Fin dall’antichità, i fiumi sono stati vie di trasporto utili al commercio di materie prime e da costruzione. L’Adige non si può certo dire da meno. E Verona, come città situata perfettamente al centro, tra il tratto fluviale di Bronzolo, in provincia di Bolzano, e la foce, a pochi chilometri a sud di Chioggia, ha fatto da cornice a quello che poteva definirsi il fulcro della navigazione e delle attività produttive del fiume.

Ne scrive Giannantonio Conati nel libro Arti e mestieri sull’Adige: dalle Valli tirolesi all’Adriatico, edito quest’anno da Cierre Edizioni, che delinea in dodici capitoli, suddivisi in due parti, il volto commerciale delle attività di navigazione dell’Adige, ricostruendo in maniera fedele la sua storia. Un viaggio alla scoperta delle arti e dei mestieri che hanno animato il corso fluviale più lungo d’Italia e dei suoi affluenti, con i suoi 410 km di lunghezza.

La copertina di Arti e mestieri sull’Adige – Dalle valli tirolesi all’Adriatico di Giannatonio Conati, Cierre Edizioni, 2021.

È grazie alla navigazione dell’Adige e ai suoi approdi che, ad esempio, l’Arena di Verona ha potuto vestirsi delle pietre provenienti dalle cave in Valpolicella. Soggetta a dazi e pagamenti, la navigazione ha permesso il trasporto di merce di qualsiasi tipo: dal Baltico e dall’Inghilterra tessuti, pelli e minerali; dal Tirolo e dal Trentino legno, ferro e prodotti caseari; da Venezia le spezie, frutta, olio, pesce e tanto altro ancora.

I mulini, situati a riva o galleggianti, garantivano la macina di cereali di vario tipo e a volte anche delle ghiande per il tannino. Con le ruote, che traevano energia dalla corrente, si azionavano segherie per il taglio dei tronchi in assi o travetti – alcune situate sul tratto di Cavaion, San Vito al Mantico, Chievo -, materiale per la lavorazione della lana – tra il Trentino e Montorio -, e della seta – Trentino e Verona soprattutto. Lungo il suo corso si potevano scorgere non solo gli approdi delle imbarcazioni, ma vere e proprie attività, i mestieri, le tradizioni.

Le origini

Per addentrarsi bene in questo viaggio alla scoperta di ciò che un tempo fu l’Adige, bisogna portare indietro la linea del tempo fino al IV-I millennio a.C., data in cui si hanno i primi documenti circa le attività che stavano pian piano iniziando a farsi notare lungo le sue rive, assieme ai primi insediamenti abitativi.

Già in epoca romana l’Adige costituiva a tutti gli effetti una delle più importanti tratte di navigazione di rilievo dove confluiva, nei centri abitati più grandi, personale qualificato di varia mansione, tra cui conduttori di barche da trasporto o contabili che registravano quantità e valori. Nella vicina Valpolicella era presente un altro importante settore fluviale per scambi e movimenti di imbarcazioni: venivano estratti i calcari ammonitici – ovvero i marmi – destinati a Verona e verso la pianura veneta ed emiliana.

Una testimonianza importante sull’antichità di alcune arti è la Corporazione dei barcaioli, fatta risalire in un documento al 1192, a prova della presenza di «imbarcazioni e battellieri veneziani a Verona». Lo statuario di questa Corporazione viene nominato in un codice del 1260, ora scomparso – un documento, lo statuto, importantissimo se si pensa al mantenimento dell’efficenza delle navigazioni e dei rapporti, oltre a garantire l’appartenenza automatica a quella specifica Arte ai discendenti di primo grado dei suoi iscritti.

Nascita della Dogana a Verona

Il ruolo centrale di navigazione dell’Adige non vacillò nemmeno tra i Quattrocento e il Cinquecento, quando Venezia fu coinvolta nella guerra contro i turchi e le regioni anti-europee, protagoniste di cambiamenti all’assetto politico e sociale.

La dogana di fiume, a Verona, sorge sulla sponda destra dell’Adige e fu eretta in tempo record tra il 1745 e il 1746. Foto di Osvaldo Arpaia.

