Il 15 marzo è stata la giornata del Fiocchetto Lilla, giornata dedicata alla consapevolezza dei disturbi del comportamento alimentare. Nata nel 2012, è una ricorrenza che ha contribuito in questi anni a portare consapevolezza su un tema sempre più discusso e conosciuto, con un’ampia diffusione all’interno del tessuto sociale.

Tuttavia, nonostante la mole di dati, informazioni e spiegazioni a cui oggi si ha accesso, l’argomento risulta ancora denso di stereotipi e di “falsi miti” che, nella forma di credenze, possono portare chi soffre di un disagio alimentare a sentirsi incompreso deriso; talvolta, addirittura sbagliato, nel senso che ci si dovrebbe comportare come se il problema non esistesse, vista la scarsa comprensione mostrata dal contesto sociale in cui si è inseriti.

I “falsi miti” da sfatare

Probabilmente il pensiero comune porta a considerare come disagi alimentari solo anoressia, bulimia o forte obesità. In realtà, quello che osserviamo ci porta a vedere come le cose non stiamo affatto così: molte persone esprimono disagi con il cibo o nella relazione con esso e tali disagi non rientrano in quelle che sono le comuni categorie diagnostiche che vengono socialmente riconosciute. Negli anni le categorie diagnostiche sono diventate sempre più “strette” e inadeguate, rendendo necessario cominciare a parlare di disturbi dell’alimentazione “non altrimenti specificati”.

Un’altra credenza fortemente diffusa riguarda il concetto di essere sottopeso/sovrappeso. Si dà per scontato che chi soffre di anoressia sia per forza sottopeso rispetto al proprio BMI (indice di massa corporea), mentre chi soffre di binge eating (letteralmente “abbuffata di cibo”) sarà senz’altro sovrappeso.

In realtà, queste due forme di disagio si possono esprimere al di là del peso che una persona raggiunge. Il disagio alimentare spesso non dipende semplicemente da quello che una persona assume in una giornata in termini calorici o di fabbisogno, ma è determinata anche da pensieri, stati d’animo, emozioni e dolori legati all’alimentazione. Il corpo di una persona inoltre potrebbe reagire in modo differente rispetto ad un’altra; ecco che quindi si potrebbe soffrire di anoressia pur non essendo sottopeso, e nonostante si stia attuando una restrizione calorica molto forte.

“I disturbi alimentari sono un capriccio ed è normale che sorgano in età adolescenziale”; questo è il terzo preconcetto molto frequente. Pensare che sia “normale”, che serva ad “attirare l’attenzione” non solo è errato, ma anche pericoloso, dato che può portare a sminuire la situazione di una persona che si trova in seria difficoltà, nonché farla sentire sbagliata o immatura.

“Chi soffre di anoressia non ha fame/ non vuole mangiare”. Anche questo è spesso scorretto; chi soffre di anoressia potrebbe amare comunque il cibo, ma mettere da parte la soddisfazione data dal gusto a favore di quella data dal controllo sul proprio corpo.

Altamente rischioso può essere anche pensare che “chi ritorna al normopeso non ha più un disturbo alimentare”. Come abbiamo detto in precedenza infatti, i DCA (disturbi del comportamento alimentare) non coinvolgono solo il peso ma anche pensieri, emozioni, comportamenti sia a livello individuale che sociale. I familiari di chi soffre di questi disagi se ne accorgono ben presto: avere un peso nella norma non significa non avere più bisogno di sostegno.

L’ultima credenza errata, ma non per importanza, è che un disturbo del comportamento alimentare sia necessariamente una condotta volontaria. Spesso può effettivamente partire come tale: una persona, ingenuamente, può desiderare di tendere a una condotta anoressica, entrando così in un vortice di pensieri ed azioni che saranno molto difficili da eliminare e modificare.

Una scelta inconsapevole

Molte volte però sviluppare un DCA non è frutto di una scelta consapevole ed intenzionale, ma nasce da desideri differenti e all’apparenza sani come migliorare il proprio aspetto e la propria forma fisica. In breve tempo, però, la sensazione di controllo che si ha sul proprio corpo può prendere il sopravvento e portare a conseguenze di forte sofferenza e pericolo.

Questi sono alcuni dei “falsi miti” che possono caratterizzare i DCA. All’apparenza molti possono sembrare ingenui o innocui; è bene considerare il fatto però che, come in molti altri aspetti del comportamento umano, esprimere giudizi affrettati e luoghi comuni potrebbe avere un forte impatto sul piano emotivo, rendendo il percorso di cambiamento ancora più complesso e difficile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA