una questione di quote rosa?

«Siamo andati avanti, c’è appena stata la mia candidatura e siamo già alla distribuzione delle poltrone (sorride, ndr). La presenza di genere è una delle conquiste culturali che ha dato effetti benefici sulla gestione della cosa pubblica, anche se gli attuali cinque candidati sindaci di Verona sono tutti maschi. Un po’ di strada è ancora da fare!».

Quindi sarà una donna la sua vice?

«Questo non lo so, come dicevo non mi sono ancora posto il tema».

La Lega ha preteso da Sboarina per l’appoggio la metà dei posti di giunta. Lei come si muoverà nei confronti dei partiti e gruppi che la sostengono?

«Quando si costruisce una squadra lo si fa per ruoli e competenze, non certo per maglia. Questo purtroppo è accaduto fino ad oggi ed è uno dei limiti che ha avuto Verona: garantire il colore della maglia prima delle competenze. Noi siamo convinti che il cambio vero per Verona è quello di ridare dignità e competenze nella cosa pubblica. Occorre pretendere che siano i migliori a mettersi a disposizione e che abbiano come focus non tanto i riferimenti politici, ma la città e i cittadini».

Un pregio e un difetto di Tommasi?

«Un pregio è che dà sempre tutto quello che può. Un difetto è che spesso pensa che basti solo quello».

Un augurio per Verona?

«Io sarò contento delle elezioni se a Verona ci sarà il record di cittadini che andranno a votare. Una città che partecipa al voto è una città che è attenta a chi amministra e a come amministra».

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