Nata come istituzione per mantenere il controllo del commercio, la prima dogana di Verona nacque con il dominio di Venezia allo scopo di riscuotere dazi e registrare la merce in arrivo. A Verona, le dogane istituite dalla Repubblica veneta furono due: una all’Isolo e l’altra a Ponte Navi. La prima, adibita al controllo delle merci provenienti da nord, la seconda per i materiali provenienti da Venezia e dal tratto d’Adige a valle della città.

Arti e mestieri

Il testo di Conati riporta indietro nel tempo, quasi a figurarsi la macchina laboriosa che costeggiava le rive e le acque dell’Adige. Un racconto preciso, evidenziato anche dalle numerose foto, mappe e dipinti che separano le due parti, che ripercorrono l’intero percorso dalla sorgente alla fonte, tra ieri e oggi.

Le acque dell’Adige non hanno trasportato solamente i sassi per innalzare l’Arena di Verona, o il legname. C’è un mondo che ruota attorno alla sua storia, che muove la macchina e tira le fila.

La figura forse più banale a cui viene da pensare, se si pensa alla navigazione di un fiume, è quella del barcaiolo. I barcàri non hanno certamente avuto vita semplice: lavoro duro, tempi stretti da rispettare, l’impiego di una quantità considerevole di forza fisica, e le uniche pause erano quelle del pranzo e della cena – se non impiegate per la pesca con cordicelle ed ami. Ma in effetti una cosa positiva c’era: la collaborazione era costante e assoluta. Tutti sapevano fare tutto, nonostante la divisione chiara e semplice dei ruoli, nessuno rimaneva inerme nel momento del bisogno.

Il corso dell’Adige e di altri fiumi di area padano-veneta secondo una cartina del XVI secolo, tratta dal libro pubblicato da Cierre Edizioni.

Tra sale, marmo, il grano e la farina con i mulini sia terragni che galleggianti, la follatura delle lane, i filatoi per la seta, le tintorie, le concerie, il cuoio, la pesca, i traghetti e i traghettatori, ee bonifiche, le ruote idrovore: Giannantonio Conati ripercorre uno alla volta questi pezzetti di un puzzle ben più grande, fatti di movimento, di storia, di reciprocità, di vita che si anima dentro le acque e a riva. Dell’uomo e del progresso compiuto ad oggi. Della sua storia che cambia, e dell’importanza di non perdere queste conoscenze che ci permettono di vivere e organizzare meglio l’oggi e il domani.

Il lento declino del trasporto fluviale

L’Adige, oggi, non è più adibito al trasporto commerciale già da un po’. Gli ottomani già nel Quattrocento avevano iniziato pian piano a far decadere il commercio di Venezia dall’Egeo al Medio Oriente, ma dal XVIII secolo si può dire che iniziò la vera incrinatura. Altre città, nel frattempo, stavano prendendo il controllo delle attività fluviali. Prendeva sempre più piede, ad esempio, Livorno, a cui attraccavano le imbarcazioni inglesi e olandesi.

Ma il colpo finale per le vie dell’Adige ci fu a metà Ottocento, con la costruzione dei tratti ferroviari tra Venezia e Verona e Verona con Trento, che competevano per prezzi e tempi più bassi. Con la fine della navigazione cessarono anche tutti quei lavori legati al trasporto fluviale: l’ultima zattera, racconta Conati con un documento rinvenuto nella rivista “Der Schlern”, partì da Bronzolo nel 1913 con unica destinazione Grumo, frazione di San Michele all’Adige.

Navigazione sull’Adige con i primi battelli a vapore nella zona di Legnago, da una cartolina di inizio Novecento, foto riportata nel libro di Giannantonio Conati.

Fu così che l’Adige si reinventò e le sue acque tornarono utili per scopi idroelettrici e irrigatori. La ferrovia aveva preso il posto della navigazione sul fiume, ma nel recuperare quanto perduto si iniziarono a vedere le prime imbarcazioni a vapore. Una speranza di riportare in auge un sistema ormai decaduto presto disattesa.

«I mestieri che venivano svolti sull’Adige, e tutto quanto ad essi era attinente, sono i principali “attori” di questo libro. «Lavori antichi, talvolta come la storia dell’uomo – scrive Conati –, […] un ricco insieme di mansioni e gesti svolti con metodi arcaici o più moderni, e strumenti diversi e singolari, meritevoli di essere ricordati e descritti perché di elevato spessore etnografico».

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