Il Giorno della Memoria merita di durare tutto l’anno. Non è possibile fermarsi a una giornata; o a una manciata di giorni, quando si riflette sulla distruzione sistematica di esseri umani.

Trascurare la barbarie nazista vuol dire venire meno a un preciso impegno come persone. L’impegno è quello di impedire che tutto questo accada di nuovo: non solo in conflitti e lager, ma anche nella vita quotidiana di tutti noi. Ne va, insomma, della qualità del nostro essere persone in una comunità.

In occasione del Giorno della Memoria, è uscito nei cinema il film Il senso di Hitler. La pellicola ripercorre i movimenti di Hitler, la sua ascesa al potere e le scene dei suoi crimini dal punto di vista di storici e scrittori.

Il punto di partenza è il libro bestseller tedesco del 1978 di Sebastian Haffner – mai pubblicato in Italia – “The Meaning of Hitler”, dove l’autore mira “a smantellare i miti e le errate interpretazioni comuni su Hitler e la sua ascesa al potere”.

Haffner fu ossessionato dalla complicità delle élite e dalla seduzione delle masse. E osservò che per farla finita con Hitler – un dittatore e un criminale – doveva ucciderne la leggenda.

Nel suo volume, lo definì “un uomo la cui intera identità era incentrata sulla
realizzazione di un progetto fanatico nato dalla radicalizzazione del suo – e dei suoi seguaci – vittimismo”.

Il nazismo nei film del Giorno della Memoria

In occasione del Giorno della Memoria, che cade il 27 gennaio, ho voluto riguardare un eccellente film del 2001: Conspiracy. Soluzione finale. Lo si può vedere su Sky Tv e Now. Il film è una cronistoria della Conferenza di Wannsee che si tenne a Wannsee (Berlino) all’inizio del 1942. Qui furono messi a punto gli aspetti organizzativi della “soluzione finale” della questione ebraica.

Una versione più recente di quella conferenza del 1942 l’ha presentata la Rai – ed è visibile su RaiPlay – con il film La Conferenza – Conference. Il film racconta quello che successe il 20 gennaio 1942 quando i più importanti gerarchi tedeschi si ritrovarono in una villa a sud di Berlino per tenere quella che rimase famosa con la nomenclatura di Wannsee Conference.

La conferenza coinvolse quindici personaggi di primo piano del regime nazista. Su invito di Reinhard Heydrich si riunirono – nei loro giochi di potere – avendo come unico obiettivo, oltre agli affari personali, la distruzione di quella che consideravano una “razza” inferiore.

Qui una clip dal film Conspiracy. Soluzione finale

Il significato del racconto sul nazismo

Guardando i film sul nazismo – qui ne ho citati tre – rende sgomenti il pensare che uomini e donne possano aver pianificato e realizzato lo sterminio di milioni di ebrei, di rom, di sinti, di dissidenti.

Hanno pianificato e realizzato l’annientamento di persone di cui si è ignorata l’umanità, i vissuti, l’appartenere tutti allo stesso destino.

Il problema, oggi, è però duplice. Da un lato, occorre fermare – senza alcuna esitazione – il rigurgito, che va avanti da più anni, di simpatie neofasciste e neonaziste. Qui siamo nel campo della comprensione e della repressione.

La comprensione serve per cogliere Il senso di Hitler, come dice il film: il perché quel regime criminale, quei personaggi senza umanità hanno ucciso, andando ben oltre la mera barbarie della guerra. E perché le gesta di quei criminali abbiano ancora presa di schiere di giovani (e meno giovani).

La repressione dei movimenti neofascisti e neonazisti – con tolleranza zero – serve per stoppare sin da subito gli atteggiamenti e i messaggi antisemiti, contro la diversità comunque declinata, contro il dissenso.

La seconda gamba del problema è che il nazismo e il fascismo – con le loro routine e le loro scelte razziste – hanno avuto e applicato una burocrazia, un sistema, una procedura che sotto spoglie diverse si ripresentano anche nella contemporaneità.

Ne parla e lo evidenzia il filosofo e sociologo della società liquida, Zyygmunt Bauman, nel libro Modernità e Olocausto. Scrive Bauman: “Credevo (per manchevolezza, più che per convinzione) che l’Olocausto rappresentasse
un’interruzione nel normale corso della storia, una formazione cancerosa cresciuta sul corpo della società civile, una momentanea follia in un contesto di saggezza. Potevo così dipingere per i miei studenti il quadro di una società normale, sana e saggia, lasciando la storia dell’Olocausto nelle mani dei patologi di professione”.

Invece la Shoah – come altre pratiche delle dittature sia nazifasciste che di stampo comunista o islamista – è un fenomeno ben più preoccupante. Siamo di fronte a un veleno che è presente, ci dice Bauman, nella modernità. E nella nostra stessa contemporaneità.

“Noi associamo la disumanizzazione alle immagini terrificanti degli internati nei campi di concentramento, che furono umiliati riducendo la loro azione al livello più elementare della sopravvivenza primitiva, impedendo loro di aggrapparsi ai simboli culturali (sia fisici, sia comportamentali) della dignità umana, privandoli perfino di sembianze umane riconoscibili”, scrive Bauman.

La disumanizzazione – nei regimi criminali, come il nazismo – è però solo l’espressione più evidente. La più scandalosa e preoccupante. Ma la distruzione dell’umanità nelle persone segue sentieri più organizzati, più subdoli. Non basta togliere i “pazzi nazisti” dalla scena per restare tranquilli: essi hanno interpretato al peggio qualcosa che appartiene alla società contemporanea.

Scrive infatti Bauman che le immagini dei prigionieri, ridotti a scheletri, dei campi di sterminio “rappresentano soltanto una manifestazione estrema della tendenza rilevabile in tutte le burocrazie, per quanto benigno o innocuo possa essere il compito in cui esse sono impegnate”.

“Suggeriamo qui che la discussione della tendenza disumanizzante, invece di concentrarsi sulle sue manifestazioni più appariscenti e brutali, ma fortunatamente rare”, sottolinea Bauman, “dovrebbe privilegiare le sue espressioni più universali, e per questa ragione potenzialmente pericolose”.

Nel guardare con attenzione film come Conspiracy. Soluzione finale oppure La Conferenza – Conference ci colpisce l’odio che sostanzia alcuni interventi dei gerarchi nazisti. Ci ferisce la loro disumanità; e la stessa ipocrisia nel cercare di ridurre l’ebreo (il “diverso”) a nemico, oggetto da distruggere e pianta maligna da estirpare.

Quello che però più mi ha colpito – e che ci deve spingere a un Giorno della Memoria lungo tutto l’anno – è come le pratiche burocratiche, le disposizioni amministrative, i dati numerici e gli aspetti tecnici per la “soluzione finale” abbiano una precisa caratteristica.

Si sostituiscano i contenuti del discorso riportato nella clip sopra dal film Conspiracy. La soluzione finale. Al posto degli ebrei si mettano operai licenziati, impiegati spostati, giovani sfruttati. Oppure schiere di poveri e disagiati senza istruzione e senza aiuto a inserirsi nella società.

Il risultato di quelle routine non cambia: abbiamo – seppur con apparente minor crudeltà – lo stesso schema; la stessa mancanza di rispetto e l’annientamento dell’umanità di ogni singola persona.

Quelle routine non sono routine meramente naziste, o fasciste, o comuniste, o islamiste o da teocrazia distruttiva. Sono procedure che rischiamo di applicare anche quando – nella fiorente e progredita società contemporanea – le persone sono ridotte a numeri.

Le routine burocratiche del nazismo ci riappaiono quando si fanno scelte senza tener conto dell’umano che vi è di fronte a noi, alle nostre decisioni. Quell’umano che ignoriamo, che consideriamo come nemico; oppure che distruggiamo con le nostre “soluzioni finali”.

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