La figura dello psicoterapeuta è sempre di più una realtà nei reparti di oncologia di molti ospedali anche se non è ancora scontata – come dovrebbe essere – tanto quanto lo è quella dell’oncologo.

C’è ancora molta difficoltà nell’accettare il fatto che mente e corpo sono in continua relazione e sono un unico sistema. C’è ancora diffidenza nel considerare che la psiche, come qualsiasi altra parte di noi, può soffrire e soprattutto può avere bisogno di aiuto. Come si fa a pensare che dopo una diagnosi di cancro o durante il percorso terapeutico una persona non possa avere bisogno anche di un aiuto psicologico per affrontare questa dimensione così forte e impattante?

Riconoscere le emozioni per superarle

Spesso è ancora presente l’anacronistica idea che un pensiero positivo e l’essere forti sia l’unico modo per superare tutte le difficoltà, compresa la malattia oncologica. Sulla base della più grande menzogna “volere è potere”, si sfodera un immaginario guerrafondaio assolutamente inutile perchè si sa, in guerra nessuno vince. Ormai si è compreso che tale logica non può, in ogni caso, vincere al cospetto di una malattia che, come il cancro, è complessa, variabile, eterogenea, sfuggente, in una parola mercuriale, e come tale richiede una visione terapeutica adattabile e soprattutto ampia, che consideri tutte le dimensioni della persona.

C’è da chiedersi, inoltre, cosa significhi essere forti: combattere e resistere agli attacchi della rabbia, della tristezza, della stanchezza, della paura?

O, forse, ascoltare tutto questo, aiutati a comprendere che sono emozioni assolutamente non solo normali, ma talvolta anche necessarie per attraversare un momento così impegnativo e a tratti terribile? Perché, se accompagnati nel conoscere e riconoscersi anche in queste emozioni non piacevoli, emergeranno quelle parti di noi che fino a quel momento non pensavamo nemmeno esistessero e che potrebbero aiutarci a superare, attraversandolo, questo tragitto difficile.

A proposito di sé

Dietro a una visione meccanicista e riduzionista dell’essere umano, si nasconde inoltre il pensiero che, in un contesto specifico come quello oncologico, sia naturale ricondurre la sofferenza psichica alla situazione contingente. Ma, poiché in realtà non siamo delle macchine, bensì delle persone con un vissuto, un vivere e una narrazione interna, non sempre la sofferenza che si manifesta rimane confinata solo in questi luoghi specifici.

Certo, si parte da lì, inevitabilmente, ma contemporaneamente ci si ritrova a fare i conti con aspetti della propria esistenza che magari fino a quel momento non si erano mai considerati. O si erano lasciati in sospeso come se fossero poco importanti o addirittura inutili, come ad esempio il senso della vita e il senso della morte e tutto ciò che ne consegue fino ad arrivare a chiedersi, sempre di più, di come effettivamente si stia nella propria vita e nelle proprie scelte.

La cascata di pensieri, riflessioni, emozioni apre la strada verso nuove prospettive e verso il cambiamento delle priorità. Non solo quelle forzate dall’evento malattia, ma anche quelle che riguardano una dimensione più profonda e ampia.

L’importanza di chiedere aiuto

I pensieri e i vissuti che emergono dalla parola cancro sono moltissimi e non sempre risulta facile parlarne.

La sola parola cancro trascina con sé la più amara concretezza: non siamo immortali, derubando in un primo momento, più o meno lungo, la memoria del futuro. Già questo di per sé è elemento sufficiente per rendere indispensabile l’andare a recuperare quel sano e salvifico oscillare in tutte le dimensioni del tempo: passato, presente e futuro, per non perdersi definitivamente nel qui ed ora.

Il dolore è un sintomo utile perché ci dice che qualcosa non va, ma in ambito psicologico non abbiamo strumenti diagnostici così specifici come la Tac, esami del sangue o ecografie per vedere dove effettivamente si annida il vero problema che provoca il dolore stesso.

L’unico modo che abbiamo è riuscire a riconoscere di stare male attraverso la sofferenza che stiamo provando e a sua volta l’unico modo per affrontarlo è chiedere aiuto.

Ma devono essere garantiti o quantomeno indicati, soprattutto in contesti di cura a così alta intensità emotiva, il tempo e lo spazio, perché questa richiesta venga accolta e perché si possa cominciare a prendersene cura.

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