Mentre persino l’Inghilterra apre la possibilità di restituire – in parte – i celeberrimi marmi del Partenone, uno straordinario manufatto rinvenuto a Oppeano alla fine dell’Ottocento da tempo rimane decontestualizzato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze. O forse tra poco non più, perché qualcosa pare si stia muovendo: ne parliamo con Luigi Pellini, autore di una delle pochissime pubblicazioni in merito, ovvero Il cappello dei magiMisteri e segreti dell’Elmo di Oppeano (uscito nel 2002).

Pellini, innanzitutto di che si tratta?

Luigi Pellini, autore de Il cappello dei magiMisteri e segreti dell’Elmo di Oppeano.

«Si tratta di un reperto più unico che raro: un elmo di un sacerdote, non di un guerriero. Leggo un passo dal mio libro, per farci un’idea: “È un oggetto raffinatissimo frutto della tecnica d’incisione a bulino celtica, le raffigurazioni sono proprie del mondo Etrusco, legato ad un alto sacerdote paleoveneto. Tre civiltà che attraverso questo copricapo riescono a fondere il loro sapere. L’elmo di Oppeano (V sec. a.C.) è di forma conica con un pomello schiacciato al vertice. Questo particolare è fondamentale per comprenderne la sua funzione sacerdotale. Il materiale usato è una robusta lamiera di bronzo tenuta assieme da rivetti, mentre il pomello è una fusione piena, a differenza di altri simili, tipo l’elmo di Cremona.

L’oggetto è istoriato con cinque cavalli più un animale strano assomigliante ad una sfinge o meglio ad un centauro alato, forse un cavallo pegaseo, figura comune nel mondo arcaico greco come presso tutte le religioni di origine orientale. […] Un copricapo simile è riscontrabile su statuine di sacerdotesse o di persone oranti, su maghi e fate, ma anche sulle donne che praticavano la stregoneria nel mondo romano e su imperatori-sacerdoti, con le stesse funzioni di un’antenna capace di captare, o di inviare chissà quali energie o assorbire influssi cosmici, sicuramente segno tangibile dell’alto grado di elevazione spirituale di chi lo indossava.”

Si tratta dunque di un reperto di una società complessa e avanzata, anche perché bisogna tener conto che Oppeano era uno snodo importante, un avamposto del popolo dei Veneti rispetto ai Reti e ai Galli e alla vicina Mantova, ovvero agli Etruschi.»

Non certo un oggetto banale né comune. Ma da Oppeano come è finito a Firenze?

«Trovato appunto nei campi di Oppeano intorno alla fine del 1800, precisamente nel fondo Carlotti nel 1878 tra Montara e Isolo, come spesso accadeva ai reperti archeologici questo prende vie strane. Viene infatti venduto al direttore del Regio Museo Archeologico di Firenze e lì è rimasto. Erano tempi in cui non esistevano ancora le soprintendenze (istituite solo nel 1907, nda) e così non era possibile trattenere le ricchezze scoperte a disposizione del territorio.»

Quali sono le novità? Ci sono speranze di rivederlo nelle sue terre?

«A quanto si dice, c’è la disponibilità del museo fiorentino. Quello che sembra mancare, invece, è l’attenzione della politica locale che sulla questione specifica, ma onestamente anche sulla dimensione culturale complessiva della città ha mostrato davvero un interesse piuttosto limitato. Chissà che con le elezioni alle porte, oltre che a pulire i marciapiedi…»

L’Elmo di Oppeano, oggi al Museo Archeologico di Firenze.

Se davvero si riuscisse a trovare un accordo, la sede naturale dovrebbe essere il nuovo Museo archeologico nazionale di Verona in Stradone San Tomaso…

«Sì, ma da abitante della Bassa vedo questa scelta come il male minore, per ridare unità a un pregevolissimo insieme di reperti. Diventerebbe un museo formidabile: quanti al mondo possono vantare un manufatto come lo Sciamano della Grotta di Fumane? Un oggetto che dimostra non solo che l’uomo possedeva un pensiero simbolico 35000 anni fa, ma pure che svolgeva riti religiosi.»

Perché male minore?

«Dare alla città di Verona una struttura museale archeologica pregevole, attrattiva per il turismo e valido punto di scambio per gli studiosi e gli appassionati è certo un bene. Non ho – e non solo io – però gradito il modo: gran parte della collezione del Museo archeologico nazionale di Verona è stata messa insieme prelevando i pezzi più pregiati del Museo Archeologico di Gazzo Veronese, situato all’interno di Villa Parolin Poggiani e del Centro Ambientale Archeologico – Pianura di Legnago.

Il tutto, senza alcun confronto e accordo con le comunità locali, che dal giorno alla notte hanno scoperto di non disporre più delle tracce della storia del loro territorio. La cultura è dialogo ma anche rispetto delle identità, persino di quelle locali. Detto questo, se davvero arrivasse l’Elmo di Oppeano, un pezzo di storia veronese avrebbe finalmente un corpus di reperti di prim’ordine, finalmente degno della città.»

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