La pandemia, almeno formalmente, ce la siamo lasciata alle spalle il 31 marzo con lo scadere dello stato di emergenza. La realtà invece, è ben più confusa: ci sono picchi di contagi che vanno e vengono; ci sono nuove varianti a cui in pochi ormai prestano attenzione; ci sono notizie di nuovi lockdown che arrivano da Shangai e che interessano almeno 25 milioni di persone.

Per non parlare degli strascichi e delle conseguenze di questi due anni, che ci portiamo addosso con tutto il loro carico: crisi economica, aumento del gap di genere in ambito lavorativo, aumento della violenza maschile sulle donne, aumento di situazioni di disagio giovanile.

Non è affatto un quadro roseo e non siamo per niente alla fine di un tunnel. E la guerra, con le sue insensatezze e crudeltà, ce lo sta cupamente rimarcando.

È per questo che progetti come quello di Mater Femina, acquistano ancora più valore. Sembrano piccole scintille che scoccano, per fare un po’ di luce in questo periodo buio e francamente faticoso. Per guardare al futuro recuperando relazioni di prossimità, a partire dalle donne.

Eugenia Fortuni

Abbiamo raggiunto la fondatrice dell’associazione, Eugenia Fortuni, per capire meglio da dov’è nata l’idea del progetto “Campo dei Miracoli”, che avrà sede a Trebaseleghe (Padova), e quali sono i suoi obiettivi.

Dottoressa Fortuni, ci può presentare il percorso che l’ha portata a fondare un’associazione a favore delle donne?

«Mi definisco una sociologa prestata all’educazione. Ho sempre lavorato nel campo sociale ed educativo, inizialmente occupandomi di progettazione e programmazione. Quando ho avuto mio figlio ho vissuto una sorte di trasformazione personale, che mi ha portata a volere un lavoro più a diretto contatto con le madri e le donne. Nel 2014 ho fondato Mater Femina e ho lavorato come doula.»

Che cosè una doula?

«È una professione emergente in Italia, ma di lunga tradizione dei paesi anglosassoni. La doula si occupa del sostegno emotivo e del benessere della donna e della famiglia dalla gravidanza fino al primo anno di vita del bambino. È una donna che – forte della sua esperienza personale e della sua formazione – offre un sostegno su misura, intimo e confidenziale, nel pieno rispetto delle scelte delle persone che assiste. Offre ascolto, informazioni, orientamento e accudimento pratico.»

Poi com’è proseguita la sua attività?

«Via via ho conosciuto altre professioniste e altre donne che provavano lo stesso desiderio di mettersi in gioco in questo settore. Negli anni sono nati progetti di comunicazione empatica, laboratori educativi, educazione in natura.

Lavoriamo molto con i genitori, con gli adulti del nucleo famigliare. Crediamo che prima di educare i bambini, sia necessario educarci come adulti. Altrimenti non siamo educatori credibili. Pretendiamo dai figli senza essere disposti a cambiare noi stessi.

Al centro di tutto comunque rimane la figura della donna, che quando diventa anche madre sente su di sé, in modo maggiore, tutta la difficoltà di una società che non aiuta il genere femminile.

Quando si diventa madre, si entra in una sorte di dimensione di non visibilità. Non esisti più come persona, non vieni riconosciuta. Mentre, al contrario, si sta portando avanti un compito essenziale per l’intera società: l’accudimento e la formazione della generazione futura. Creare reti, creare comunità, vivere la natura in ottica di convivenza e non di sfruttamento, sono gli altri pilastri dell’associazione.»

Da dove nasce l’idea del Campo dei Miracoli?

«Desideravo un progetto che si prendesse cura delle donne, considerando che siamo noi ad aver pagato il costo più alto della pandemia. Sono le donne che più spesso hanno rinunciato al lavoro, durante i vari lockdown, per stare a casa con i figli. O se non hanno rinunciato, sono le madri che hanno optato più facilmente per lo smart working e che mentre lavoravano, si occupavano anche della didattica a distanza dei figli e di tutto ciò che questa ha comportato. Molte donne sono andate in crisi. Molte famiglie sono diventate luogo di tensione e violenza. Il Campo dei Miracoli è un progetto pensato per restituire qualcosa alle donne intese come soggetti. Ha l’obiettivo di creare empowerment femminile attraverso l’orticoltura sociale. Di creare un luogo protetto, nel nostro caso l’orto, dove coltivare noi stesse e i nostri progetti.»

Quali sono gli obiettivi del progetto?

«Gli obiettivi sono tre. Il primo è rinforzare la fiducia in se stesse, tema sempre molto delicato per le donne, che hanno una connaturale difficoltà a sentirsi capaci, a pensarsi come parte attiva del proprio futuro.

Il secondo obiettivo è fare comunità; sentirsi parte di una squadra al femminile capace di farsi spalla l’una con l’altra. Il terzo è avvicinare le donne ad una pratica antica, come quella del lavorare la terra, che può diventare anche un lavoro ed una fonte di reddito. Ci tengo a sottolineare che tutta la formazione sarà gratuita, e ci saranno delle professioniste che si occuperanno di agronomia e delle nozioni di imprenditorialità.»

In che fase si trova attualmente il progetto?

«Siamo alla primissima fase di crowfounding. Abbiamo aderito ad un bando di Itas Sociale che sovvenzionerà il nostro progetto per il 50%, se noi riusciremo a raccogliere l’altro 50% entro il 2 maggio. La parte operativa poi sarà da maggio a dicembre e coinvolgerà inizialmente 12 donne in situazione di maggiore difficoltà che faranno un percorso di empowerment. A loro poi si aggiungeranno altre 18 donne, per la parte di orticoltura e imprenditoria. Questa divisione l’abbiamo pensata per due motivi: il primo è per aprire il progetto sia a donne in difficoltà, sia a donne che semplicemente vogliono vivere un cambio nella propria vita. Il secondo motivo è per sottolineare che le difficoltà che viviamo in quanto donne sono transitorie, si possono attraversare e finire. La difficoltà è una caratteristica che tutte viviamo in certi periodo della vita, ma questo non significa che sia una condizione permanente.»

Chi può partecipare?

Foto autorizzata da Mater Femina APS

«Chiunque. Le iscrizioni sono ancora aperte (si possono chiedere informazioni all’indirizzo mail: info@materfemina.it). Abbiamo esteso l’invito anche ai Centri Antiviolenza della nostra zona e ai servizi sociali, se vorranno proporre il progetto a qualche donna che hanno in carico. Ma la partecipazione è aperta a tutte coloro che lo desiderano. Inoltre, aggiungo, per tutto il corso formativo ci sarà un servizio di babysitting gratuito, affinché l’essere madri non sia una difficoltà anche in un progetto che invece vuole promuovere tutt’altro.»

Come immagina, a lungo termine, l’orto che ne nascerà?

«Il nostro desiderio è che, una volta terminato il progetto, l’orto rimanga come un luogo simbolico di incontro tra donne. Un luogo dove ciascuna può realizzare un proprio personale progetto, con il sostegno di altre donne. Alla pari. Tenga conto che il nostro territorio, negli ultimi anni, è stato teatro di eventi tragici di violenza contro le donne che hanno scosso tutti. Per questo, desideriamo che questo terreno diventi un luogo sicuro, un luogo libero, dove coltivando la terra, la donna può coltivare se stessa

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